ACAB: La Serie – la conferenza stampa sulla sottile linea tra ordine e caos

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“ACAB: La Serie” di sei episodi prodotta da Cattleya sarà disponibile solo sulla piattaforma Netflix a partire dal 15 gennaio 2025. Il regista Michele Alhaique ed il cast, insieme all’autore dell’omonimo libro Carlo Bonini, raccontano il progetto in conferenza stampa

ACAB è la nuova serie targata Netflix tratta dal romanzo-inchiesta di Carlo Bonini, che ha contribuito anche come ideatore e sceneggiatore. Disponibile dal 15 gennaio, la storia segue una squadra del Reparto Mobile di Roma, guidata da Ivano Valenti (detto Mazinga), interpretato da Marco Giallini.

Il loro compito?
Quello di mantenere l’ordine in una città sempre più sull’orlo del caos.

La trama

Siamo in Val di Susa quando accade l’irreparabile: il comandante della squadra viene gravemente ferito, lasciando a Valenti la responsabilità di guidare i suoi uomini. Tra loro ci sono Marta (Valentina Bellè), Salvatore (Pierluigi Gigante) e altri agenti, che formano una famiglia pronta a coprirsi le spalle a vicenda. L’arrivo di un nuovo comandante, Michele (interpretato da Adriano Giannini) scatena inevitabili tensioni, portando alla luce fratture interne al corpo di polizia ed un crescente malcontento sociale che alimenta lo scontro con le istituzioni.

Noi di The Soundcheck abbiamo incontrato il cast, che ha condiviso il processo creativo dietro la serie e la necessità di rivisitare questo universo narrativo, portato sul grande schermo già nel 2012 da Stefano Sollima, qui in veste di produttore esecutivo.

Sono passati tredici anni dall’uscita del film “ACAB”. L’adattamento seriale rappresentava un progetto “necessario ed estremamente urgente”, perché?

Tinny Andreatta: “ACAB: la serie affronta un tema universale ed attuale: la differenza che sembrerebbe esistere tra ordine e caos. Questa narrazione utilizza i generi action e crime, ma va molto al di là di questi per affondare lo sguardo nel sistema complesso costituito da violenza, rabbia repressa e disillusione sia dei nostri protagonisti, sia della società di cui indissolubilmente fanno parte.

Come è stata sviluppata la storia di “ACAB” in una serie TV?

Carlo Bonini: “Il tema di fondo – ossia i conflitti – è rimasto invariato, all’ordine del giorno in ogni società democratica. L’idea di poterli esplorare a distanza di tempo con un racconto seriale offriva l’opportunità di approfondire la tematica, di capovolgere il punto di vista, per far indossare alla telecamera la visiera del casco della celere, in uno spaccato di vita quotidiana dove la violenza è la principale protagonista.

Un altro elemento – se non il più importante! – era quello di avere la possibilità di consegnare a chi guarda un racconto in grado di sollecitare il più possibile ad uscire dalla zona di comfort. Ognuno di noi matura un giudizio ed era giusto fosse personale e non indotto da altri.
Quando nel 2008 scrissi il libro, la polizia italiana era reduce dalla catastrofe di Genova, dove la ferita della Diaz era ancora aperta. Riprendere in mano la celere come protagonista 14 anni dopo, con l’ingresso delle donne e l’introduzione delle body cam, è stato come rendersi conto di dove eravamo arrivati e sopratutto a che punto come società .”

Stefano Sollima, come è stato tornare in qualità di produttore esecutivo dietro le quinte di questa serie TV e quali differenze ci sono con il film?

Stefano Sollima: “ACAB è stata un’esperienza importantissima soprattutto dal punto di vista umano: ciò che mi ha insegnato è l’attenzione al punto di vista che adotti nel racconto. Questa era ed è una storia dinnanzi alla quale bisogna far fare al proprio giudizio morale un passo indietro, incontrando e conoscendo i personaggi senza giudicarli mai. Era l’unico modo per farli vivere nella loro pienezza. Un giudizio su di essi sarebbe stato un errore che avrebbe rovinato l’esperienza: non devi forzare il pubblico al tuo pensiero, ma lo devi accompagnare nel viaggio ponendogli le domande giuste. Come per il film, così per la serie.”

Marco Giallini, cosa hai portato nella serie del tuo personaggio Mazinga, già conosciuto nel precedente film?

Marco Giallini: “Non lo ricordavo quasi per niente!
No, scherzo, però era diverso, come ero diverso io d’altronde. L’ho ritrovato decontestualizzato rispetto a quello che era il Mazinga di prima, quindi non mi sono sentito lo stesso personaggio.
A prescindere dal cast, sono passati 14 anni. Mazinga forse l’ha un po’ dimenticato, e così ho cercato di fare io. Ho bellissimi ricordi di quel film, da cui mi sono però un po’ allontanato mentalmente per prendere parte a questo progetto.”

Adriano Giannini, come ci racconti il tuo personaggio?

Adriano Giannini: “Michele è la personificazione del conflitto. Colui che detiene un pensiero diverso nella gestione dell’ordine e, diciamo, più progressista e democratico, aspetto che lo porta a distaccarsi dalla famiglia e dagli affetti.
Come se non bastasse ha un secondo grande conflitto: quello di trovarsi nella piazza di Roma dove la squadra che gestisce ha un modo diverso di pensare e non accoglie né comprende il suo impegno. Chi cambierà punto di vista per uno scopo comune?”

Valentina Bellè, com’ è stato interpretare Marta, l’unica donna della Squadra Mobile guidata da Valenti?

Valentina Bellè: “Sono ancora molte poche le donne che fanno questo mestiere. A proposito di femminilità, il lavoro che ho fatto io è stato proprio eliminare la mia parte femminile il più possibile: ho pensato a Marta come una persona che a causa del suo conflitto personale (come andrete poi a vedere nella serie) tenta di trasformarsi e di far uscire la parte “maschile” per proteggersi.”

Pierluigi Gigante, qual è il conflitto di Salvatore?

Pierluigi Gigante: “Il conflitto principale di Salvatore – e l’aspetto più interessante su cui lavorare – è che da una parte c’è una totale devozione alla squadra mobile, dall’altra un vuoto interiore. Una voragine che egli tenta (e lo noterete man mano che la serie proseguirà) di colmare in maniera un po’ ambigua.”

“ACAB: La Serie”

ACAB: La Serie non offre risposte facili, né giudizi preconfezionati. Al contrario, invita lo spettatore a riflettere sulle sfumature della giustizia e sulla fragile linea di demarcazione tra ordine e caos, tra causa ed effetto.

Ogni personaggio si muove in una zona grigia, dove il Bene e il Male si confondono e dove l’uniforme non è sufficiente per distinguere vittime e carnefici. L’obiettivo non è stabilire chi abbia torto o ragione, ma stimolare una lettura critica e personale della realtà rappresentata, lasciando che sia lo spettatore a interrogarsi su quanto sottili possano essere i confini tra dovere e abuso, lealtà e violenza.

ACAB è, in definitiva, lo specchio di un sistema complesso e controverso, in cui le regole si piegano sotto il peso delle emozioni e delle scelte umane.

a cura di
Michela Besacchi

foto di
Virginia Bettoja/Netflix

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