La letalità dell’apparenza

La letalità dell’apparenza
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Un’indagine su quanto e come l’apparenza influenzi la formazione delle opinioni delle persone

Al giorno d’oggi, l’aspetto esteriore risulta essere uno dei canoni dominanti nella società. Il modo in cui si appare condiziona inevitabilmente coloro che ci stanno davanti. Questo permette loro di categorizzarci sulla base del modo in cui ci vestiamo, ci comportiamo e anche a causa del colore della pelle o della bellezza.

Premesse

Ci siamo chieste, nell’approcciarci alla nostra indagine, quanto l’apparenza esteriore condizionasse le persone anche in un ambito meno “leggero”, sebbene intrinseco a sua volta nella società. Il nostro focus è stato rivolto al campo della criminalità e al modo in cui l’aspetto dei “protagonisti” dell’indagine, in un certo senso, li rendesse insospettabili.

Naturalmente, non tutti coloro che abbiamo scelto di sottoporre al vaglio dei partecipanti facevano dell’aspetto la loro arma principale. Tralasciando ciò, la nostra intenzione è stata comunque quella di dimostrare come la realtà, alle volte, non è esattamente come appare dinanzi a noi.

Metodologia

Per condurre la nostra inchiesta abbiamo innanzitutto consultato diverse fonti che trattavano il modo in cui l’aspetto condizionasse la vicenda giudiziaria legata ai soggetti presi in esame. Abbiamo poi selezionato dieci immagini in bianco e nero di diverse personalità criminali. Fra esse sono presenti soggetti che paiono lontani dalla classica immagine che ci si costruisce di un malintenzionato.

In seguito, le immagini sono state proposte ad un campione di venti persone, di età compresa tra i diciassette e i ventiquattro anni. Abbiamo inoltre invitato i componenti del campione a rispondere a due domande riguardanti i soggetti ritratti. Esse riguardavano la possibile occupazione lavorativa dei “protagonisti” e la trasmissione di una sensazione di sicurezza, da dedurre unicamente dalle fotografie.

I “protagonisti”

La scelta di chi far apparire nelle immagini proposte ai partecipanti raggiunti è ricaduta su assassini e killer seriali, spesso accomunati da un aspetto innocente o piacevole. Altre variabili sono state importanti nella scelta delle foto, tutte comunque collegate all’apparenza che si costruisce sulla base dell’aspetto esteriore. Tra di esse figurano il genere, l’età, il colore della pelle e, principalmente, la bellezza.

L’illusione del genere e dell’età

Il genere ha un ruolo particolare sia a livello di apparenza che nel contesto criminale. Avere a che fare con una donna fornisce un senso di sicurezza, dovuto alla visione predominante della società. Dietro ad un volto tranquillo e ad un aspetto rassicurante si può però nascondere il male e Rosemary West ne è un esempio.

Dall’indagine è emerso che, a primo impatto, la donna ispira fiducia. A riprova di ciò, il 60% degli intervistati ha associato l’immagine di Rosemary West a ruoli inerenti all’istruzione, e quindi a contatto con ragazzi. Quasi paradossale per una donna conosciuta come la “killer delle babysitter”, macchiatasi di un minimo di dodici omicidi.

Rosemary West e il marito Fred West

Anche l’età è un fattore che può trarre in inganno e i casi di Jeffrey Dahmer e Ricardo Ramirez sono emblematici. I due soggetti sono ritenuti rispettivamente un semplice studente (60% del campione) e un ragazzo riconducibile a diversi impieghi, data appunto la giovane apparenza. La cronaca però narra diversamente. Jeffrey Dahmer, il “cannibale di Milwaukee”, si serviva del proprio aspetto giovanile e prestante per avvicinare le proprie vittime, al fine di portarle a casa sua e compiere i suoi delitti.

Un’intervista a Jeffrey Dahmer

Ricardo “Richard” Ramirez, il “cacciatore della notte”, nascondeva dietro al viso angelico un’inesauribile sete di sangue. Inoltre, il suo bell’aspetto gli assicurò un’ampia schiera di ammiratrici, che incuranti della sua incarcerazione dichiaravano il loro amore per lui.

Gli stereotipi visivi: etnia e vestiario

L’apparenza è certamente una somma di stereotipi, ma fra essi il colore della pelle riveste un ruolo fondamentale nella categorizzazione delle persone. Fra le immagini proposte era presente un unico soggetto di colore che, curiosamente (o non troppo), è stato uno dei pochi casi ad essere stato immediatamente identificato come criminale (dal 20% del campione).

Comparato agli altri assassini presi in esame, Timothy Foster risulta essere l’omicida col minor numero di vittime, ma ciò non ha impedito il sorgere di un senso di sfiducia nei suoi confronti. A riprova di ciò, persino la giuria deputata al suo processo, interamente composta da giurati bianchi, lo condannò ad una pena ritenuta dalla stampa americana eccessiva.

Istantanea del processo di Timothy Foster

Così come l’etnia di appartenenza influenza i giudizi di chi guarda, anche la scelta stilistica può manipolare l’idea che viene costruita di un individuo. L’abito non fa il monaco, ma la maniera di vestirsi può far apparire rispettabile anche chi ha più d’uno scheletro nell’armadio.

Albert De Salvo, il presunto “strangolatore di Boston”, è stato giudicato all’unanimità dagli intervistati una personalità con un ruolo di spicco nella società, un uomo capace di dare molto alla collettività, quando la realtà racconta una storia decisamente diversa. Una storia fatta di stupri accertati ed omicidi mai del tutto provati, un macabro spettacolo che né le autorità giudiziarie, né la stampa sono riuscite a chiarire fino in fondo.

Albert De Salvo
Lavoro e denaro: quando crollano i pilastri della rispettabilità sociale

La ricchezza e un buon lavoro sono spesso due variabili indice di una vita onesta, vissuta sotto la luce del sole. Anche chi gode di tali fortune, però, può cedere ad impulsi criminali, generando sgomento in coloro che li circondano.

Fra i protagonisti dell’indagine sono due i profili riconducibili a questa casistica, i fratelli Menendez e Fançois Vérove. Erik e Lyle Menendez, considerati dal 55% del campione degli sportivi e da un ulteriore 25% studenti, erano infatti due ragazzi cresciuti in un mondo dorato, fatto di lusso e soldi a non finire. Questo non ha però impedito loro di uccidere a colpi di fucile entrambi i genitori, sebbene non sia mai stato chiarito l’effettivo motivo che li ha spinti a commettere un’azione tanto efferata.

Erik e Lyle Menendez

Anche l’aspetto di François Vérove, ritenuto dagli intervistati un professore (30%) o comunque un impiegato in ambito statale, nascondeva una personalità dai tratti macabri. Lui era infatti il famigerato “butterato”, che ha stuprato e ucciso un numero imprecisato di vittime. Un criminale seriale celato sotto la maschera di un garante della giustizia, un’occupazione che gli ha permesso di serbare il suo segreto per oltre trentacinque anni.

Un’orrida epopea conclusasi solo con una confessione seguita da un suicidio. I due esempi presi in esame provano come la flebile apparenza di rispettabilità creata dal denaro e dal lavoro non sia identificativa di una persona onesta.

Il fascino del crimine: Ted Bundy

Quando si incontra per la prima volta qualcuno, l’occhio reclama prepotentemente la sua parte. Nel trovarsi davanti a qualcuno di bell’aspetto, la cui bellezza risalta offuscando il resto, si è inconsciamente portati ad abbassare le proprie difese e a sentirsi tranquilli. Theodore Bundy, meglio conosciuto come Ted, non ha disatteso le aspettative.

Ted Bundy

Il campione, vedendo l’immagine che lo ritraeva, ha ritenuto di avere a che fare con un rispettato professore (35%), o con un uomo impegnato in ambito politico-letterario. In aggiunta a ciò, date le nostre ricerche pregresse, non hanno destato particolare sorpresa i commenti fatti dagli intervistati. Il 90% di essi ha infatti convenuto nel sottolineare la grande bellezza di Ted Bundy, l’unico fra tutti i casi presi in esame che utilizzava tale qualità come arma.

La grande avvenenza fisica di cui era dotato, unita ad una grande capacità di manipolazione, erano quel che gli permetteva di avvicinare gran parte delle vittime a cui poi ha tolto la vita. Non si serviva però di queste sue caratteristiche unicamente per uccidere.

In occasione dei suoi svariati processi, che furono i primi ad essere trasmessi in diretta tv, tentò di persuadere la giuria facendo leva sulla propria capacità di ammaliare. In un ultimo, disperato tentativo di aver salva la vita arrivò persino ad assumere il ruolo di suo avvocato difensore, confidando in quella letale bellezza che tante esistenze era riuscita a terminare.

Ted Bundy testimonia al suo processo
Sull’inattualità dell’apparenza

Giunte alla fine della nostra indagine, ci sentiamo di affermare che il giudicare in base all’apparenza sia oggi un fenomeno ancora particolarmente radicato. Dei dieci soggetti raffigurati nelle immagini da noi selezionate, l’80% di essi è risultato essere un “insospettabile sospetto”. Questo nonostante, lo ribadiamo ulteriormente, essi fossero tutti omicidi. Per quanto riguarda il restante 20%, pari a due immagini su 10, ciò che ad alcuni suggeriva l’apparenza corrispondeva al vero.

Infatti, al momento dell’analisi delle fotografie di Angelo Izzo e Andrej Romanovič Čikatilo, una piccola percentuale del nostro campione ha identificato i due soggetti come potenziali criminali. Al di là di questa lieve flessione nelle risposte, risulta evidente come si sia ancora troppo attaccati alla superficialità nel categorizzare le persone in base a ciò che vediamo. E, alle volte, non ci si rende conto fino in fondo di quanto ciò possa portare a conseguenze potenzialmente letali.

a cura di
Annalisa Barbieri
Desirée Cicero

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