“Witches” – la recensione in anteprima del film in arrivo il 22 novembre su Mubi
Oggi, venerdì 22 novembre, Mubi renderà disponibile nel suo catalogo “Witches”, il documentario di Elizabeth Sankey sulla salute mentale post-partum e le sue sorprendenti connessioni con il mondo delle streghe.
Dopo Romantic Comedy (2019) e Boobs (2022), la regista britannica Elizabeth Sankey torna con Witches, un documentario dallo sguardo indiscutibilmente femminile. Questa volta il tema sotto i riflettori è tanto serio quanto stigmatizzato: la salute mentale post-partum, dalla depressione alla psicosi. A raccontare l’argomento è la regista stessa, insieme a tante altre donne che l’hanno accompagnata nel suo percorso di accettazione e recupero. Sono accademiche, terapeute, attrici (come è il caso di Sophia Di Martino, la star di Loki), ma soprattutto sono donne e madri.
Ma allora perché intitolare il documentario Witches? Il focus è sulla salute mentale, eppure, nel corso di un’ora e mezza, vengono creati legami sorprendentemente convincenti con la rappresentazione delle streghe nelle cultura occidentale. Il risultato finale è una sorta di video-essay capace di illustrare connessioni nascoste tra figure tanto simili quanto lontane.
Il film, presentato in anteprima mondiale a giugno al Tribeca Film Festival 2024, approderà sulla piattaforma streaming Mubi oggi, venerdì 22 novembre.
Le streghe nell’immaginario comune
La prima questione che vale la pena menzionare è l’uso delle immagini. A momenti di “pura” intervista se ne alternano altri in cui la regista si rivolge direttamente agli spettatori, con un voice over particolarmente intimista. Il racconto della sua vicenda personale e delle sue emozioni viene però accompagnato da spezzoni di film famosi.
L’argomento centrale di questi brevi video? Le streghe e la loro rappresentazione nel mondo occidentale.
“As a little girl – as many little girls – I wanted to be a witch.”
Elizabeth Sankey
Questo è il punto di partenza della riflessione: una bambina (poi diventata adulta) che voleva essere una strega. Non una qualsiasi, sia ben chiaro, bensì una strega buona. Prendendo come capostipite di un immaginario più grande Il Mago di Oz, Elizabeth Sankey crea subito una distinzione tra streghe buone e streghe cattive. Le prime sono il sogno di tutte le bambine, le seconde i mostri che vivono nella periferia del loro sguardo e che, se non stanno attente, potrebbero prendere il sopravvento. Per la regista la sua esperienza di depressione post-partum è stata, metaforicamente parlando, un’immersione nel mondo delle streghe cattive.
La paura di essere la strega cattiva e le sue radici
Nonostante il paragone, l’obiettivo del documentario non è però demonizzare la salute mentale delle donne. Anzi, questa riflessione su cosa sia una strega cattiva diventa la base per un’indagine più approfondita di narrative fortemente patriarcali e del loro impatto sulle donne nei secoli.
Perché la depressione post-partum è ancora oggi un argomento così tabù? Perché le donne non parlano apertamente della loro salute mentale e del loro rapporto con la maternità? Paura. Se non riescono ad essere buone madri (una figura mitologica che ha tanto in comune con il concetto di strega buona), allora l’unica alternativa è essere streghe cattive.
E nessuna vuole esserlo.
Ma questa paura non è data solo dall’immaginario comune. La tesi di fondo di Witches non si limita al timore di diventare la malvagia strega dell’Ovest, ma scava molto più a fondo. E così dalla rappresentazione nell’immaginario comune si arriva a storie di donne vere che hanno perso la vita tanti secoli fa. In un passaggio particolarmente toccante del documentario vengono infatti lette le confessioni volontarie (vale a dire ottenute senza uso di tortura) di donne bruciate al rogo nel corso dei processi alla stregoneria. Ciò che sconcerta e ferisce più di tutto nel sentirle è la consapevolezza. Queste donne soffrivano molto probabilmente di psicosi post-partum e, incapaci di comprendere i loro pensieri oscuri, hanno scelto volontariamente la morte.
La salvezza nella congrega
Witches non è però solo un’esplorazione della sofferenza femminile su temi come la maternità. Certamente il documentario ricostruisce le cause del silenzio attorno alla salute mentale post-partum, ma non si ferma qui. Elizabeth Sankey non mette a nudo la sua anima e quella di tante altre donne per crogiolarsi nel dolore, bensì per mostrare al mondo che c’è ancora speranza. In tante hanno perso la vita a causa della depressione post-partum, ma altrettante ne sono uscite e le loro storie necessitano di essere ascoltate.
“I used their stories of recovery as a spell book to help me find my way through the storm.”
Elizabeth Sankey
E, infatti, il film è strutturato in cinque parti che, richiamando l’immaginario delle streghe, prendono il nome di incantesimi. In ordine sono:
- Spell n° 1: Fall into madness
- Spell n° 2: Step into the circle
- Spell n° 3: Speak your evil
- Spell n°4: Invoke the spirits
- Spell n° 5: Embrace the witch
Anche solo seguendo la narrazione creata dai cinque incantesimi, appare evidente che il documentario abbia come obiettivi l’accettazione di sé e la scoperta di una comunità. Le donne che compaiono nel documentario sono state tutte parte integrante della rete sociale che ha permesso alla regista di salvarsi. Ma ciascuna di loro ha avuto a sua volta una rete e così via. Il punto è proprio questo: esiste speranza, ma per raggiungerla serve alzare la voce e trovare la propria congrega di streghe.
In conclusione
Elizabeth Sankey crea un documentario capace di toccare in modo per nulla scontato un argomento molto complesso e sfaccettato. La similitudine con la stregoneria viene così contestualizzata sia a livello formale (con l’uso degli spezzoni cinematografici e degli incantesimi), sia a livello tematico.
La regista stessa si presenta sotto molte vesti: quella di narratrice, di bambina che sognava di essere una strega buona, di madre in difficoltà, di donna terrorizzata di essere invece la strega cattiva. E, infine, arriva a reclamare il titolo di strega per sé stessa e per tutte le altre donne, creando un forte senso di comunità. Per usare le sue parole: “Every woman is a witch and every witch needs a coven”.
a cura di
Claudia Camarda
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