“Mono” è un rock duro e i Vintage Violence devono farlo
“Mono” è il nuovo album della band lecchese Vintage Violence. Un potente mix di punk e cantautorato scevro da qualsiasi perbenismo.
Se siete stanch* di ascoltare “Radio Italia”, dei soliti testi banali, del pop e della gente che non si espone, i Vintage Violence fanno al caso vostro. Non potevano scegliere modo migliore per festeggiare i loro 20 anni di carriera.
La poetica
La punta di diamante della band sono certamente i testi. Tutte le dieci tracce, anche le più malinconiche, sono avvolte da un tagliente sarcasmo e da un’audace ironia. “Dio è un batterista” ne è la prova. Nel testo viene ribadita l’avversione della band nei confronti del cristianesimo e del mondo occidentale.
Ricorrenti sono i riferimenti filosofici e letterari. Il disco si apre, infatti, con “Have a Nietzsche day” in cui la band incontra i concetti principali trattati del pensatore per indagare l’essenza umana: dalla creazione di dio come costrutto sociale all’esistenza della vita dopo la morte. L’album si conclude con “La chiave” in cui è centrale il pensiero di Schopenauer. Il pendolo che oscilla tra la noia e il dolore viene interrotto egregiamente “dal rock duro” dei Vintage.
“Non cade mai chi rimane a terra”, ma loro dichiarano impavidamente le loro idee senza il terrore di toccare il suolo, o meglio, “Senza paura delle rovine”. Ce lo dimostra “Paura dell’Islam” brano caratterizzato da un’aspra critica al nazionalismo e alla xenofobia. Superando il timone di finire in un pezzo come “Dicono di noi” potrei dire che i Vintage Violence sono atei, anticapitalisti e antirazzisti e non vedono l’ora di ricordarcelo.
E a chi vuole indietro i soldi spesi per l’immigrazione,
chiederemo indietro i soldi spesi per la sua istruzioneda “Paura dell’Islam”
Il sound dei Vintage Violence, nel tempo, non ha subito grossi stravolgimenti. La band non si adatta alle sonorità in voga, non modifica nulla della propria identità musicale per andare incontro al mercato discografico. Non si è mai persa nel punk. La violenza primordiale dei loro lavori precedenti non si è attenuata neanche questa volta. La velocità dei pezzi non viene sacrificata neanche per i pezzi più emotivi come “Capiscimi II” o “Astronauta”.
Piccolo tramonto interiore
“Piccolo tramonto Interiore” è il primo singolo che ha anticipato l’uscita del disco. Frutto del secondo lockdown, il pezzo mette in luce, come detto dalla band stessa, “l’abitudine come adattamento involontario alla deformazione dei rapporti interpersonali”. La canzone ci dona una riflessione accurata post-pandemia, senza cadere al qualunquismo. Non è l’ennesima raccolta di pensieri da salottino Rai, ma evidenzia lo spreco di tempo nell’attendere che qualcosa o qualcuno ci liberi dalla gabbia che noi stessi abbiamo costruito.
Zoloft
Il secondo singolo è “Zoloft”, nato dalla rielaborazione del pezzo “Van Gogh” del cantante e chitarrista dei Vendicatori Calvi, Enrico Sighinolfi, con cui avevano già collaborato nel brano “Caterina” dell’album “Piccoli intrattenimenti musicali”. I protagonisti delle due versioni non saranno accumunati di certo dallo stesso destino. Il pezzo ospita gli archi di Nicola Manzan.
“Mono”, pubblicato per la Maninalto!, verrà presentato per la prima volta dopo l’uscita del disco dal vivo il 27 novembre. La band ha già preannunciato l’intensione di riarrangiare alcuni pezzi in acustico come fatto nell’album “Senza barrè”. Sempre dal 27 novembre, su YouTube sarà disponibile il videoclip del singolo “Astronauta”.
a cura di
Lucia Tamburello
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