Tre Piani: il film diretto da Nanni Moretti tratto dal libro di Eshkol Nevo

Tre Piani: il film diretto da Nanni Moretti tratto dal libro di Eshkol Nevo
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É il primo film di Nanni Moretti di cui non scrive il soggetto, il suo primo film sotto molti aspetti. Una nuova fase della sua cinematografia, che ci fa capire che non ha finito di dire cose nonostante l’età, anzi, deve iniziare a dirne di altre.

Tre piani, dal libro al film

Tre Piani è un adattamento di un romanzo epistolare, diviso in es, io e super-io che nel libro non si incontrano, ma nel film sì.
Un arco temporale molto lungo che testimonia la nascita, la morte e il cambiamento dei personaggi, personaggi che nel film sono simbolo ed emblema di qualcosa, ma ci si affeziona a loro, quindi non solo emblemi ma anche uomini e donne con pregi e difetti.

Un film per adulti, dicono tutti, o quasi, non lo è.
O meglio, lo è perché è un film sulla crisi di sei personaggi adulti che abitano in un quartiere di Roma in cui gli unici problemi che hanno sono quelli che si creano da soli, qualcuno che ha la mia età non lo vedrebbe mai.
Ma quando ci si inciampa, in questo film, si inizia a comprendere chi ci ha cresciuti.

L’Es e il primo piano

L’Es, Lucio (Riccardo Scamarcio) l’uomo fisico: fa sport, urla, strattona, corre, la maggior parte delle scene ha gli occhi fissi su qualcosa, su sua figlia, sul suo obiettivo: cerca un colpevole.

Ha gli istinti ed i sentimenti più basilari: il dubbio, la protezione, il desiderio, quello che non guarda in faccia a nessuno, neanche alla ragazza per cui lo prova.
Cerca costantemente di capire se il suo vicino di casa abbia molestato sua figlia, “era troppo facile credere che non fosse così” dice, in realtà era molto più facile pensare che il nemico fosse qualcun altro.

Ma c’è una scena in cui si ribalta tutto. Se il panico, prima, il regista, lo scrutava nei suoi occhi, adesso lo stesso panico lo vediamo negli occhi di Charlotte (Denise Tantucci), che è spaventata da Lucio mentre fa l’amore con lui, ma Lucio non si ferma. Prima cercava il colpevole, e nel momento in cui chiude gli occhi, che prima teneva fissi, di fronte al disagio di una ragazza, il colpevole diventa lui.

Ma questo non lo sa, questo piano non ammette il senso di colpa.

L’Io e il Super-Io, il secondo e il terzo piano

Al secondo piano c’è Monica, c’è Beatrice e (non) c’è Giorgio.
Monica
(Alba Rohrwacher) è sola, vive, entra in travaglio, partorisce  da sola. Torna anche a casa dopo il parto da sola, in una scena bellissima in cui, con sua figlia in braccio, si muove con molta paura ma allo stesso tempo con grande agilità con sua figlia in braccio. Apre il cancello, apre la porta, prende l’ascensore e porta dentro casa un pacco enorme, da sola. Ci comunica già ciò che durante il film farà benissimo: muoversi dentro il suo spazio.

Tre piani

Durante il giorno Monica non esce, ma guarda il suo “piano”. Tutto il giorno in una stanza vuota, uno spazio che abita con il suo corpo, e ci si muove dentro e si mischia ed interagisce con le sue fantasie più assurde e profonde. Il confine tra realtà e fantasia diventa così sottile, che ad un certo punto non lo vediamo e neanche ci interessa più, e non è circoscritto ad un solo personaggio, più che altro viene ereditato.

Quando sua figlia vede rientrare in casa Monica, non è lei che entra, è la “malattia” della figlia che entra in casa, mentre lei va via. Ma la figlia non va via per sempre, tornerà.

Lasciando le chiavi alla moglie di Lucio dice: “stiamo fuori soli pochi giorni” tornerà nel suo spazio di io, se la madre sarà lì o no non è importante, se lei farà la stessa fine della madre e della nonna neanche, è importante sapere che ci sarà una parte di lei, come ci sarà sempre una parte di noi, in quella stanza vuota, in cui noi ci muoviamo tra la realtà e la fantasia.
Che poi cosa è reale in una stanza in cui ci siamo solo noi?

L’ultimo piano, quello del super-io, è quello in cui recita Nanni Moretti. Colui che ha raccontato una generazione, ne è stato il regista simbolo ma anche il maggior critico, ora ne rappresenta il totale fallimento.

Tre piani di Nanni Moretti (il Super-io)
Perchè Nanni Moretti ha scelto proprio il libro di Eshkol Nevo

La scelta di questo libro, infatti, non è casuale, oltre i vasti temi di una società e della mente umana che racconta, si inserisce perfettamente nella filmografia di Nanni Moretti.

I personaggi sono di Roma, non per pigrizia, ma per esigenza narrativa. Il quartiere nel quale si svolge questo film è uguale a quello del suo primo film, un quartiere agiato.

I personaggi non hanno problemi economici, e non più solo domande esistenziali o problemi con la società e con le ragazze, i problemi con la società si sono risolti perché adesso quei ragazzi, rappresentati da Moretti stesso, fanno ciò che gli viene e veniva più naturale: i giudici.

E i problemi con le ragazze, si sono evoluti in problemi con i figli.

Sposare l’ideologia di Nanni Moretti

Da sempre, quando si guarda un film di Moretti, si deve fare pace col fatto che per godere a pieno di quel film bisogna sposare la sua ideologia, si deve quantomeno simpatizzare con essa, almeno per la durata del film.

In questo caso succede l’esatto opposto: se si simpatizza per Vittorio si finisce morti, messi da parte, intrappolati in una casa, o peggio, in una segreteria.

Non a caso le sequenze del piano di Vittorio e Dora (Margherita Buy) sono tempestate di inquadrature dall’alto, sulla strada, non manca l’empatia verso ciò che succede in strada, ma lo si guarda sempre dall’alto.

Ecco, si finisce per essere un’inquadratura dall’alto, mentre tutti i personaggi sono lì, in strada, con dei ballerini.

Nanni Moretti e il suo Tre Piani

In un cinema come quello di Nanni Moretti, in cui la musica è sempre stata importante, così come la danza, non la si può lasciare da parte, nei suoi film è sempre stato un momento liberatorio, talvolta rivelatore della vera natura della scena.

E se Nanni Moretti ci lascia in strada, con i ballerini, e la musica, e i suoi personaggi, senza di lui, o meglio, senza Vittorio, il giudice, allora significa veramente che le cose sono cambiate talmente tanto che la generazione di giudici di Moretti non serve più neanche a se stessa.

Il film che chiede scusa

Per questo non è un film per gli adulti. È un film che chiede scusa, un film in cui i padri sbagliano, le persone si liberano da quattro mura, i bambini crescono, continuano a nascere, i figli scappano, le mogli scelgono la loro strada, e i giudici muoiono.

Per questo quando lo si guarda, più si è giovani e più non si può fare a meno di avere un po’ più di clemenza e tenerezza nei confronti di queste persone che, tanto quanto noi, non sanno stare al mondo.

È un film Morettiano tanto quanto gli altri, esplora la mente umana, i processi di crescita, la morte, la separazione, il rapporto con i figli, tutte cose che abbiamo già visto, ma questa volta chi ha il coraggio di chiedere scusa può ballare, i giudici, rimarranno al terzo piano.

a cura di
Emma D’attanasio

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