Le carceri turche e italiane, la realtà passa (anche) attraverso i libri
Quando si cercano le notizie tramite i motori di ricerca più in voga, talvolta ci si imbatte in un paio di notizie simili perché in quel giorno blog e testate hanno deciso di parlarne. Per il tema della prigionia è successo così.
Quello che si osserva è un crescente focus sulla condizione psico-fisica dei detenuti, sulle mancanze dello Stato e sulla conoscenza, da parte dei cittadini, delle condizioni interne. L’articolo più recente e consultabile gratuitamente è quello del giornale Domani risalente al 5 aprile 2022 dove, brevemente, viene illustrata la condizione dei suicidi nelle carceri rispetto all’Europa.
Il Rapporto Antigone , pubblicato annualmente dall’Associazione Antigone , ci permette di avere un quadro più o meno chiaro di quel che succede ogni anno nelle nostre carceri. Da qui, da questi rapporti annuali, si arriva a discutere di come sia necessario vedere per poter capire. Lo sguardo serve a permetterci di fare, forse, un passo in più sfruttando l’empatia e proiettandoci in quei luoghi.
Le carceri: davanti al dolore degli altri
Le carceri non sono il cuore pulsante di questo saggio della Sontag, ma da qui possiamo senza dubbio estrapolare un ragionamento che ruota attorno l’importanza delle immagini e della documentazione. Susan Sontag si chiede, utilizzando le riflessioni di Virginia Woolf ne Le tre ghinee, chi sia lo spettatore che osserva immagini strazianti di guerre, mutilazioni e corpi dilaniati.
Non soffrire a causa di queste immagini, non indietreggiare inorriditi dinanzi a esse, non sforzarsi di abolire ciò che provoca una simile devastazione, una simile carneficina – queste sarebbero, in termini morali, le reazioni di un mostro, dice Woolf. E, lascia intendere, non siamo mostri, noi membri della classe colta. A mancarci è l’immaginazione, l’empatia: non siamo riusciti a fare nostra quella realtà.
Ad oggi le immagini dei carcerati, turchi o italiani che siano, non sembrano più scuotere l’anima. Siamo assuefatti dalla crudeltà e dalle mani che stringono sbarre, da tatuaggi e da muri di cemento armato, dalle finestre dove è quasi difficile prendere aria. Se escludiamo perciò le fotografie e le riprese video dei vari reportage, ci resta solo la scrittura come strumento.
Le carceri: malafollia e i concorsi letterari
Sul sito del Ministero della Giustizia si legge nel bando – decisamente non recente:
La finalità del Premio è quella di dare concreta espressione al dettato dell’art. 27 della Carta costituzionale, secondo il quale le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, anche tenendo conto delle proprietà socialmente riabilitative del lavoro ed, in special modo, del lavoro intellettuale in ragione del circolo virtuoso, che le attività di pensiero e di scrittura inducono.
Malafollia è un’opera nata dalla storia dei detenuti. Certamente uno strumento di riflessione per chi vive in carcere, prima ancora che una porta da attraversare per noi altri. Come ci si può fidare di quanto raccontato dai carcerati? Meritano fiducia al punto da prendere per vere queste storie? Questi sono i punti su cui bisogna basare il racconto per poter partecipare:
a) la propria storia personale: “prima” e “dopo”;
b) riflessioni sulle conseguenze del “fatto” per sé e per gli altri;
c) la vita in carcere;
d) la speranza.
Queste storie e le loro riflessioni arrivano davvero al lettore? Di questo non ho trovato dati sufficienti ma di una cosa sono fortemente convinta: non spetta ai narratori convincerci di una condizione di vita, bensì è compito nostro, di chi è fuori, cercare la strada dell’empatia. Un dovere morale che costa certamente tempo da spendere ed energie ma che ci permette di non dare mai un noi per scontato davanti al dolore degli altri.
Le carceri: la Turchia e il terrore
Nel 2000 il Parlamento Europeo si era occupato di un’interrogazione parlamentare riguardante la condizione delle carceri turche. Anni dopo, Internazionale pubblicò un reportage e ogni anno ne escono di nuovi, da fonti più o meno certificate, religiose e non.
Le carceri: prigione n°5
Un sistema infallibile per arrivare al lettore è il disegno, l’illustrazione: l’arte, per quando cruda e priva di morale possa essere, ha sempre suscitato emozioni e, forse, non ne siamo ancora assuefatti. C’è un’artista, vittima delle carceri turche, che ha saputo raccontare il suo vissuto, momento dopo momento.
Perché è finita in carcere un’artista curda con passaporto turco?
Propaganda terrorista. Sarebbe più opportuno dire che non avevano idea di quale motivo utilizzare per buttarla in prigione, e questa è sempre un’ottima scusa.
Zehra Doğan è stata inserita nella “Power 100” di Art Review tra le 100 personalità più influenti del mondo dell’arte contemporanea perché è riuscita, con Prigione n°5, a raccontare cosa succede nel carcere, a narrarlo dal punto di vista di una donna pericolosa, illustrando dove capitava e lasciando uscire le sue immagini tramite le visite che riceveva. Una storia cruda, reale e di cui si parla poco, se non nel mondo dell’arte.
Le carceri: Istanbul sotterranea
In ultimo c’è un romanzo corale, di quelli che difficilmente si riesce a dimenticare anche a distanza di tempo, si chiama Istanbul Istanbul. Nato dalla penna di Burhan Sönmez, avvocato specializzato in diritti umani, è frutto di parte della sua esperienza sia come cittadino turco sia come vittima della polizia.
Non viene risparmiata la paura dei prigionieri in questa storia fatta di racconti di vita – immaginata e non. Il tempo è scandito dal ritiro e dal deposito delle vittime della tortura e dal ticchettio delle sbarre ad opera delle guardie. Quattro uomini chiusi in cella che raccontano di sogni condivisi, di ferite e di piatti vuoti da colmare con l’immaginazione, l’unica cosa che permette loro di sopravvivere.
Le carceri: resoconto
Recentemente è uscito un articolo de L’Espresso che racconta, sotto forma di reportage, la condizione delle carceri italiane oggi, tenendo presente anche la REMS, e l’assurdità con cui pazienti psichiatrici e giudiziari finiscano per essere detenuti nelle carceri comuni, senza personale adeguatamente formato.
Nel 2017, su La Stampa, Carola Frediani ne aveva già parlato e due mesi fa, a dimostrazione che poco è cambiato dagli anni ’40 in Italia, è uscito un testo che si chiama Nannetti, la polvere delle parole, di Paolo Miorandi, edito Exorma. Per quanto riguarda le prigioni turche devo limitarmi a rimandare ai testi suggeriti perché non solo sembra peggiorata la situazione nel corso degli anni, ma non ci sono fonti attendibili e recenti che riescano a riportare un quadro chiaro della situazione.
a cura di
Ylenia Del Giudice
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