“Il senso di Hitler”: dal nazismo a Tik Tok

“Il senso di Hitler”: dal nazismo a Tik Tok
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Arriva nelle sale il film che indaga l’influenza Adolf Hitler tra passato e presente

Il 27 gennaio nelle scuole le iniziative in onore del Giorno della Memoria dell’Olocausto si ripetono, meccanicamente, ogni anno: in aula viene proiettato un film e la più brava della classe legge le poesie di Primo Levi. All’ora di pranzo i telegiornali mostrano le inquietanti immagini di un genocidio mentre le giornaliste ripercorrono i passi della guerra e la caduta del nazi-fascismo. Ogni 27 il programma della giornata riprende e la gente sembra percepire l’importanza di tale ricorrenza come qualsosa di normale.

In un panorama saturo di immagini e testi sulla più grande catastrofe dei tempi moderni, questo 27 gennaio entra in gioco un interessante documentario su colui che ne è il principale responsabile: Hitler. Wanted Cinema produce e distribuisce un innovativo lungometraggio diretto da Petra Epperlein e Michael Tucker dal titolo “Il Senso di Hitler”.

Il film riprende alcune teorie del libro “the meaning of Hitler” di Haffner che analizzano la sua influenza, la costruzione del consenso e della mitologia attorno alla sua figura durante gli anni del nazismo, un’influenza che perdura ancora oggi.

“Il senso di Hitler”

“Il senso di Hitler” è un film che combina intelligentemente materiale d’archivio ad interviste, proponendo soluzioni visive inedite e a tratti grottesce. La macchina da presa ci permette di scrutare lo spazio circostante, ora silente tra i boschi testimoni delle atrocità dei campi di concentramento, ora su una mercedes mentre avanza minacciosa per le vie delle città.

Per la realizzazione del film, i due registi hanno toccato nove paesi esplorando le tappe più significative del percorso verso la gloria del dittatore tedesco. Epperlein e Tucker hanno interrogato numerosi storici tra cui Deborah Lipstadt, Martin Amis, Yehuda Baueri, i quali offrono preziose testimonianze sulle motivazioni dell’ascesa di Hitler. Inoltre, dimostrano come il male, di cui egli era personificazione, è radicato in certi leader moderni e in alcune delle manifestazioni più progredite della tecnologia.

La storia di Hitler è la storia della Germania

Nonostante numerosi documentari e programmi abbiano tentato di raccontare la personalità di Adolf Hitler, la reale indole del Fuhrer rimane nascosta ai più. Come il film suggerisce, per poter comprendere a fondo la sua storia è necessario collegarla a quella tedesca.

La Germania post Prima guerra mondiale è una nazione distrutta. L’umiliazione della sconfitta si connette con la frustrazione di Hitler, capace di portare il senso di vittimizzazione e di perdita alla sua massima radicalizzazione. È sul generale malcontento del popolo dovuto a condizioni di estrema precarietà economica di un Paese decaduto che si fonda l’ascesa di Hitler e del nazionalsocialismo. Il patriottismo, così, si trasforma in pericoloso nazionalismo quando la popolazione tedesca inizia a decretare la propria superiorità.

Un’analisi puntale dei principi del nazismo identifica il concetto di morte come più importante di quello della vita: per il nazionalsocialismo la morte è allacciata all’idea del martirio, a sua volta intimamente legato alla sensazione di eternità a cui Hitler e i nazisti aspiravano. L’obiettivo malsano di conquistare la fantomatica immortalità, seppur nel più crudele dei modi, è stato raggiunto: Hitler è ancora una presenza ingombrante e affascinante del nostro tempo.

Hitler nell’immaginario collettivo

I prodotti audiovisivi, dagli anni ‘30 fino alla contemporaneità, hanno contribuito ad aumentare l’interesse e la fascinazione per Hitler. Intanto, uno dei film di più grande impatto della storia del cinema, soprattutto dal punto di vista estetico, “Il Trionfo della Volontà” di Leni Riefensthal, è stato commissionato proprio dal Fuhrer per incrementare la propaganda nazista. Come gli storici intervistati nel documentario dichiarano, la struttura dell’inquadratura e le scelte tecnico stilistiche de “Il trionfo della volontà” sono state riprese in tanti film di successo futuri.

In linea con la propensione del nazismo all’esasperata esibizione e al mantenimento forzato dell’apparenza, “Il senso di Hilter” offre un interessante punto di riflessione circa l’immaginario che i film su Hitler gli hanno conferito. È noto come lui e sua moglie, pur di non consegnarsi ai nemici, abbiano deciso di togliersi la vita. Nella rappresentazione cinematografica, spesso, la cinepresa censura il momento della sua morte. Questa ne mostra solo la causa ed ingiustamente regala al dittatore una dignità di cui non solo non dovrebbe godere, ma di cui non ne beneficiano neppure le vittime dello sterminio.

E così si perpetra e si potenzia l’attrazione verso Hitler, mentre l’interesse nei confronti dei morti precipita nell’abisso dell’oblio. Ma quanto ancora si può raccontare sul Fuhrer senza che continui ad ergersi, anche da morto, come leggenda?

La minaccia del nazismo nel presente

La distruzione dei simboli nazisti non ne ha demolito l’ideologia, la cui riproduzione simbolica, invece, è stata, ad oggi, normalizzata. Gli storici interpellati ne “Il senso di Hitler” riflettono sulla minaccia che il nazionalsocialismo rappresenta nel presente e su come, a causa della libera e democratica circolazione delle informazioni su internet, l’Olocausto sia stato sottoposto ad una vergognosa revisione storica.

Il documentario dà spazio, infatti, a David Irving, un farneticante storico che minimizza il coinvolgimento di Hitler nello sterminio degli ebrei, incolpando gli stessi di consolidati stereotipi di vittimizzazione. Il pericolo che i fatti storici e documentati possano essere modificati a seconda di chi li comunica trasforma il reale in un miscuglio di menzogne. A pagare il pegno per tale processo sono coloro già caduti per mano della furia nazista.

Ciò che viene sedimentato soprattutto a causa delle tendenze politiche degli ultimi anni è il disprezzo verso il diverso: ora sono gli ebrei, ora gli immigrati. Internet e i social network come Tik Tok o Twicht, contribuiscono alla diffusione di ostilità senza fondamento storico, fungendo da megafono in nome del Dio denaro. Questo perché su tali piattaforme la gente comune ha la possibilità di parlare alle persone e contemporaneamente guadagnare soldi, sfruttando argomenti forti e controversi, come l’Olocausto.

Hitler si serviva della potenza amplificatoria del microfono, intensificando momenti di tensione e sminuendone altri di minor importanza, con lo scopo di persuadere la massa. Al microfono sono stati sostituiti i nuovi Social Network. Questi sono contenitori virtuali dei più disparati preconcetti, strumenti democratici alla mercé di chiunque si senta in dovere di esprimere un concetto, seppur il più pericoloso e ingiustificato.  

Chi è davvero Hitler?

I registi viaggiano attraverso i luoghi culto del nazismo e i posti chiavi per Hitler, al fine di scoprire, ambiziosamente, la vera natura della sua personalità. Il dittatore ha fatto sì che la gente avesse di lui un’immagine di un uomo integro, avulso da condizionamenti amorosi e vizi, dedito esclusivamente alla crescita della Germania.

Quel che è certo, è che Hitler non aveva alcun tipo di talento. L’uomo risultava essere mediocre in ogni attività, dalla pittura allo sport. Idolo per le donne, ispirazione per gli uomini, sul Fuhrer molti studiosi e medici si sono spesi per farne una diagnosi. E’ schizofrenico? Non ha mai superato il complesso edipico? Quali sono le fondamenta della sua furia controllata?

Il senso di Hitler” ha provato a rispondere a queste e a tante altre questioni, vagliando molteplici possibilità che non escludono una continuità tra un’infanzia scadente e deliri di onnipotenza. La verità, però, è che l’aspetto di maggiore inquietudine della personalità di Hitler corrisponde alla sua più assoluta normalità.

Il tentativo di attribuirgli una fantomatica malattia mentale sarebbe solo una magra scusa per non osservare la realtà dei fatti: Hitler è stato un uomo ordinario. La normalità del suo odio, dei suoi vaneggi, è quella che minaccia il futuro della società. Se Hitler non aveva nulla di diverso da noi, ciò significa che Hitler potremmo essere noi stessi. Il male, allora, diventa una condanna universale che trascende periodi storici, propositi di pace e tentativi di memoria.

Il nostro compito

Alla luce di queste considerazioni, “Il senso di Hitler”, da essere un semplice documentario sull’uomo, si trasforma in un’inesorabile decostruzione del presente sul quale aleggia l’ombra feroce che un altro Hitler arriverà. La forma attraverso la quale questo disastro si paleserà non è dato saperlo.

L’attualità, comunque, fornisce numerosi indizi. Di chi dobbiamo avere paura? Di leader politici fasulli? Dei multimilionari che controllano la nostra privacy sul web e indirizzano le masse verso scelte eticamente discutibili? O forse di noi stessi, perché siamo tanto ciechi da non riconoscere il cattivo, fino a trasformarci in lui stesso?

Un grido di speranza si affaccia per le generazioni attuali e future, quello della memoria. Ridurre il 27 gennaio ad un mero e pedissequo elenco di celebrazioni, significa non riflettere davvero sul senso del ricordo. Approfondire l’orrore delle vittime, ascoltare il loro dolore, dopo ottant’anni dalla fine della guerra, è ancora l’unica risorsa per cambiare l’andazzo pericoloso che la società contemporanea sta tristemente prendendo.

a cura di
Noemi Didonna

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