nàe, l’atto secondo di Elena Sanchi: l’intervista

nàe, l’atto secondo di Elena Sanchi: l’intervista
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All’inizio di Gennaio è uscito Controluce, il primo singolo di nàe. Dopo tre album e più di duecento concerti, la cantautrice Elena Sanchi ha deciso di intraprendere una seconda vita musicale: nuovi sound, nuovi strumenti, nuove produzioni – e nuovo nome d’arte.

Questo atto secondo di nàe è nato da una camminata sul lungomare Adriatico, che le ha dato quelle risposte che, tra il conscio e l’inconscio, cercava da tempo. L’abbiamo raggiunta al telefono, per entrare un po’ di più nel suo mondo, e per farci raccontare come si vive il cambiamento, e quanto è bello ritrovarsi in quello che si crea.

Hai raccontato che naè è una consapevolezza interiore nata da una camminata sul lungomare: come hai fatto a riconoscere questa epifania, rendendoti conto che era un vero momento di svolta?

Ci sono momenti nella vita in cui si sente che qualcosa sta cambiando. Certo, è stata un’epifania, ma dietro c’è stato un lavoro – le cose non arrivano a caso! Ero giunta alla fine di un ciclo di vita, e sentivo forte una spinta di trasformazione.

Ed è proprio in questi momenti, che ci si rende conto di percorsi che finiscono e di nuove albe. Era un cambiamento in atto dentro di me da diverso tempo, e ho riconosciuto questa consapevolezza piano piano, non certo all’improvviso.

È stato un percorso sofferto: davanti al mare, ci si specchia in profondità, e si capisce che certe cose sono andate, e altre devono arrivare. Il mare mi mette spesso di fronte alle scelte che devo prendere nella vita. In quel periodo, stavo scrivendo canzoni nuove, approcciandomi su Ableton alla composizione: un approccio, uno studio musicale diverso rispetto a prima, che mi ha portato a pensare a me come artista e come persona in maniera diversa.

Prima scrivevo al pianoforte, un tipo di scrittura molto più melodica: ho scoperto parti di me inedite tramite i synth, e tramite le basi più ritmate. Sono parti che prima non riuscivo ad esplorare, avendo un approccio più “classico”.

Al tempo stesso, avevo iniziato un percorso di terapia, utile per fronteggiare le mie fragilità, conoscerle e non aver paura di mostrarle. Tutto questo, insieme, mi ha portato a rendermi conto come non mai della trasformazione che stavo vivendo.

Ne parlavi anche tu: questa tua trasformazione ha portato una virata nella scrittura, da un approccio più melodico, ai synth, all’elettronica, alle distorsioni. Musicalmente, come è nata questa volontà di cambiamento, certamente coraggiosa dopo tre dischi?

Già dal mio terzo disco pubblicato come Elena Sanchi, avevo collaborato con Alberto Melloni. Durante il lockdown, gli mandai alcuni brani, per provare a vestirli in modo più elettronico. L’elettronica mi era parsa fin d’allora un modo per cercare dentro di noi una dimensione più spirituale. Alberto, all’epoca, mi aiutò sia con la produzione del disco, che con l’allestimento del live La lingua del bacio – in quell’occasione, sul palco con me c’era una strumentazione elettronica.

Già allora, dunque, c’era stato un cambio, se non così prorompente disco, certamente nella dimensione del live, dove portai controller, loop station, computer.

Avendo messo piede in questo mondo, mi era venuta voglia di esplorarlo ancor di più all’interno dei miei dischi.

La produzione di Controluce è affidata ad Alessandro Ciuffetti: com’è stato collaborare con lui, da producer a producer – il brano è stato infatti pre-prodotto da te?

Con Alessandro, ci conosciamo da diverso tempo – lui ha fatto mix e master di tutti i miei dischi, è una collaborazione ormai collaudata. A differenza delle volte precedenti, ci siamo chiusi nella sua stanza del mastering, e abbiamo lavorato in modo diversissimo. Prima registravamo in studio chitarra, pianoforte, batteria. Questa volta abbiamo registrato tastiere e chitarre, e il resto è elettronico, ci sono tanti synth, pad – abbiamo registrato pochi strumenti, rispetto al passato.

Alessandro si mette sempre a servizio del progetto, ascolta molto. Io avevo, appunto, pre-prodotto il pezzo, sapevo dove volevo arrivare; Alessandro è un mago, ogni suono lo lavora in maniera minuziosa e attenta, non so se io ci riuscirò mai!

Nel frattempo, sono contentissima di avere lui: su certi suoni, siamo rimasti ore. Non c’è un respiro, un sospiro che sia casuale nel pezzo. Il nostro lavoro di ascolto e complicità ha portato a questo, è stata una collaborazione armoniosa – ormai ci conosciamo benissimo.

Come dicevo prima, nulla viene a caso: c’era qualcosa dentro di me che si muoveva da tempo, e io ero pronta a fare questo salto. Ho messo insieme le persone giuste, e sono riuscita a realizzare un prodotto nel quale mi rispecchio moltissimo. Non voglio dire che non mi trovavo nei dischi precedenti: qui, però, sono più matura, più consapevole. Gran parte del lavoro sui suoni l’ho fatto a casa, questa volta.

Rimanendo sull’elettronica: penso ad artiste come Ginevra, Whitemary… in Italia, l’elettronica è forte nei club, forte in certe nicchie, ma non ha ancora fatto il passo verso il mainstream. Se penso, ad esempio, a Sanremo, è estremamente poco rappresentata. Secondo te, come mai?

Sono d’accordo con te! Il perché, purtroppo, non lo so.

Quest’anno, a Sanremo, ci sono diverse artiste donne, e penso possa esserci una svolta magari nel podio, rispetto agli anni precedenti.

Ci sono tante producer in Italia oggi: Ginevra, Whitemary che citavi, ma anche ceneri, BLUEM – e sono veramente brave.

Probabilmente, è un ascolto più difficile, e ora siamo abituati a degli ascolti molto più veloci, di “consumo”. Gli artisti e le artiste che oggi vanno forte se lo meritano, certamente: il pop è una musica più facile da fare entrare, mentre l’elettronica necessita di un ascolto diverso.

Bisognerebbe fare un passo indietro rispetto a questa travolgente velocità, che ci porta a non essere consapevoli di tante cose. Io personalmente ho fatto delle masterclass con Hu, che partecipò a Sanremo nel 2022: ho potuto collaborarci, e ho scoperto che è una producer bravissima, che ultimamente ha virato verso la techno. X Factor, quest’anno, è stato vinto da una producer, Sarafine.

Insomma, questo roster di producer donne underground è presente in Italia, c’è fermento: speriamo riesca ad uscire fuori sempre di più. Per le donne è sempre un po’ più difficile: ma se verrà fuori il merito, riusciranno sicuramente a farsi sentire! Ginevra, ad esempio, spero di vederla a Sanremo il prossimo anno!

Rimanendo in tema Festival, che è alle porte: che cover porteresti alla serata cover?

Rose viola di Ghemon. Mi piacerebbe vestire questo pezzo bellissimo in modo diverso. È un brano che sento particolarmente mio – quindi quella, senza dubbio.

Quali progetti ha nàe alle porte oggi?

Ci saranno due singoli che usciranno in primavera, e un disco o un EP (devo ancora capire se inserire un brano…) che uscirà in Autunno! Vediamo che strade si aprono – io sto lavorando, producendo i pezzi, poi capiremo come è meglio farle uscire.

a cura di
Filippo Colombo

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