Parcels, “Day/Night”: due album per raccontare luci e ombre  

Parcels, “Day/Night”: due album per raccontare luci e ombre  
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“Day/Night”, uscito lo scorso 5 novembre, narra la quotidianità in un modo (e con il sound) di cui avevamo bisogno

Tutto sorprendentemente atipico

“Day/Night” è l’ultimo lavoro di studio di una band insolita, che sorprende per ogni dettaglio della musica e del percorso che li ha portati a calcare le scene oggi. Perfetto esempio di freschezza, i Parcels vanno ad inserirsi nell’ormai sfaccettassimo universo dell’alternative, giocando con i generi e rielaborando le tematiche per creare qualcosa che mancava da un po’.

Jules Crommelin (chitarra), Patrick Hetherington (chitarra e tastiere), Louie Swain (tastiere), Noah Hill (basso) e Anatole “Toto” Serret (batteria) sono originari di Byron-Bay, Australia, trapiantati da qualche anno nella più vicina Berlino. Due EP, un singolo prodotto dai Daft Punk (Overnight, 2017), l’omonimo album di debutto uscito nel 2018: questi alcuni tasselli del passato musicale della band, dal 2017 sotto contratto con l’etichetta parigina Kitsuné.

Quindi, ricapitolando: cinque australiani berlinesi di adozione, prodotti da una discografica francese, che spaziano dall’indietronica alla nu-disco passando per le sonorità vintage del soul, del funk e della dance. E ancora, cinque singoli in un anno, di cui tre usciti solo ad ottobre, che anticipano un disco che in realtà sono due. Un meccanismo ibrido ed eterogeneo, che non può che avere un risultato interessante.

L’album 

Definire “Day/Night” in modo approfondito forse richiederebbe più tempo delle poche righe di una recensione. Perché come già detto non è un album, ma due, anche se legati dall’irresistibile continuità tematica tipica dei concept degli anni ’70. Il confine tra le due parti è contemporaneamente netto e nebuloso, sfumato come le albe e i tramonti che separano il giorno dalla notte.

Parlando in senso pratico, quello che troviamo sono venti tracce suddivise in due volumi, tra loro speculari anche se talvolta opposti (basti pensare che iniziano rispettivamente con i brani LIGHT e SHADOW), sia per i titoli che per la linea melodica. La release digitale del 5 novembre è inoltre accompagnata da un terzo disco, contenente i singoli che l’hanno anticipata del corso del 2021: Free, Comingback, Somethinggreater, Theworstthing, e Famous (uscita il giorno prima).

Ci sono poi i temi affrontati dai testi. Il titolo suggerisce chiaramente il primo, talmente classico da essere quasi un topos della poesia: il giorno e la notte, la luce e il buio e il loro susseguirsi in modo ciclico, così come ciclico è il tempo che scorre. Ma non solo: c’è un protagonista, un individuo che riflette e dialoga con se stesso dei propri problemi, tra momenti di lucidità e confusione.

Il giorno

LIGHT si apre con la calma e la delicatezza di un raggio di sole che si infiltra tra le tapparelle chiuse male la sera prima. L’incipit di “Day”, il disco 1, ci introduce alle sonorità che saranno ricorrenti, presentandoci prima gli archi, le chitarre e quel basso pronunciato che ben caratterizza la band; poi le percussioni, i cori. L’intero brano è un crescendo, la matrice dei diciannove brani successivi.

Il protagonista di questo primo scenario riflette in modo lucido e razionale. Desidera sentirsi libero (Free), tornare più forte di prima dopo un anno di incertezze (Comingback, in cui è difficile non identificarsi); al tempo stesso riconosce i propri errori e finge di star bene (Theworstthing), salvo poi ammettere di aver mentito (NowIcaresomemore) finendo per sperare in qualcosa di meglio (Somethinggreater). La narrazione di un ego tra dubbi e certezze, gli stessi che capitano a chiunque almeno una volta nella vita.

L’intera parte dedicata al giorno alterna ritmi funky al sound più morbido ed avvolgente del soul, con momenti decisamente figli di un progressive rock d’altri tempi. Grandi protagoniste le chitarre, che a tratti rievocano i Pink Floyd di The Dark Side Of The Moon e non solo. A creare un’atmosfera cinematografica sono gli archi (uno dei contributi di Owen Pallett), che dipingono una scenografia e permettono i passaggi fluidi tra i pezzi e tra i due dischi.

“Sun down, lights out”

Tra Outside e SHADOW non si avverte quasi il distacco: ci rendiamo conto del cambio di registro già nel nono brano, in cui il testo stesso incita a lasciarsi andare (“It’s time to let it go”). Abbandonare le preoccupazioni e la razionalità per immergersi nella dimensione onirica di “Night”, tra le luci scintillanti della pista da ballo (quelle di Famous e LordHerny) e la profonda oscurità di Neverloved, Icallthisahome e Thefear.

“Night” è più vario ed oscillante rispetto al volume che lo precede: meno continuità tra i brani, più elettronica, più bassi. Tutto rispecchia perfettamente l’atmosfera che di fatto appartiene alla notte, con attimi di euforia ed ebbrezza e silenzi riflessivi. Nightwalk sintetizza entrambi questi aspetti: dopo un inizio in cui la voce è quasi nuda, ecco rientrare tutti gli strumenti a gran voce.

E se Reflex già sembra reintrodurci alla mattina, è Inside a chiudere il cerchio creando un perfetto chiasmo con LIGHT: il groove va delicatamente a decrescere, lasciando spazio ai soli archi che accompagnano l’orecchio verso la fine dell’album. Piccola perla di nostalgia tra le due è Once, che ci catapulta per un attimo in un universo retrò per far riflettere un’ultima volta sull’importanza delle scelte.

In una parola: ascoltatelo

“Day/Night” è senza dubbio un disco capace di evocare delle immagini, quasi fosse la colonna sonora di un film non ancora scritto. Non solo: segna, a mio parere, il salto di qualità di una band già promettente nell’album di debutto, che esce consolidata da un lavoro tanto ambizioso quanto ben riuscito.

Da gustarsi con la giusta calma, preferibilmente per intero.
È sconsigliato skippare. In caso di fretta, i singoli possono fungere da dose concentrata.
Tra gli effetti indesiderati potrebbe manifestarsi l’ascolto in loop.

A cura di
Eléonore Mancini

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