We Are Chaos. Che bel casino, Reverendo

Negli ultimi 8 anni Marilyn Manson è stato protagonista di una resurrezione qualitativa di non poco conto. Parliamo dei dischi, ovviamente, perché a livello di salute e forma fisica il Reverendo è sempre sull’altalena del disastro, tra eccessi, svenimenti e rigetti sul palco.
“We Are Chaos”, strilla l’ex giornalista. Ma è lui un casino continuo. Per fortuna, almeno artisticamente è tornato a controllare le redini della sua stessa creatura.
Questa mano po’ esse fero, o po’ esse piuma. Oggi è stata fero (semi-cit.)
Se nel 2012 Born Villain poteva essere considerato un tentativo di riportare su disco un’ispirazione fino a quel momento terribilmente altalenante, è con The Pale Emperor (2015) che Marilyn Manson è ufficialmente resuscitato. Conferma lo stato di grazia due anni più tardi con Heaven Upside Down, mentre oggi, con We Are Chaos, sembra voler ulteriormente alzare l’asticella.

Suoni più cupi, elettronica sempre massiccia: nel nuovo lavoro il Reverendo abbandona sempre più spesso le linee melodiche presenti nei suoi predecessori e si butta come un ariete dritto in faccia.
Meno varietà, più violenza diretta. Gioca facile il reverendo, sapendo di non poter più urlare troppo e di dover contare sempre più sul suo timbro caratteristico e sulla sua performance in senso stretto.
Il lavoro sporco lo lascia agli arrangiamenti: come detto, strutture dritte come muri che si lanciano addosso all’ascoltatore. Di tanto in tanto Pale Emperor sembrava cullarti in maniera inquietante, in We Are Chaos non c’è quasi spazio per finezze del genere: si va dritti al punto, meno ricercatezza e più sfrontatezza.
Gran parte degli episodi di We Are Chaos è monocorde: al lavoro di cesello solito si è preferito un approccio paradossalmente più standard, con l’elettronica a tentare di rendere interessante accordi ben studiati, ma meno “eclatanti” rispetto al passato.
Manson si concede giusto una sdolcinatezza in Paint You With My Love, non gli riesce neppure malaccio, invero. Ma è un cavallo di Troia, perché We Are Chaos è, come detto, piuttosto monocorde, con tutti i pro e i contro del caso.
Fero, fers, tuli, latum, ferre
“Andrea, sei completamente impazzito? Cosa c’entra il latino?” Apparentemente nulla. Apparentemente.
Come il latino porta (ferre, portare) nel discorso un’inutile quanto altisonante accezione di conoscenza di qualcosa di antico, non più in uso ma conosciuto, così un brano del calibro di Solve Coagula sembra quasi fuori posto nel contesto di We Are Chaos: è ciò che si avvicina di più al repertorio storico del Reverendo, ma il suo ritmo più lento, cadenzato, sembra quasi fuori posto. “Quasi”, perché poi il suo senso d’esistere affiora (proprio come i latinismi nei discorsi).

Mi pento e mi dolgo dei miei peccati
Dopo una bordata sonora di non poco conto, l’album si chiude con un Broken Needle, una sorta di ammissione di colpa, delle paure, di qualcosa che non va. Non è Marilyn Manson a cantare, ma Brian Hugh Warner.
Rinse off all this pain
In your make up
Stare into the mirror
Apples are always something to fear
Are you alright?
‘Cause I’m not okay
All of these lies
Are not worth fighting for
Una chitarra acustica, orchestrazioni, synth, un climax che esplode, o meglio, implode nella coda caotica, fino a estinguersi come era iniziata: una chitarra acustica, il fragore dell’elettricità che svanisce nell’eco.
La grandezza del Marilyn Manson del 2020 e di We Are Chaos è questa: sorprendere all’ultimo. Un colpo di coda inaspettato, tanto ti eri abituato al fragore fracassante delle tracce precedenti.
Non male reverendo. I capolavori sono altri, ma continui a navigare sopra la soglia dell’(in)umana decenza.
a cura di
Andrea Mariano