Morire di immoralità – cosa succede in Iran?

Morire di immoralità – cosa succede in Iran?
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Le proteste al grido di donna, vita e libertà incontrano ancora l’ira del governo iraniano ed il bilancio delle vittime continua a salire. La ONG Iran Human Rights tiene il conto delle presunte 448 persone uccise dalla polizia islamista.

Il 2022 è stato teatro di forti proteste e scontri nella Repubblica Islamica dell’Iran.
Da Masha Amini a Mohsen Shekari, la fame di democrazia giovanile ha spinto il governo ad una repressione sanguinaria che ha richiamato l’interesse dell’Occidente. Ma come si è arrivati a quest’escalation di violenza e ribellione? Perché il governo iraniano è così repressivo?

Cosa è necessario sapere sulla storia dell’Iran

È molto probabile vi sia capitato di vedere immagini che ritraggono donne iraniane vestire (letteralmente) i costumi occidentali: minigonne, makeup, costumi da bagno e crop top sono le basi del guardaroba femminile iraniano degli anni ’70. Se è fortemente in contrasto con i veli integrali che oggi vediamo nei telegiornali c’è un perché, nascosto in circa 100 anni di storia.

1921, il colpo di stato porta al potere Rida Khan Pahlavi, un militare nazionalista dalle forti idee rivoluzionarie. Lo scià [شاه] fa da spartiacque con il sanguinario passato della Persia che ora [1935] cambia nome in Iran. “Reza” è un capo di stato dispotico ma che al contempo indirizza la società ed il governo verso una modernizzazione straordinaria dando inizio ad una dinastia che governerà fino agli anni ’70.

1941, URSS e Regno Unito, «[…]preoccupati della germanofilia del regime iraniano, occuparono il paese […] assicurando così alla causa alleata il controllo del petrolio e le vie di comunicazione del Medio Oriente» e costringono lo scià ad abdicare a favore del figlio Mohammad Reza Pahlavi.

1951, Mohammed Mossadeq viene eletto primo ministro col progetto di stabilire una concreta democrazia e di instaurare una monarchia costituzionale. La lotta all’opposizine estremista porta all’esilio numerosi personaggi tra cui il teologo sciita Ruhollah Khomeini [1963], personaggio che ci sarà utile ricordare tra poco.
La “Rivoluzione bianca” avvicina il Paese ad una democrazia avanguardista (voto alle donne, riforma agraria, sistema pensionistico e sanitario, istruzione obbligatoria). La novità non è ben accolta dall’intera società iraniana che genera malcontento tra nobiltà terriera, classe mercantile e clero sciita, spingendo acqua al mulino dell’esiliato Khomeini fortemente contrario alle moderne politiche dei Pahlavi.

La fine della democrazia

1977, l’opposizione al regime paralizza lo Stato tra scioperi, manifestazioni e crisi dell’esercito. Lo scià è costretto a lasciare il democratico Iran che la sua dinastia aveva fondato. La popolazione acclama a gran voce l’arrivo di una dittatura estremista e repressiva che vestirà l’Iran di un chador nero funerale.

donne iraniane che indossano chador, foto del giornale cinese Xinhua
Foto di XinhuaNet
La Rivoluzione islamica

L’esiliato Ruhollah Khomeini torna in patria e ne assume la direzione.
1979, 1° aprile. L’ayatollah Khomeini proclama l’istituzione della Repubblica islamica dell’Iran con una nuova Costituzione basata sui principi del Corano (legge Shari’a) e su un progetto di estirpazione di ogni influenza occidentale. Sospese o limitate libertà di stampa, espressione e pensiero; imposizione del chador a tutte le donne; istituzione della pena di morte per adulterio e blasfemia.
L’ayatollah chiude l’Iran in una bolla di radicalismo islamico emarginando il Paese, allontanandolo dalle democrazie dell’Occidente e inasprendo i rapporti con gli esteri.

ژن، ژیان، ئازادی‎ – Donna, vita e libertà

2022, 13 settembre. Mahsa Amini è in viaggio verso Teheran con la famiglia. All’ingresso dell’autostrada l’auto viene fermata ad un posto di blocco. Mahsa non indossa correttamente l’hijab come la Shari’a comanda: si intravede, infatti, una ciocca di capelli sfuggita al velo. La polizia la arresta con l’obiettivo di darle una «[…] lezione di moralità» come riporta il fratello Kiarash al Corriere della Sera. Il resto della storia è ben nota: Mahsa muore (celebralmente) sotto i pugni e le botte della polizia lo stesso 13 settembre, il decesso dopo tre giorni di coma.

Jina – nomignolo della ragazza dai capelli infedeli – è la martire che muore per dar vita ad un movimento di rivolta. La nuova generazione di giovani democratici ed istruiti si ribella come nell’Europa del ’69 contro quella casta polverosa che li precede, chiedendo diritti e libertà. È così che abbiamo visto donne e uomini tagliare i propri capelli, bruciare hijab in piazza, scioperare o hackerare la tv nazionale in segno di protesta contro il regime dittatoriale dell’attuale ayatollah Ali Khamenei.

Le Nazioni Unite stimano siano circa 14.000 le persone arrestate per le proteste (tutti i dati circa le sommosse sono però «[…] impossibili da confermare per chiunque al di fuori del governo iraniano), uomini e donne che adesso aspettano il giudizio dell’Imam.
Sì, perché a giudicare l’immortalità dei ribelli sarà un esperto di teologia e giurisprudenza che probabilmente anticiperà la morte di quella centinaia di giovani sognatori e sognatrici. Il governo iraniano pensa di poter fermare una battaglia attraverso il silenzio forzato; lotta che ha ormai mobilitato mezzo globo.

Perché questa non è una rivolta, Sire. È una rivoluzione.
Jinjiyanazadî

a cura di
Enzo Celani

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