I Thirty Seconds to Mars sono tornati con “It’s the end of the World, but it’s a Beautiful Day”
È uscito lo scorso 15 settembre il nuovissimo album della band di Jared Leto, “It’s the end of the World, but it’s a Beautiful Day”
Dopo 5 anni, i Thirty Seconds to Mars tornano in scena con il loro sesto lavoro in studio, il primo senza il chitarrista Tomo Miličević che ha lasciato la band nel giugno 2018. “It’s the end of the World, but it’s a Beautiful Day” rappresenta l’inizio di un nuovo percorso musicale e artistico della band dei fratelli Leto, scritto durante il periodo di pandemia.
Il titolo del nuovo album rispecchia a pieno quello che è stato il periodo del Covid, dove la fine del mondo sembrava davvero vicina. Shannon e Jared Leto mettono nero su bianco il contrasto tra momento di crisi e bellezza ritrovata nei testi delle loro canzoni, accompagnandoli però da un sound completamente diverso da quello dei primi album della band.
Pop, elettronica e poco alternative
Il nuovo album dei Thirty Seconds to Mars si compone di 11 tracce. Si apre con “Stuck“, il primo singolo che ha anticipato l’uscita di “It’s the end of the World, but It’s a Beautiful Day”. Sin dall’inizio, la canzone ha fatto ben intendere verso quale strada stesse andando la band: sicuramente non nella stessa strada dei primi.
Se con “America” ancora sentiamo ancora l’animo rock della band, nonostante abbiano sperimentato l’elettronica, coinvolgendo artisti della scena pop e hip hop, con l’ultimo disco i Thirty Second to Mars possono dire di aver accantonato la scena alternative in un angolo.
Si continua l’ascolto con i singoli estratti, “Life Is Beautiful“, “Season” e “Get Up Kid”. Un forte messaggio di positività, resilienza e amore viene trasmesso grazie a queste tracce. Peccato per la resa musicale, che non lascia ben sperare per le seguenti.
L’album è un susseguirsi di ritmi elettronici, che passano quasi in inosservati senza proporre nulla di nuovo rispetto alla scena musicale odierna. Spesso si unisce ooh.-whoa e un ayy-oh a fare da coro da stadio, per riempire il vuoto lasciati da una strofa all’altra.
Qualcosa di interessante riescono comunque a portarlo, con pezzi come “Love These Days” e “World On Fire”, senza però arrivare a una reazione wow. Il momento più vicino a ciò che potrebbe essere definito un “pezzo dei Thirty Seconds to Mas” è quello di chiusura: “Avalanche” ci riporta un po’ indietro col tempo, ripescando dal passato la loro identità musicale. Un ottimo mix tra alternative ed elettronico, forse l’unico be riuscito di “It’s the end of the World, but It’s a Beautiful Day”.
It’s the end of the… Thirty Second to Mars?
Che sia l’abbandono di Tomo o una voglia dei Leto di provare nuove strade, sicuramente con il sesto lavoro in studio l’era delle tinte ai capelli, dei distorti, di quell’animo un po’ emo e alternative può essere accantonata.
Shannon non picchia più la batteria, Jared non fa più venire i brividi con la sua voce. I Thirty Seconds to Mars hanno perso la loro chiave distintiva. “It’s the end of the World, but It’s a Beautiful Day” non ha una personalità chiara. È un lavoro preso a caso da un mucchio infinito di proposte tutte uguali, create giusto per essere trasmesse alla radio. Un mix di tante hit buttate senza un nesso logico.
Forse i Thirty Seconds to Mars ora sono un vago ricordo, forse a volte si è troppo nostalgici e troppo legati al passato da non accettare i cambiamenti. Non ci resta che aspettare di vederli live, e sperare in un gran tour, da farci gridare a squarciagola e dimenticare i flop.
a cura di
Martina Giovanardi
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