L’esordio di Thomas Hardiman: “Medusa Deluxe”

L’esordio di Thomas Hardiman: “Medusa Deluxe”
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Dal 4 agosto verrà distribuito su MUBI “Medusa Deluxe”, il film d’esordio del regista Thomas Hardiman, un nuovo giallo presentato al Festival di Locarno.

L’esordio di Thomas Hardiman  si apre con il monologo di una donna, una parrucchiera che, solo dopo parecchi minuti e diversi discorsi divaganti, svelerà il vero motivo per cui la macchina da presa la segue e l’ascolta con tutta quell’insistenza: c’è stato un omicidio.

La macchina da presa esce dalla stanza seguendo un personaggio, per poi arrivare in un’altra attigua in cui ci viene svelato che ci troviamo nel dietro le quinte di una gara per parrucchieri. 

Un giallo destrutturato

Il film non si propone tanto di risolvere il giallo su chi abbia ucciso uno dei partecipanti della gara: infatti, durante tutto il corso del film non si vede mai la vittima, non viene mai precisamente chiarito come essa sia morta, non compaiono mai le forze dell’ordine (se ne parla solo): non c’è mai un’indagine vera e propria.

Il film è più un’indagine sulle colpe dei presenti, e ci fa scoprire chi sono le protagoniste senza mai parlare troppo delle loro vite private. Arriviamo a conoscere chi sono i personaggi da quello che dicono, da come lo dicono e da come reagiscono agli eventi.

Le immagini e le parole del film

Quello che è veramente sorprendente di questo film sono le immagini e la comicità sottile, sotto la quale si nasconde il dramma di non riuscire a comunicare – né tantomeno a collaborare – e che lascia sottintendere una critica più ampia, rivolta non solo ai singoli personaggi del film, ma più che altro alle comunità regionali delle realtà inglesi. 

Il film è strutturato come un unico piano sequenza, che non lascia mai l’inquadratura vuota o priva di persone. Sebbene il film sia caotico, conflittuale e dal ritmo incalzante, la macchina da presa si muove precisa come un bisturi, come un coltello.
Non trema mai, non si vede respiro.

L’inquadratura è ferma, ma si muove come un grande occhio che segue le persone per cercare di scoprire la verità. E’ analitica e sembra l’unico elemento che, nella scena, mantiene il controllo, mentre intorno a lei, tutti lo perdono sempre di più.

Il colore

Le immagini sono saturate, molto gialle. L’atmosfera a volte si fa claustrofobica e i colori rendono l’idea dell’aria che manca – in cui si respira più lacca che ossigeno! – dopo tutto il tempo in cui siamo stati con i personaggi negli stessi metri quadrati, per ben due ore.

Le ombre sono molto enfatizzate e, a volte, non si percepisce lo stacco tra i personaggi e lo sfondo. Questo – che in teoria sarebbe un errore – diventa in realtà un espediente stilistico. Con esso, infatti, viene trasmesso un divagante senso di confusione, e lo spettatore deve sforzarsi per decifrare l’immagine. Insomma, il pubblico deve fare uno sforzo per vederci chiaro, stesso sforzo che fanno i protagonisti per tutto il film. 

I riferimenti

Mentre si guarda il film, i riferimenti a pellicole come Birdman appaiono chiari. Il regista ha anche preso ispirazione da film come Ombre di Cassavetes, e, sicuramente, dai film della nouvelle vague per la narrazione errante, il continuo divagare, e per la capacità di prendere un genere cinematografico e riuscire a rielaborarlo, trasformandolo. Il riferimento a Ombre ha senso in quanto, oltre alla narrazione errante, in questo film si cambia perennemente protagonista e punto di vista.

Ogni personaggio ha il suo sviluppo e la sua storia e noi ci avviciniamo ad esso, abbandonandolo e riprendendolo ogni volta che il personaggio esce od entra nella scena. Essendoci assenza di montaggio, quest’ultimo è dato dalla messa in scena e dalla recitazione: dai personaggi, che entrano ed escono dalle stanze, che si avvicinano o si allontanano dalla macchina da presa. Le scene appaiono più brevi o più rapide, a seconda dei toni che gli attori assumono.

Il delirio finale

L’incidente di questa pellicola avviene non solo fuori dallo schermo, ma anche prima che essa inizi: la bomba, quando noi entriamo nel film come spettatori, è già scoppiata.

I personaggi che gravitavano attorno ad essa, però, sono a loro volta delle bombe ad orologeria, in bilico tra il contenersi e l’esplodere. Per tutta la durata del film essi scoppiano e si calmano più volte.

Anche la narrazione ed il rigore della macchina e della messa in scena devono esplodere a loro volta. E lo fanno a fine pellicola, in un delirio di colori, musica e movimenti, in cui non si capisce in che luogo e in che tempo ci si trovi.

L’equilibrio sembra essersi ristabilito ma senza un vero motivo, e ritroviamo alcuni personaggi che avevamo perso senza sapere il perché. Essi cambiano veste, cambiano ruolo.
La tensione accumulata si libera così.

Medusa Deluxe è un film interessante, ben costruito, metodico, ma anche istintivo. I suoi personaggi sono caratterizzati egregiamente e, alla fine del film, allo spettatore sembrerà di conoscerli molto bene, senza però provar per loro alcun affetto.
Nello stesso identico modo in cui essi si rapportano tra di loro.

Se all’inizio del film avremmo potuto giudicarli, alla fine scopriamo di aver trascorso abbastanza tempo con essi per arrivare a capirli e a diventare come loro.
O, forse, per scoprire che siamo così anche noi: meschini, scorbutici, ciarlatani. 

a cura di
Emma Diana D’attanasio

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