Roger Waters – “The Dark Side of the Moon Redux” – recensione

Roger Waters – “The Dark Side of the Moon Redux” – recensione
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A 50 anni esatti dalla pubblicazione del capolavoro dei Pink Floyd, Roger Waters rilegge l’opera in una versione minimalista e, se vogliamo, ancora più esistenzialista.

È disponibile dal 6 ottobre, su etichetta Cooking Records, The Dark Side Of The Moon Redux, la reinterpretazione di Roger Waters di uno degli album più famosi ed acclamati della storia, a cinquant’anni dalla registrazione originale con i Pink Floyd.

Registrato quando Waters aveva 29 anni, The Dark Side Of The Moon era una straordinaria meditazione multidimensionale sull’esperienza umana, il passare del tempo, la discesa nella follia e l’abisso.
Oggi, con questa nuova versione, la sensazione è ancor più amplificata, se vogliamo.

Le versioni disponibili

Sono diverse le versioni acquistabili di The Dark Side of the Moon Redux, attraverso il sito ufficiale di Roger Waters:

– CD
– doppio LP
– doppio LP arancione vinile trasparente
– musicassetta color oro
– box con cd + 2 LP neri + 2 LP arancio + MC + t-shirt + stampa numerata

Sono disponibili anche diverse combinazioni tra i prodotti, tutte pre-ordinabili attraverso questo link, mentre le tracklist delle varie versioni dell’album potete trovarle qui.

Le parole di Roger Waters

L’originale di Dark Side of the Moon sembra in qualche modo il lamento di una persona anziana sulla condizione umana. Ma Dave, Rick, Nick ed io eravamo così giovani quando l’abbiamo fatto, e quando guardi il mondo intorno a noi, ti accorgi chiaramente che il messaggio non è rimasto. Ecco perché ho iniziato a considerare ciò che la saggezza di un ottantenne potrebbe portare a una versione reinventata.

Quando ho accennato per la prima volta all’idea di ri-registrare The Dark Side of the Moon a Gus e Sean, pensavamo tutti che fossi pazzo, ma più ci pensavamo, più pensavamo “non è proprio questo il punto?”.

Sono immensamente orgoglioso di ciò che abbiamo creato: un’opera che può stare con orgoglio accanto all’originale, mano nella mano attraverso mezzo secolo di tempo.

La recensione

Bastano le prime parole che ascoltiamo, in apertura di Breathe, per entrare nel senso dell’intero lavoro: “I ricordi di un uomo nella sua vecchiaia / sono le cose che ha fatto nel fiore degli anni / Ti muovi nel buio della stanza del malato / E parli a te stesso mentre muori”.
Non si tratta di parole a caso, ma in tutta l’introduzione del brano viene recitato il testo di Free Four, brano di Obscured by Clouds, album uscito l’anno precedente (1972), ma scritto nello stesso periodo. Forse Roger vuole dirci che questa è stata la canzone che ha piantato il seme da cui poi è nato The Dark Side of the Moon? Ci sono infatti già accenni ai temi di questo disco: “La vita è un breve e caldo momento, la morte un lungo freddo riposo”, oltre ad un passo autobiografico, sulla morte in guerra del padre: “Tu sei l’angelo della morte e io sono il figlio del morto”.

On The Run, che originariamente era uno strumentale che in qualche modo rappresentava la paura di volare, ora diventa il racconto di un incubo in cui bene e male si fronteggiano, con le forze del male che stanno per prendere il sopravvento. Ad un certo punto si leva una voce, che urla “andatevene!”, e Roger ci spiega che “La voce era sempre stata lì, nascosta tra le pietre dei fiumi, in tutti i libri, in bella vista. Era la voce della ragione”. Come a voler dire che se usiamo la ragione riusciamo a sconfiggere le nostre paure e i nostri incubi.

Gli intermezzi parlati legano senza soluzione di continuità i brani, e quindi ci ritroviamo direttamente dentro Time, stavolta senza essere destati dal suono delle sveglie. La prima parte di assolo di chitarra viene sostituita da un solo di Hammond, mentre nella seconda metà è il theremin a ricordare il suono della chitarra di Gilmour.
L’atmosfera è scarna, cupa, con gli archi a puntellare le tastiere e la chitarra acustica che richiama alcuni passaggi dell’originale.

The Great Gig in the Sky affronta, come l’originale, il tema della morte, ma lo fa da un punto di vista diverso. Infatti l’intro del brano è la lettura della corrispondenza con Kendel Currier, assistente e parente di Donald Hall, poeta Premio Pulitzer e amico di Waters.
La celeberrima parte vocale che fu di Clare Torry è affidata al sintetizzatore, a rendere ancora più impersonale e meno umano il sentimento.
Riparte l’intro col piano e ripartono le parole di Roger, che ci racconta cosa è successo dopo la morte di Hall, con la sua visita alla fattoria dove viveva il poeta.

Continuando nell’ascolto notiamo che non c’è uno stacco a questo punto, come c’era nel disco originale, dato dalla forzata divisione in Lato A e B dovuta dal formato a 33 giri.
Sfociamo infatti direttamente dentro Money, singolo con cui abbiamo già imparato a familiarizzare qualche settimana fa. Le atmosfere sono quelle di un talkin’ blues. Il solo centrale, invece, è sostituto da un lungo recitativo in cui Waters impersona un avaro che combatte in ogni modo ed è pronto a qualsiasi compromesso pur di non veder intaccati i propri averi.

Us and Them è uno dei brani più fedeli all’originale, nonostante la “riduzione”. Seppur con strumenti diversi (chitarra acustica, archi), l’atmosfera che si respira non è così lontana dalla versione del 1972, con un bellissimo ed intenso solo centrale di hammond. Immaginiamo un tributo al geniale lavoro fatto all’epoca da Richard Wright su questo brano.

Any Coulour You Like nell’originale era l’altro strumentale del disco, ma era piuttosto ovvio che, come per On the Run, anche qui avrebbero trovato spazio delle parole. Ed allora ecco una serie di considerazioni, fino ad arrivare a riprendere il titolo del brano: “una bandiera, di qualsiasi colore ti piaccia: blu e giallo, rosa, rossa, nera… Arcobaleno? Sì, arcobaleno!”. Forse un velato riferimento alla bandiera dell’Ucraina, ma di certo un chiaro riferimento alla bandiera della pace, a simbolo della battaglia sui diritti umani che ormai da decenni viene portata avanti da Waters durante i suoi concerti.

L’introduzione di Brain Damage è, ancora una volta, perfetta col tema della canzone: “Perché non ri-registriamo Dark Side?”“È impazzito!”. È, molto riassunta, la conversazione avvenuta tra Roger, Gus Seyffert, produttore dell’album, e Sean Evans, direttore artistico e regista.
Una pazzia, quella di cui parla il brano, che Waters ha portato a compimento con la realizzazione di questo progetto. “Non è proprio questo il punto?”
I suoni, in questo brano come nella successiva Eclipse, sono ancora più eterei, quasi sognanti, come a voler rappresentare il mondo tutto proprio in cui si muove la follia.

Nessun’aggiunta narrativa extra in questo dittico che chiude il disco, ma la frase che chiude The Dark Side of the Moon Redux suona come un colpo di scena.
L’album originale aveva in coda, insieme ai battiti del cuore, le parole di Gerry O’Driscoll, portiere degli Abbey Road Studios: “In realtà non c’è nessun lato oscuro della luna. Di fatto è tutta scura”.
Waters ci stupisce, ancora una volta, e lo fa proprio sul finale. A cinquant’anni di distanza arriva la risposta a O’Driscoll: “Ti dirò una cosa Gerry, mio vecchio idiota. Non è tutto buio, non è vero?”.
Un raggio di luce, un barlume di speranza dopo oltre 45 minuti a raccontare di morte, pazzia, guerra, soldi, volatilità del tempo e caducità dell’essere umano.
Un ultimo colpo di scena, di cui poteva essere capace solo un genio folle come Roger Waters.

Conclusioni

The Dark Side of the Moon Redux ovviamente non vuole sostituirsi all’originale. Non ci riuscirebbe mai.
Waters, a 80 anni compiuti (lui sì, oggi, “col respiro più corto e ogni giorno più vicino alla morte”) e 50 anni dopo la pubblicazione dell’album originale, vuole lasciarci questo album forse come una sorta di testamento letterario.
I testi storici da lui scritti per l’album dei Pink Floyd di maggior successo, arricchiti da nuovi inserti sempre a tema col brano di cui fanno parte, ci danno un ulteriore spunto di riflessione.
E la “riduzione” all’osso del lato musicale, come suggerito anche dal titolo, non è uno sgarbo a Gilmour o Wright come qualche fan talebano potrebbe pensare, ma una scelta obbligata se si vuol portare l’attenzione dell’ascoltatore sui concetti espressi. Su quelli di 50 anni fa così come su quelli aggiunti oggi, “completando” l’opera di un ragazzo nemmeno trentenne con la maturità e la consapevolezza di un 80enne che certamente ha più vita alle spalle che davanti a sè.
E qui, nel perfetto spirito floydiano del concept circolare, chiudiamo con la frase iniziale, che dà senso a tutto il progetto: “I ricordi di un uomo nella sua vecchiaia / sono le cose che ha fatto nel fiore degli anni / Ti muovi nel buio della stanza del malato / E parli a te stesso mentre muori”.

Le tracklist di The Dark Side of the Moon Redux di Roger Waters

CD e digital

1. Speak to Me
2. Breathe
3. On the Run
4. Time
5. The Great Gig in the Sky
6. Money
7. Us and Them
8. Any Colour You Like
9. Brain Damage
10. Eclipse

Vinile

Lato A
1. Speak to Me
2. Breathe
3. On the Run
4. Time

Lato B
1. The Great Gig in the Sky
2. Money

Lato C
1. Us and Them
2. Any Colour You Like
3. Brain Damage
4. Eclipse

Lato D
1. Composizione originale – bonus track di 13 minuti

Crediti

Roger Waters: voce, basso su Any Colour You Like, VSC3
Gus Seyffert: basso, chitarre, percussioni, tastiere, sintetizzatore, cori
Joey Waronker: batteria, percussioni
Jonathan Wilson: chitarre, sintetizzatore, organo
Johnny Shepherd: organo, pianoforte
Via Mardot: theremin
Azniv Korkejian: voci
Gabe Noel: archi, arrangiamento degli archi, sarangi
Jon Carin: tastiere, lap steel guitar, sintetizzatore, organo
Robert Walter: pianoforte su The Great Gig in the Sky

Prodotto da Gus Seyffert e Roger Waters
Direzione artistica e design: Sean Evans
Fotografie: Kate Izor

a cura di
Andrea Giovannetti

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Andrea Giovannetti

Nato a Roma nel 1984, ma vivo a Venezia per lavoro. Musicista e cantante per passione e per diletto, completamente autodidatta, mi rilasso suonando la chitarra e la batteria. Nel tempo libero ascolto tanta musica e cerco di vedere quanti più concerti possibili, perchè sono convinto che la musica dal vivo abbia tutto un altro sapore. Mi piace viaggiare, e per dirla con le parole di Nietzsche (che dice? boh!): "Senza musica la vita sarebbe un errore".

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