Matrix Resurrections. Grazie, come se avessi accettato
Riprendere un franchise e porre le basi per nuovi capitoli? D’accordo. Ma il signor Thomas Anderson immerso in questa nuova forma di Matrix è più spaesato di un trapper a un concerto metal.
“Signor Andreson… Bentornato” “Chi? Cos? Ah…”
Diciotto anni fa le sorelle Wachowski affermarono di non volere realizzare un ulteriore capitolo della saga di Matrix. Il progetto, d’altronde, era davvero multimediale: oltre ai film, sono stati realizzati videogiochi, fumetti e cortometraggi che espandevano e narravano altre parti dell’universo di Neo e dell’agente Smith, dando una conclusione definitiva della narrazione con il (dimenticato) gioco online “The Matrix Online”.
Sono tanti, diciotto anni. Comprensibile possa esserci un cambio di decisione. Bene. Ma se da una parte vedi Lana Wachowski entusiasta per iniziare i lavori per “Matrix Resurrections” e dall’altra Lilly che si tira indietro perché “oberata da altri progetti in ballo”, qualcosa nella matrice non va come dovrebbe.
Eppure i presupposti sono ottimi: il fatto che il signor Anderson sia un affermato, infelice e sociopatico game designer, che tutto lasci presagire un prodotto meticcio tra continuazione e reboot, che Keanu-Anderson-Neo-Reeves sia più un John Wick in pensione e stanco della solita routine… Purtroppo è la solita routine.
Lo capisci anche dai primi minuti della messinscena di “Matrix Resurrections”. Non per le prove recitative, ma per il mero aspetto visivo: è una visione piatta, banale, che toglie forza al contesto, sia dentro, sia fuori Matrix.
“Seguimi nella tana del Bianconiglio” “No, grazie. Quei bot di Call of Duty non moriranno da soli”
Se “Matrix Resurrections” fosse una piece teatrale, sarebbe suddiviso in:
- Prologo: il racconto di zi’ Nicola
- Atto primo: salvate il soldato Neo
- Atto secondo: il tempo delle mele stagionate
- Atto terzo: il mago Oronzo è l’Eletto
- Epilogo: Il tempo delle mele volanti
Continuiamo a essere brutali? Sì, continuiamo. “Matrix Resurrections” è un revolver con quattro pallottole nel caricatore. Il pistolero, un astigmatico-miope-presbite con difficoltà di equilibrio. Nessuno sentiva il bisogno di strappare il franchising dal suo dormiveglia, ma se proprio si doveva, se proprio volevi, gioca bene i tuoi colpi. Sei una Wachowski, mannaggia all’Eletto.
D’accordo i continui rimandi alla trilogia originale, bello giocare sul Matrix videogioco ormai storico. Un po’ meno quando iniziano le scene “ventitré anni dopo”. Stesso setting, situazioni simili al 1999, con un Eletto ancora più spento (Reeves poco ispirato, meno convinto di una scatoletta di tonno Ass do Mar), un cosplay di Morpheus uscito fuori dalla Dingo Pictures e personaggi presi di peso dai vecchi Matrix e tramutati in orribili macchiette.
Parliamo del rapporto Neo-Trinity? Sarò sintetico: il tempo delle mele fuori stagione.
Parliamo dell’Agente Smith? No, perché è stato buttato lì a fare solo del casino a caso.
L’unico personaggio davvero degno di nota (rovinato solo da un inutile spiegone che non è neppure l’ombra dei monologhi proto-filosofici di Matrix Reloaded e Revolution) è lo psicoterapeuta interpretato da Neil Patrick Harris. Azzeccato, serio quando serve, sarcastico nei momenti giusti.
“Non ci sto capendo nulla” “Hai voluto la matrice? Ora programma”
A conti fatti, Matrix Resurrections manca il colpo del fan-service; sotto questo aspetto, Episodio VII di Guerre Stellari è un lavoro egregio in confronto. La nuova opera di Wachowski non centra neppure l’obiettivo di essere un buon continuum/reboot; Man In Black del 2019 ha meno idee sul piatto, ma ha una dignità complessiva maggiore.
C’era davvero bisogno di un quarto lungometraggio su Matrix? No, soprattutto se Keanu Reeves recita come un tronco in saldo da Castorama, se la storia traballa quanto un tavolino Lack nell’angolo occasioni, se il nuovo Agente Smith ha il carisma di un cartonato lasciato per due anni in una vetrina al sole, se dei buoni spunti sono stati bruciati come le sterpaglie durante i festeggiamenti di Sant’Antonio.
Se ancora non l’avete capito: no, “Matrix Resurrections” non è un film irrinunciabile.
a cura di
Andrea Mariano
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