“Quartieri pop”, luoghi della memoria di Emanuele Patti

“Quartieri pop”, luoghi della memoria di Emanuele Patti
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Nostalgici e ambientalisti all’ascolto, dopo il singolo di Emanuele Patti dal titolo “Campi di soia”, uscito il 23 ottobre, l’autore ritorna per farci scoprire il suo ultimo albumQuartiere pop”, fuori invece dal 18 dicembre. Emanuele è un cantautore milanese con la passione per la pianura emiliana, perché da piccolo, dice, era il luogo in cui era solito trascorrere i weekend.

Il disco

Il disco diventa un vero e proprio concept album perché ogni brano rappresenta per l’autore un luogo che a suo modo racconta una storia diversa. Gli argomenti trattati sono tra i più disparati, non si parla solo d’amore, ma anche di amicizia, solitudine e isolamento, monotonia e cambiamento.

Partendo prima dai campi di soia, che sono l’emblema dello straniamento difronte alla perdita dei luoghi della memoria, l’autore ci conduce in questo viaggio tra i Quartieri pop(olari) che si fanno da monito del non arrendersi mai di fronte alle difficoltà della vita. I brani si tengono uniti dalla voglia che Emanuele ha di comunicarci l’amore per la musica

A noi ha rilasciato un’intervista, andate qui sotto per leggere che cosa ci racconta del suo ultimo disco.

Il 18 dicembre è uscito il tuo album “Quartiere pop”, traccia contenuta anche nel disco, che è per te un monito per non arrenderti. Qual è stata la scintilla che ha fatto smuovere in te questa svolta a non mollare?

Quando ho scritto la canzone “Quartiere pop” ero davvero convinto che sarei riuscito a mettere da parte questa mia passione per la musica, per dedicare le mie energie e le mie risorse a qualcosa di più “classico”. Gli anni passano e a volte si ha la sensazione di non andare da nessuna parte, soprattutto quando si aspira a lavorare in un settore complicato come quello dell’arte in generale. La scintilla è scattata dopo aver lavorato alla canzone in studio… Ascoltandola è stato come se tutta la sensazione negativa che si portava addosso all’improvviso fosse svanita, diventando anzi un pezzo che mi trasmetteva l’esatto opposto. 

Questo è successo anche grazie al giro di chitarra di Fabrizio Vercellino che si sposa benissimo con le parole e all’arrangiamento di Sveno Fagotto, bravissimo musicista polistrumentista che ha lavorato con me alla produzione di tutto il disco, nello studio Mobsound di Milano. Ho avuto la fortuna di collaborare con molti bravi musicisti durante la registrazione di queste canzoni e anche questo, la loro passione e la loro professionalità, ha riacceso la scintilla. Ho iniziato a vedere la musica nuovamente per quello che, almeno per me, deve essere ovvero una cosa fatta con divertimento, senza il carico delle aspettative e delle frustrazioni.

Ci sono due tracce che fanno riferimento alla figura del messia ovvero “Gesù” e “Gesù con gli occhiali da sole”: come mai hai scelto proprio lui come figura emblematica?

In realtà è una traccia sola…o meglio, la seconda è una ripresa della prima. Un po’ come si faceva nei dischi di una volta, mi sono sempre piaciute le riprese, come ad esempio la ripresa di “Due mondi” in “Anima latina” di Battisti….l’idea era un po’ quella! “Gesú con gli occhiali da sole” segna proprio il momento in cui ho ripreso a scrivere, dopo una lunga pausa. A volte l’ispirazione può arrivare da una frase, come in questo caso, detta da uno sconosciuto in metropolitana, di cui per un attimo ho avuto anche quasi paura! Questo è bellissimo, perché ero prevenuto e invece mi ha regalato lo spunto per una canzone. Il testo parla proprio di questo, delle cose inaspettate che accadono, del moltiplicarsi degli eventi che a volte ci sembra di non poter gestire, della casualità. Nonostante il titolo la canzone non abbia niente di mistico o religioso, mi sono divertito un po’ a giocare con le parole. Nella ripresa invece, dopo una breve parte di cantato c’è una bella coda musicale in cui potete sentire una “sfilata” di tutti gli strumenti usati nel disco.

Quali sono i tuoi luoghi in cui ti rifugi quando vuoi allontanarti dal mondo come un eremita?

Quando faccio fatica ad immergermi nel mondo, solitamente evito di uscire e mi rifugio in casa. Fortunatamente il mio lato eremita ultimamente si è molto assopito, forse anche a causa dei mesi che abbiamo passato tutti forzatamente chiusi in casa persino io ora desidero avere più contatti con le persone che non vedo da un po’!

 Se dovessi definirti in quanto artista per chi non ti conosce ancora, che parole useresti? (Magari una definizione ad effetto)

Allora, per descrivermi a chi non mi conosce direi che sicuramente sono un cantautore che descrive con ironia quello che lo circonda, senza pesantezza, perché credo molto nel potere che ha una canzone di trasmettere positività. Ho una vena rock e mi ispiro ai cantautori italiani del passato, mi piace anche l’elettronica e sperimentare varie contaminazioni per fare cose sempre diverse.

Quali sono i tuoi riferimenti musicali senza i quali non saresti il cantautore che sei ora?

Da bambino ho amato molto Lucio Battisti, soprattutto gli ultimi dischi, quelli con i testi di Panella: da lui ho preso molto l’uso delle metriche, le rime e gli incastri… Crescendo ho ascoltato per un bel periodo Vasco Rossi, soprattutto i primi dischi, mi è sempre piaciuta la sua capacità di emozionare con poche parole, la sua espressività vocale. Ho ascoltato comunque anche tanta musica rap e ho amato gruppi come i Bluvertigo, Subsonica, ma anche artisti internazionali come David Bowie o Red Hot Chili Peppers.

In “Campi di soia” parli di come ci sia stata una trasformazione dei campi emiliani in produzioni intensiva di un legume che è un po’ uno degli emblemi della trasformazione culturale dell’Occidente. Cosa ne pensi della questione meglio campi di soia che campi di allevamento?

Non lo so, non sono un amante della soia, così come non amo troppo i cambiamenti in generale! Campi di soia mostra le mie due facce, da un lato il cittadino che quando è lontano dalla frenesia dopo un po’ si annoia e rimpiange la città, dall’altro lato però c’è invece una difficile sopportazione dei ritmi e del consumismo in generale, che sfocia in una velata critica a tutto quello che sono i meccanismi con cui siamo costretti a convivere. Per la questione “meglio campi di soia o allevamento”, io penso che un buon equilibrio tra le due cose sarebbe l’ideale. In generale non mi piace tutto ciò che viene fatto in maniera intensiva, massiva e soprattutto senza rispetto per il territorio.

Nato a Milano, ma dedichi una canzone alle terre emiliane: che connessione hai con questi luoghi?

Ci andavo da bambino perché mio nonno era di Argenta, avevamo una casetta con l’orto in mezzo ai campi e alle cascine. Erano periodi molto selvaggi in cui passavo le giornate all’aria aperta e giocavo con altri bambini del posto che correvano tra gli alberi da frutta: per me, che passavo tutto l’anno in città, era come un risveglio sensoriale.

Dato che ci hai dedicato anche un brano, sto parlando della “movida”, che è un tutto l’opposto di quello che si può fare oggi, come ti immagini possano cambiare le abitudini degli italiani riguardo all’idea di attività non solo notturne, ma specialmente artistiche e culturali? E ora che tutti i locali chiudono alle 18…quanto aspetti il ritorno dei “chioschi estivi”?

Bella domanda, in questo momento faccio un po’ fatica ad immaginarmi un ritorno alla “movida” così come era prima. Molte persone immagino che rimarranno segnate da questo periodo così triste e complicato, spero che piano piano si torni ad uscire e a fare concerti perché la cultura e le attività ad essa legate sono più importanti di quello che ci fanno credere. Personalmente per il momento mi dedicherò alla promozione del disco che mi terrà occupato per un po’, nel frattempo ho in cantiere altri progetti e speriamo riprendano presto anche i concerti, perché mi piacerebbe portare live “Quartiere Pop” e le altre canzoni che ho scritto e scriverò. I chioschi estivi tra qualche mese riapriranno, speriamo che una cosa del genere non lasci troppe ripercussioni e che la ripresa sia abbastanza rapida.

a cura di
Ilaria Rapa

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Ilaria Rapa

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