“Bugie di Famiglia” di Nella Frezza

“Bugie di Famiglia” di Nella Frezza
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Una storia familiare costruita su una menzogna, un segreto che salva alcune vite condannandone altre

Ogni famiglia ha i suoi segreti.

Ogni nucleo umano, ciascuna comunità, per quanto minuscola, è un microcosmo che nasconde e poggia le proprie fondamenta su di una bugia.

Qualcosa che si è consapevolmente scelto di non rivelare, o di edulcorare, perché la verità, talvolta, può scuotere l’esistenza in maniera distruttiva, travolgendo con l’impietosità di uno tsunami certezze e dinamiche sulle quali è stato edificato un intero mondo.

Ed è proprio questo che accade nella vita di due famiglie, i D’Amico e i Marini, legate da un’amicizia che sembra incrollabile, da un vincolo che pare indissolubile, fatto di quella quotidianità intrisa di solidarietà, rispetto e mutuo soccorso che, da sempre, nelle piccole comunità della provincia meridionale, diventa quasi vincolo di sangue.

E niente quanto una violazione della sacralità di tale vincolo, concretizzantesi nell’offesa arrecata da Filippo D’Amico, rispettabile farmacista di Serente e padre esemplare, ai danni della giovanissima Anita, figlia degli amici Gaetano e Lavinia Marini, potrebbe far esplodere quel fragile globo di vetro nel quale i protagonisti si muovono, con altrettanta violenza.

C’è chi decide di fare ammenda togliendosi la vita.

Eppure, così facendo, non fa che lasciare un’eredità pesantissima a tutti coloro che gli sopravvivono. Chi muore giace, chi resta si dà pace, recita un vecchio adagio.

E invece, in questo meraviglioso romanzo d’esordio di Nella Frezza, chi resta pare non trovarla affatto, la tanto agognata pace.

Per salvare la vita di Giovanni, bimbo la cui unica colpa è quella di essere frutto di un’unione scandalosa, altre vite dovranno essere, in qualche modo, immolate.

Cedute, con il loro bagaglio di sogni, aspettative e progetti, su una sorta di ideale “banco dei pegni” dell’esistenza. Plasmate, nella loro materia intrisa di dolore, secondo fogge nuove e inattese.

Antonio, Eleonora, Anita, Nicola, Lavinia.

Tutti, in qualche modo, vittime di una catastrofe che non hanno potuto impedire, di una frana di certezze, valori e speranze che hanno cercato di arrestare puntellandone il crollo rovinoso con quell’unico sentimento che continua a far vivere il loro antico legame: l’amore per Giovanni.

Un amore che richiede protezione e dedizione totale, per far sì che nessun segreto o bugia trapeli, mettendo a repentaglio la serenità del bambino o la stabilità del nucleo familiare nato per accoglierlo.

E così, Antonio, deve ridimensionare gli orizzonti della sua promettente carriera da medico. Eleonora deve rassegnarsi a un rapporto di coppia logorato dalla tensione costante derivante dall’obbligo di mantenere sempre un alone di credibilità attorno a quella gigantesca messinscena di cui si è resa protagonista, suo malgrado, con il marito. Anita e Lavinia si rassegnano ad essere ostaggi della rabbia, del rancore e del sogno americano di Gaetano. Nicola, inizialmente ignaro di tutto, avverte tuttavia il pungolo del dubbio, che lo spinge a scappare, ad allontanarsi, per poi tornare quasi come un deus ex machina per contribuire attivamente alla ricomposizione di un mosaico le cui tessere sembrano essere state divelte da un sisma.

E’ un mondo, quello che abilmente dipinge Nella Frezza, in cui ruoli e rapporti umani sembrano soggetti ad un perenne sovvertimento.

Nella Frezza
Le bugie, i segreti, sono come braci che continuano ad ardere inesorabili, per decenni, nelle anime dei personaggi.

L’autrice ce ne fa contemplare il baluginio fioco e percepire il tepore minaccioso conducendoci per mano, pagina dopo pagina, con una delicatezza estrema, muovendosi con la grazia sicura di un’acrobata tra la narrazione dalla prospettiva di un personaggio o nucleo familiare, a quella dell’altro.

Ogni giudizio è sospeso, poiché Nella Frezza non vuole ammonirci, tantomeno insegnarci qualcosa. Pare solo volerci mostrare, con l’indice saldo e la saggezza di chi ha vissuto abbastanza a lungo da conoscere quanto complesse, inattese e imprevedibili possano essere le vicende che caratterizzano l’esistenza, quanto una storia come quella narrata potrebbe essere la storia di ciascuno di noi.

Poiché non esistono vite scevre dal dolore, dalla tragedia, o che si svolgano sotto un firmamento mai oscurato dalle nubi di segreti, bugie o verità taciute.

E quando tali nubi si addensano, scatenando tempeste, non si può fare altro che imparare a danzare sotto la pioggia e affidarsi al tempo.

Quel tempo che, lo stesso Dumas, ne Il Conte di Montecristo, indicava come rimedio per ogni male, insieme al silenzio.

Quel tempo che Nella Frezza definisce un farmaco bizzarro.

Eppure è proprio il suo lento e inesorabile trascorrere a sciogliere nodi e offrire nuove prospettive.

Perché gli anni sono lenti le cui diottrie crescono in maniera direttamente proporzionale al loro trascorrere.

Ed è solo all’aumentare di questa “potenza ottica”, così come della distanza temporale che intercorre fra un evento drammatico e il momento in cui lo ricordiamo o riconsideriamo, che possiamo coglierne aspetti o dettagli che prima risultavano sfocati, perché troppo vicini.

Osservare dalla giusta distanza offre soluzioni inattese e insperate.

O forse dissipa semplicemente la nebbia che, come un bozzolo impalpabile, avvolge l’esistenza di ciascuno di noi.

Quella nebbia che solo la consapevolezza che nasce dal dolore può permetterci, alla fine, di squarciare con successo.

a cura di
Romina Russo

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