Godot, nuova wave del cantautorato italiano: l’intervista
C’è un tempo per tutto, a volte anche i momenti di attesa sono essenziali per noi. GODOT., nome d’arte di Giacomo Pratelli, ce lo racconta attraverso la sua arte, l’ossessione per il tempo e una tenerezza di prim’ordine.
Cresciuto nella periferia milanese, tra i banchi di scuola inizia a cantare e da li non smette più, accompagnato dal cantautorato italiano, sua grande influenza musicale. Ritornato dalla Cambogia, nel 2017 nasce ufficialmente il suo progetto, grazie poi all’EP Me ne vado a Londra si introduce nella scena musicale italiana ed insieme al suo ukulele ha le prime esperienze live come solista.
Le passioni come motore artistico
Forte della sua passione per il teatro, il cantautore lombardo così personalizza i suoi lavori, infatti con una tendenza scenica ci regala il background, gli effetti speciali, secondi di attesa che innalzano la suspense ma anche momenti di riflessione, con una palpabile messa a fuoco di attimi più crudi e dolorosi. Il tutto attraverso una lente delicata e sincera.
I nuovi progetti
Dopo vari progetti formativi, il 30 Ottobre è uscito il suo nuovo singolo La Giostra, brano sinfonico ed emotivo adatto alla colonna sonora di un film su un amore ormai agli sgoccioli. Il violoncello in sottofondo è terapeutico, una melodia guaritrice finale azzeccatissima.
La canzone è contenuta nel nuovo album CONTROTEMPO in uscita il 20 novembre che racchiude anni di crescita, amori, viaggi, lavoro e sperimentazioni musicali. Con una voce impegnata sia nel canto che nel sociale, GODOT. si è aperto un po’ con noi, ecco cosa ci ha raccontato nella nostra chiacchierata insieme.
Ciao GODOT., vuoi raccontarci cosa c’è dietro il tuo nome d’arte?
C’è semplicemente il mio grande amore per il teatro, per le opere di Samuel Beckett (ma l’avete mai letto Finale di Partita? Capolavoro!) e, sostanzialmente, per le attese. Nelle attese potenzialmente tutto può accadere, anche la cosa più bella e significativa della tua vita. Sono una persona estremamente positiva (non al covid, però…tampone fatto due giorni fa!) e mi piace sempre sperare che il meglio sia dietro l’angolo. Io lo sto aspettando, e mi sto godendo l’attesa!
Nel tuo nuovo brano La giostra c’è un’atmosfera onirica, forse anche grazie agli archi, e da quasi una sensazione da ending scene di un film: parlacene un po’
Bella l’immagine della fine di un film! Effettivamente La giostra parla di una fine. È un brano autobiografico e io ho precise nella mente le immagini di quanto accadde, e non si distanziano poi tanto da una fine – triste – di un film – triste – durato più del dovuto. Gli archi sono magistralmente suonati da Daniela Svaoldi, la quale ha interpretato questo finale orchestrale che ho scritto una notte di gennaio 2019 su un pianoforte scordato. Quando ascolto quello che avevo registrato e poi il risultato finale…non mi sembra vero!
La giostra è un amore che finisce, ma finisce nel peggiore dei modi, perché si è trascinato a lungo portando la persona ancora innamorata quasi a cancellarsi, a non rispettarsi più, a fare di tutti per di essere vista e amata. La chiusa finale con gli archi è la liberazione da questo giogo. L’amore è finito, la vita ricomincia a girare.
Il 20 di novembre è in arrivo il tuo nuovo album: che significato ha per te il titolo CONTROTEMPO che hai utilizzato? Ci si può ricollegare pure la copertina in qualche modo?
In qualche modo, effettivamente sì. Il titolo CONTROTEMPO si rifà al brano omonimo, pubblicato nel marzo 2019, che è stato il motore che mi ha spinto a decidere di chiudermi in studio per registrare un album. Ho scritto quella canzone e poi mi sono detto “ok, voglio registrare un disco”. È una sorta di omaggio alla canzone, ma non solo…Ho un rapporto complesso con il tempo, sostanzialmente lo odio. Mi sento un neo ventenne ma sulla carta i trenta sono alle porte. Vorrei riuscire a far pace con questa sensazione di essere indietro coi tempi e accettare il fatto di aver scelto di vivere un po’ controtempo. Va bene così.
I miei amici si sposano, hanno promozioni in ufficio, figli e fanno le vacanze per riposarsi dalla frenesia dell’anno lavorativo. Io no. Pace. Tutto questo comporta anche il fatto di portare sempre vivo in me il bambino che sono stato. Non sono una persona infantile, ma è fondamentale per me non soffocare quella voce, quel modo di approcciarsi alla vita. Un immagine un po’ Pascoliana, ma su cui fondo molto di quello che sono.
Milano e la sua periferia, dove sei cresciuto, sono il panorama e il sottofondo di questo disco, ce lo dici apertamente anche grazie a MILANOMONAMOUR ad esempio. C’è qualche altro posto/città ti ha influenzato artisticamente?
Certamente. Io mi sento Milanese ma solo a metà. Quando alle elementari mi chiedevano di dove fossi originario, io dicevo sempre “provincia Siena”. La cosa divertente è che non ci ero mai andato. Anzi. Ho avuto modo di cominciare a frequentare quella parte delle mie radici solo verso i 18 anni. Il mio papà ha origini toscane e da qualche tempo abbiamo rimesso a posto una case proprio nel senese. Spesso mi ci vado a rifugiare e scrivo. Due brani dell’album, tra cui Oppure, sono nati lì. Per me è un luogo “sacro”.
Questo progetto è un percorso che dura dal 2014 ad oggi essenzialmente, c’è un qualcosa/qualcuno, un pilastro di questa tua evoluzione che è rimasto stabile e ti ha supportato durante i momenti di difficoltà?
Il progetto GODOT. nasce effettivamente una volta rientrato in Italia dopo una esperienza di due anni in Cambogia. Ma solo nel 2017 ho cominciato a pubblicare musica, a suonare in giro: in questi anni ho avuto la fortuna di circondarmi di persone che amo e stimo, sono davvero i miei pilastri. Approfitto della domanda per citarli e ringraziarli.
Simone Pirovano e Lorenzo Caperchi, i miei produttori. Sono persone speciali con una sensibilità unica. Nicoletta Tiberini, la mia insegnante di canto, che per prima mi ha spinto a provarci. Chiara e Francesca Turati, siamo cresciuti insieme e sono come sorelle per me, e con me seguono l’immagine social di GODOT: inventiamo shooting fotografici improvvisati e abbiamo un fioraio di fiducia che ci teme profondamente. Ci sono poi Silvia Russo e Davide Novello, con i quali condivido sempre ogni mia canzone in fase embrionale. Vengono dal mondo del teatro e mi piace che mi spornino a lavorare meglio sui miei testi.
La tua presenza su Instagram e in generale i social è molto sincera, parli ai tuoi followers di temi importanti condividendo le tue esperienze. Su che tipo di cambiamento stai lavorando attivamente e vorresti vedere negli altri?
I social sono un mezzo potentissimo e molto pericoloso allo stesso tempo. Mi rendo conto di essere seguito, anche se in minima parte, anche da giovanissimi. Per quello voglio essere totalmente sincero e totalmente trasparente. Perché vorrei poter dare un piccolo contributo per una società che sia migliore di quella in cui sono cresciuto. Vorrei combattere gli stereotipi di genere, e spesso ricordo che gli uomini soffrono e piangono, e questo non li rende meno uomini. Vorrei contribuire alle lotte per una parità che sia davvero tale. Non può esistere, davanti alla legge, un cittadino di serie B. È gravissimo.
In questi giorni, poiché Novembre è il mese della prevenzione al maschile, sto parlando della mia malattia, una malattia cronica chiamata nevralgia del nervo pudendo. È più diffusa di quanto si possa pensare, ma crea imbarazzo poiché agisce nella zona pelvica. E invece non c’è niente di imbarazzante. Imbarazzante è stare male e non poter esprimere il proprio disagio perché ci si vergogna! Vorrei vivere in una società in grado di guardare all’altro con amore, con rispetto. Che dite, scendo in politica?
Tornando indietro nel tempo, nel brano LONDRA c’è un esercizio linguistico molto interessante, ovvero un mix di Italiano ed Inglese, pensi di riproporre altre sperimentazioni del genere?
Insomma, diciamo che c’è chi sa sperimentare con le lingue molto meglio di me. Però posso dire che sì, in Controtempo ci sarà un brano con qualche parolina in francese!
Cosa possiamo aspettarci in futuro o nei prossimi mesi dopo questo progetto?
Musica. Io non ho mai smesso di scrivere. Ho già pronte tante canzoni nuove, la quarantena è stata particolarmente proficua ma ammetto esserci un brano, scritto per la precisione il 3 gennaio 2020, a cui tengo molto e che mi piacerebbe poter pubblicare presto. Ma facciamo che provo a non catapultarmi troppo in là e a godermi il presente? Ci provo. Ma sappiate che Controtempo è solo l’inizio!
a cura di
Ines Chadri
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