Un equilibrio fra tradizione e modernità. Intervista a Dadà
Fra gli “esclusi eccellenti” dell’ultima stagione di X Factor quest’anno c’è stata Gaia Eleonora Cipollaro in arte Dadà. Un progetto nato nel 2021 che unisce tradizione (alta) napoletana alla world music con contaminazioni elettroniche
Dadà è un’armonia di suoni e colori che diventano personali e indistinguibili. Eleganza e sana leggerezza sono gli elementi che la contraddistinguono. Abbiamo voluto incontrarla per farci illustrare il suo mondo di arte e amore.
Ciao Dadà e piacere di conoscerti. Credo che tu sia stata una delle cose più interessanti viste a X Factor negli ultimi anni. Nel tuo lavoro si sente una ricerca di suoni e di attitudini antiche e moderne.
Grazie, sono contenta sia arrivata quello che è il fulcro della mia ricerca.
Credo che tu faccia parte di una rinascita della cultura napoletana che sta venendo fuori negli ultimi anni.
Il fermento artistico a Napoli è sempre attivo. Napoli è in un momento in cui si sta rialzando un po’ come potrebbe avvenire col Vesuvio, con una sorta di fermento interiore. Una rinascita sociale perché viene accolta diversamente.
Riguardo a una rinascita della tradizione che tu adotti nella tua musica, mi viene in mente un parallelo col gruppo dei Nu Genea.
Io non li conosco di persona. Ammetto che me li hanno segnalati. Poi ho scoperto che dei miei amici musicisti fanno i turnisti con loro. Sono molto contenta perché quella è una vibe più Settanta che mi piace tantissimo. Non immaginavo poi venisse apprezzata anche fuori Napoli.
Sempre per citare i Nu Genea, hanno curato una compilation di brani anni Settanta quasi sconosciuti (Napoli Segreta).
Col loro lavoro mi incuriosice la scoperta che il napoletano è composto da molte parlate. Ad esempio il mio dialetto viene dal napoletano più antico tipo Eduardo De Filippo. Vengo dal centro storico napoletano, quartiere di Pino Daniele, dove c’è il Monastero di Santa Chiara. Si tratta dell’ombelico della Napoli storica, vecchia con un passo sempre a metà nel futuro con l’Università, la cultura e la movida. Movida che parte dai giovani che prendono dal vecchio ma ampliano con gusti nuovi. Personalmente sono cresciuta fra i vicoletti dove c’è l’opus reticulatum, ma frequantavo ambienti con uno sguardo verso il futuro.
Invece come è stata la tua esperienza a X Factor?
Sono molto contenta perché anche alle audizioni sono partita con una grossa responsabilità sulle spalle. Portare un progetto del genere non è mai facile, sopratutto in un contesto mainstream. Quindi una paura addosso notevole. Volevo mostrare una faccia nuova che finora avevo mostrato veramente a pochi. Ho trovato un pubblico molto vasto a livello generazionale che si è attivato al mio tentativo di mostrare il mio mondo. Di questo devo veramente molto a Fedez. Era il giudice che temevo di più. Invece è quello che mi ha capito. In generale è stata una piazza più grande dove poter far conoscere il mio mondo.
Fra le cover che hai proposto c’è stata “Toxic” di Britney Spears. È sembrato davvero che tu la interpretassi cannibalizzandola secondo il tuo gusto musicale.
Molte persone infatti mi hanno scritto che le cover proposte sembrano pezzi inediti. Credo che sia un bellissimo complimento. Non riuscirei neanche a fare una cover troppo fedele all’originale.
Peccato tu sia uscita nel live precedente agli inediti. Raccontaci quando potremo ascoltarlo.
Sarebbe stato interessante presentare il mio inedito su un palco dove credo che mi sarei allontanata molto dalle altre proposte. Ovviamente per ovvi motivi e non per meriti particolari. Il mio è un inedito a cui tengo molto e spero esca presto.
A livello di rapporti con gli altri partecipanti, come è stato il clima che si respirava all’interno della produzione?
Diciamo che ognuno lo vive a suo modo. Io mi sono scoperta abbastanza a mio agio non tanto nelle dinamiche di gioco complessive ma all’interno del mio habitat. Nel momento in cui salivo sul palco non c’era paura che mi turbasse. In realtà poi sono una persona molto ansiosa. Nel momento in cui siamo entrati nel loft a mia mamma ho detto di non aver paura della gara ma della quotidianità. Sono più le dinamiche di convivenza forzata che mi hanno spaventata piuttosto che il palco. In piazza c’è la festa, c’è il sole e io non potevo vederla diversamente.
Alla luce di questo puoi rivelarci con chi hai legato di più umanamente?
Credo che professionalmente sia stata un’esperienza che mi ha dato tantissimo. In alcuni casi anche umanamente. Diciamo che per come vivo io, in maniera molto viscerale e sensibile certe cose, ammetto che non ho legato tantissimo con i ragazzi, a parte qualcuno. Ad esempio gli Omini, a cui voglio bene. Pensavo che la differenza di età sarebbe stata alla base di incomprensioni. Invece sono quelli con cui ho legato tantissimo. Ho sofferto il fatto che a un certo punto sono diventata trasparente, però comprendo che ognuno ha le sue abitudini emotive.
I tuoi mash up sono anche punti di incontro di diverse culture. Napoli sempre presente ma anche il Brasile. Diventa come un’incontro di umori e stati d’animo comuni.
Napoli anche nel quotidiano è come se respirasse più anime. È molto naturale, secondo me, trovare delle vicinanze. La cosa che mi fa sorridere è che nei commenti si nota questa mescolanza di lingue come il portoghese o francese col napoletano antico. In realtà è proprio un modo per confondere l’ascoltatore.
a cura di
Beppe Ardito
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