Caspio intervista sul suo album
Venerdì 6 dicembre 2024 esce il primo album di CASPIO, NOI CHE VIVIAMO IN UN MONDO PERFETTO (Believe Music Italia).
Noi abbiamo avuto la fortuna di ascoltare questo disco in anteprima, e durante le feste abbiamo scambiato quattro chiacchiere proprio con Caspio, che ci ha confessato di aver bisogno di una pausa.
Il tuo disco “Noi che viviamo in un mondo perfetto”, apre moltissimi interrogativi sul nostro mondo “perfetto”. Perché hai sentito l’esigenza di raccontare queste domande, in musica?
Trent’anni fa, chi l’avrebbe detto che non ci sarebbe stato un mondo perfetto? Se le nuove generazioni sono nate con gli anticorpi per la rassegnazione, per noi, figli del benessere e dell’infanzia felice, avere a che fare con il fallimento, proprio e dell’intera società, ci ha gettati nello sconforto più totale. Avevamo grandi aspettative perché “sarebbe bastato studiare” e invece ci ritroviamo, capacissimi e superperformanti, ad arrancare. Con Noi che viviamo in un mondo perfetto mi sono reso conto che arrendersi quanto prima alla consapevolezza che il futuro atteso non arriverà mai, è quanto di più sano e giusto possiamo fare per noi stessi. È un messaggio per l’autoconservazione.
Quali sono quindi le caratteristiche di questo mondo perfetto secondo te Caspio?
Quando eravamo piccoli il mondo perfetto era quello proposto dai film americani, dalle serie TV in cui le voci fuori campo se la ridevano di gusto, dei colori e del cibo che faceva male al corpo ma bene al cuore. Era anche quello in cui la realizzazione personale era possibile, dove lo studio portava a qualcosa, quando carriera e famiglia potevano serenamente coesistere, quando performare era un obiettivo personale e non qualcosa di cui abituarsi, quando l’esistenza di un individuo si costituiva nella sua vocazione e nella sua storia personale, e non nella sua reputazione. Un mondo di quella che non sapevamo essere una pace instabile e irreale.
Tornare ad una dimensione più rock è stato necessario, a causa delle tematiche di questo disco? Da cosa è dipeso questo cambiamento?
Certo: per mandare un messaggio del genere, più vero possibile, dovevo rinunciare ad un po’ di tecnologia. La strumentazione che ho utilizzato per l’album precedente ci poteva stare in una piccola valigia. Nel nuovo disco, invece, ha suonato un chitarrista, un essere umano vero, alto più di due metri. Sono tornato alle mie origini, alla musica distorta, suonata. Ho chiuso con l’artificiale e sono tornato all’essenziale. È stato un ritorno alla musica anche un po’ imprecisa, che si suona sui palchi, nelle sale prove. Quella per cui ti tocca organizzarti con gli altri perché dobbiamo esserci tutti. Quella che fa casino e fa saltare le persone nei prati, nei club. Avevo bisogno di gente intorno che capisse.
E come mai, secondo te, gli anni Novanta hanno avuto e hanno tutt’ora un’influenza così forte nella tua musica e nel tuo modo di raccontarti?
Appartengo alla generazione MTV. La musica la conosco grazie alla TV, ai videoclip, di cui recepivo i messaggi, così diretti. Ho sempre ascoltato qualsiasi cosa passasse e ancora oggi riesco a passare dal pop al trash metal, per finire al cantautorato italiano o all’indie rock americano anni 10, in pochi minuti. La musica degli anni ‘90 stata da molti criticata, quasi bistrattata. Invece per me è stata un punto di ripartenza, di riferimento. Oggi più di allora ci si può facilmente rendere conto che mai aveva offerto un panorama così vasto. C’era il pop, il rock, il metal, le boy band, la dance che ancora oggi i giovanissimi mettono su alle feste. Io porto tutto con me, ma vedo che le nuove generazioni seguono a ruota.
Caspio, programmi per il 2025?
In questo momento ti direi una pausa. Ho bisogno di prendere un bel respiro, di rallentare un attimo. Fare musica deve rimanere un piacere oltre a una risposta a una urgenza espressiva.
a cura di
Staff
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