“La mia musica? Un dialogo allo specchio”, l’intervista a Bartolini
Bartolini, all’anagrafe Giuseppe Bartolini, è un cantautore classe ‘95 nato sul mare calabrese ma cresciuto tra Roma e Manchester. Un giovane talento della musica italiana che ha saputo distinguersi con il suo album d’esordio intitolato “Penisola” (leggi qui la recensione).
Il disco, un perfetto incrocio tra la sperimentazione di un background consistente e spunti contemporanei, è un lavoro sincero e interessante.
Abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui a riguardo, ecco che cosa ci ha raccontato.
Buona lettura!
Ciao Giuseppe e grazie per il tempo che mi dedicherai. Innanzitutto ti chiedo: come stai? Come stai vivendo questo periodo assurdo in cui ci ritroviamo?
Ciao e grazie a te. Io sto bene anche se nelle ultime settimane accuso molto la situazione, soprattutto a livello fisico. Con l’uscita del disco però mi sono liberato di un po’ di tensione che mi accompagnava da mesi, chissà che non riesca a godermi questi ultimi giorni.
Mi sento come se fossi su un’enorme giostra emotiva e per quanto sia stressante l’unica nota positiva è il fatto di aver ricominciato a scrivere qualcosa.
Nato dal mare calabrese e cresciuto tra Roma e Manchester: come definiresti la tua storia fino a questo momento?
Mi sento come un pacco spedito pieno di roba dentro.
Ho vissuto situazioni alquanto surreali, passando da un’adolescenza abbastanza turbolenta e con pochi punti di riferimento per arrivare a cercare me stesso in luoghi differenti, lontani dal mio nido.
Con il tempo la musica ha scandito il ritmo di questa crescita umana e le città ed i luoghi che ho vissuto hanno giocato un ruolo fondamentale in tutto questo. In Calabria ho assorbito tutto, ho molti ricordi positivi e spiacevoli, ci ho messo un po’ ad uscire fuori da quella campana.
Adesso sto facendo i conti con tutti i ricordi e tutte le mie esperienze. Essendo la scrittura per me una terapia ho bisogno di un po’ di tempo per sbloccarmi e realizzare ciò che scrivo.
Quanto delle tue città porti nella tua musica? E in che modo?
Le città sono fondamentali così come le persone che vivo e cerco di far coesistere tutto in unico luogo.
Descrivi il tuo modo di fare musica in 3 parole.
Dialogo allo specchio.
Come sei arrivato a “Penisola”?
“Penisola” è una canzone che ho scritto tre anni fa in un momento in cui mi sentivo perso e lontano dalle persone che volevo vicine.
Negli ultimi anni sono cambiate molte cose, ho iniziato a suonare e scrivere riuscendo a trasformare questa mia passione in qualcosa di più. Il disco era già pronto due anni fa ma con pezzi diversi, canzoni vecchie alcune delle quali sono uscite nel mio primo EP.
Da febbraio in poi sono ripartito da zero perché sentivo quelle canzoni ormai appartenenti ad un passato in cui non mi riconoscevo più. Avevo bisogno di qualcosa di nuovo. Nel 2019 ho scritto la maggior parte delle canzoni che poi insieme a “Penisola” e “Roma” hanno finalmente completato l’album.
So che è come chiedere ad un padre quale sia il figlio preferito, ma, qual è il brano di questo disco che porti un po’ più vicino al cuore? E perché?
In questo momento sono molto legato al tris Sanguisuga, Astronave ed I Love America. Le prime due perché le ho scritte per ultime quindi sono più fresche anche al mio orecchio. I Love America perché è l’unico pezzo che mi rilassa.
Non mi capita mai che in un intero disco io mi innamori di ogni singolo brano, faccio fatica a dirti quale siano le mie preferite. Di sicuro adoro “Sanguisuga”: quell’ “ascolta” rende il pezzo intimo e diretto. Con questa canzone riesci a parlare alle persone. Cos’è o chi è oggi quella “sanguisuga”?
Grazie. Per me è di sicuro l’ansia in generale, il fatto di dover per forza dimostrare qualcosa a qualcuno o a se stessi. Più riferirsi anche alla dipendenza che abbiamo verso una persona in cui finiamo per assomigliare di più all’altro che risucchia noi stessi.
Anche “Profilo Falso” mi ha ipnotizzata: riesci a descrivere situazioni incredibilmente diverse e uguali allo stesso tempo. Una canzone che ti si modella addosso: ma qual è la vera storia dietro?
È puramente nostalgia di un periodo che non posso più avere, attimi della mia vita passata da adolescente.
Quasi tutte le canzoni hanno in comune una persona, mio padre. È proprio da qui che parto per cercare di analizzare un po’ la sua persona ed il nostro rapporto ma poi scrivendo mi perdo solo nei ricordi e nelle immagini più belle. Credo inconsciamente che siano le cose più importanti. È una canzone dedicata un po’ a me, un po’ a lui ed al passato in generale.
Tutte le canzoni del disco sono accomunate da frasi tra di loro legate ad un immaginario preciso che è quello della mia vita al sud, dove mi sono trovato spesso tra l’incudine ed il martello con molte responsabilità.
Dentro “Penisola” c’è un “Iceberg”: questa canzone sembra volersi differenziare dalle altre, come significato…
Iceberg parla anche della mia immaturità nelle situazioni di conflitto.
Generalmente sono molto orgoglioso e tendo sempre ad evitare litigi perché sono così pigro da non voler neanche discutere ma divento anche rigido e freddo. È una cosa che col tempo sto cercando di superare.
Il disco unisce egregiamente il cantautorato italiano alle sonorità di stampo inglese. Io ci sento anche tanto romanticismo: quali sono gli artisti o le correnti musicali da cui hai attinto di più?
Sono tantissimi i gruppi e le correnti musicali che mi hanno influenzato nel tempo. Guardo con particolare attenzione a gruppi come Phoenix, Beach Fossils, DIIV, The Smiths, Death cab for Cutie, Bright Eyes e mi piace molto l’attitudine di Yung Lean, Tyler the Creator e Jaden Smith. Mi faccio influenzare da tutto ciò che ascolto.
Sono un grande fan di Fatima Yamaha, Ross From Friends, Four Tet, Floating Points. Da piccolo ero molto vicino al grunge, genere musicale che in qualche modo mi è rimasto dentro come attitudine.
Durante l’adolescenza ho avuto il periodo Kurt Cobain in cui mettevo solo Converse e maglioni a righe ed anche il periodo Ian Curtis ma li imitavo e basta, perché a 13 anni che personalità vuoi avere.
Per quanto riguarda l’Italia, Fabri Fibra con gli Uomini di Mare e con i primi dischi è stato fondamentale. “Turbe Giovanili” e “Mr. Simpatia” restano due dei miei album preferiti di sempre. Nel tempo ho scoperto ed apprezzato Battisti, in particolare “Anima Latina”.
Qual è il ricordo più bello che hai legato alla musica?
I viaggi con la band.
In un mondo filtrato dai social, la musica è ancora specchio reale della società secondo te?
Sicuramente sì, i social sono entrati a far parte della società, basti pensare al modo in cui comunicano e ci influenzano su tutto.
Hanno avuto anche un forte impatto sul mio disco: due canzoni come “Follow” e “Profilo Falso” non le avrei mai potute scrivere dieci anni fa, così come “Millennials”.
Qual è la prima cosa che farai finita la quarantena?
Ruberò un camion Bartolini e suonerò in giro per Roma.
Il tuo messaggio a chi in questo periodo si sente un’isola?
Portate con voi solo le cose necessarie.
a cura di
Giovanna Vittoria Ghiglione
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