Vita sul pianeta terra: istruzioni per l’uso

Vita sul pianeta terra: istruzioni per l’uso
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Matt Haig ha sofferto per anni di attacchi di panico e ansia, e nel suo libro Vita su un pianeta nervoso (Edizioni e/o), racconta cos’ha imparato da questa esperienza.

L’opera si presenta come una sorta di manuale d’uso su come vivere, o meglio sopravvivere, sul nostro pianeta. Il suo principale consiglio è quello di fermarsi un attimo, “scollegarsi” per qualche istante dai nostri cellulari, dal pc e dal mondo. Perché il nostro pianeta è in sovraccarico.

“Che il mondo abbia un cervello è una metafora abusata ma calzante. Noi siamo i neuroni del cervello del mondo, e trasmettiamo noi stessi a tutti gli altri neuroni. Trasmettiamo il sovraccarico avanti e indietro. Neuroni sovraccarichi di un pianeta nervoso. Sul punto di crollare”. 

Il nostro pianeta ci porta naturalmente ad essere nervosi, per colpa dei continui giudizi a cui siamo sottoposti fin dalla più tenera età a scuola, luogo in cui siamo continuamente giudicati in base ai voti, e in cui siamo costantemente sollecitati a pensare al nostro futuro e a cosa vorremo fare da grandi.

Inoltre, l’idea errata per cui il lavoro sarebbe lo scopo ultimo dell’esistenza, porta gli esseri umani a vivere per il lavoro, anziché a lavorare per vivere.

Le immagini patinate e “irrealistiche” dei social network, ci causano invidia per i corpi, le cose e le vite altrui.

L’incessante flusso di informazioni che proviene da Internet e la continua pressione dataci dai mezzi di comunicazione come le email, le chat su WhatsApp e i commenti su Twitter, ci inducono a pensare di dover rispondere sempre il prima possibile.

La tensione a cui siamo sottoposti guardando i notiziari o leggendo i giornali, dimostra che nei media il sensazionalismo dilaga e fa vendere più del sesso.

Guardare i notiziari tutti i giorni può essere causa di stress emotivo, poiché la perenne ricerca del sensazionalismo, oltre che farci preoccupare per la nostra incolumità e quella dei nostri cari, ci fa sentire impotenti di fronte alle ingiustizie del mondo.

Poi, il bombardamento quotidiano degli spot pubblicitari, ci fa desiderare di voler comprare sempre di più, anche cose che non ci servono, facendoci credere che quando le avremo saremo finalmente felici.

Un processo tossico che si autoalimenta, poiché più cose possediamo e più cose vogliamo: non solo oggetti ma anche soldi, fama, bellezza e giovinezza

Le pubblicità  fanno leva sulle nostre paure più profonde, come quella di invecchiare, portandoci ad acquistare sempre più prodotti che possano farci ringiovanire, migliorare o apparire più attraenti, inseguendo dei modelli estetici assolutamente impossibili.

Le continue preoccupazioni per il futuro, per i potenziali incidenti o malattie che possono colpire persone a noi care. Il senso di colpa per i propri privilegi, per i propri desideri inconfessabili, o quella per i propri errori passati. Così come il timore di non essere all’altezza degli altri, di non aver lavorato abbastanza, o di aver lavorato troppo trascurando i propri affetti.

Insomma, il nostro è un pianeta nervoso, e noi rischiamo di collassare assieme a lui

Uno dei suggerimenti dell’autore è quindi, quello di “scollegarsi”. Non solo dallo smartphone o dal pc, ma anche dal mondo. Che non significa fuggire dai problemi, bensì avere più consapevolezza di noi stessi.

Uscire all’aria aperta per godersi la natura. Guardare il cielo (che, è stato dimostrato, può indurre calma) e fare yoga. Ritagliarsi dei momenti per sé e dedicarsi ai propri affetti. Comprare meno e non paragonarsi agli altri. Accettare i propri difetti. Questi sono solo alcuni dei consigli per prenderci cura di noi stessi.

“All’inizio della mia prima esperienza di attacchi di panico le uniche cose che avevo eliminato erano state l’alcol, le sigarette e il caffè forte. All’epoca di cui vi sto parlando, invece, tanti anni dopo, ho capito che il problema consisteva in un sovraccarico di natura più generalizzata
Un sovraccarico esistenziale.

E di certo un sovraccarico tecnologico. A parte l’automobile e la cucina, tutta la tecnologia con cui ho interagito durante quest’ultimo processo di guarigione sono stati i video su YouTube, che guardavo con la luminosità regolata al minimo. L’ansia non è scomparsa per miracolo. A differenza dello smartphone, non esiste un pulsante di spegnimento per l’ansia. Però ho smesso di sentirmi peggio. Mi sono stabilizzato. E dopo qualche giorno ho iniziato a calmarmi. Il ben noto percorso di guarigione è iniziato prima del solito. E astenermi dagli stimolanti, non solo alcol e caffeina ma anche le altre cose nominate fin qui, è stato parte di quel processo. Per farla breve, ho ricominciato a sentirmi libero.”

Una delle parti centrali del libro è quella dove l’autore descrive il suo ultimo attacco di panico, provato mentre si trovava in un centro commerciale assieme alla fidanzata

Un attimo prima, sull’autobus, aveva percepito un lieve senso di disperazione che si è poi trasformato in un vero e proprio attacco di ansia. Scoppia a piangere in mezzo alla gente, e il senso di colpa per non essersi “comportato da uomo” lo assale. La sensazione è di autentico terrore, quella di aver oltrepassato il limite e di non farcela. Gli sembra di morire.

 “Chi non ha mai attraversato periodi in cui è stato costretto a convivere con l’ansia e il panico non capisce che la realtà del proprio io è a tutti gli effetti un sentimento, che si può perdere. La gente la dà per scontata. Nessuno si alza la mattina, si spalma il burro di arachidi sul pane tostato e pensa: “Ah, bene, il mio senso di identità è intatto, e il mondo esiste ancora. Adesso posso affrontare la giornata”. È lì e basta. Finché all’improvviso non c’è più. Finché non ti trovi nella corsia dei cereali per la colazione in preda a un terrore inspiegabile”.

In seguito, Haig, spiega che inizialmente non sapeva come affrontare queste crisi, proprio perché non aveva considerato l’influenza del mondo esterno sul suo mondo interiore: il centro commerciale è un luogo molto stimolante che incentiva a tutto, fuorché alla calma.

In un luogo simile, si è continuamente indotti a consumare, con la finta promessa che, solo comprando, si raggiungerà la felicità. Inoltre, la grande folla di gente intorno a noi, rischia di farci sentire in trappola, o ancora più soli di quello che siamo in realtà. E anche se il centro commerciale può sembrare un posto dove potersi distrarre, lasciando i problemi fuori, in realtà, è proprio ignorandoli che essi si intensificheranno, finendo per inghiottirci. Come spiega l’autore in un passo del libro:

“Non si può ignorare il dolore ricorrendo a comportamenti compulsivi, come deglutire, twittare o bere troppo. Si arriva a un punto in cui si è costretti ad affrontarlo. Ad affrontare sé stessi.

La soluzione che ci propone Haig non è una nemmeno una soluzione in realtà, poiché la chiave universale per riuscire a raggiungere la pace interiore, non la conosce nemmeno lui.

Quelli che ci mostra nel suo saggio, sono solo dei piccoli e “semplici” consigli per riuscire a sopravvivere nel quotidiano senza essere inghiottiti da questa frenesia.

Lui stesso è il primo ad ammettere che il suo percorso spirituale è ben lungi dall’essere completo, e che probabilmente non raggiungerà mai la meta, poiché, forse, una meta non esiste nemmeno.

“Si tratta di un processo continuo. L’importante è essere consapevoli che la soluzione è dentro di noi. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno è già lì. Tutto ciò che siamo è sufficiente. Non abbiamo bisogno di una barca più grande per affrontare gli squali che ci circondano. Siamo noi la barca più grossa“. 

Diventando consapevoli di questi sentimenti, della sofferenza che questo mondo ci provoca in molteplici modi, tramite i commenti negativi, il giudizio altrui e la pressione della società, noi arriviamo ad accettarli, e accettandoli, possiamo anche difenderci meglio.

Non possiamo evitare in alcun modo di ricevere commenti negativi o di essere giudicati dagli altri, ma perlomeno abbiamo il controllo su ciò che possiamo fare

Possiamo accettare di non avere alcun controllo su di loro, ma solo su noi stessi. E avendo questa consapevolezza, possiamo cambiare il nostro modo di reagire a questo sovraccarico esistenziale, ed evitare che questo “troppo” ci divori

a cura di
Silvia Ruffaldi

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Silvia Ruffaldi

Silvia ha studiato Scienze della Comunicazione a Reggio Emilia con il preciso scopo di seguire la strada del giornalismo, passione che l’ha “contagiata” alle superiori, quando, adolescente e ancora insicura non aveva idea di cosa avrebbe voluto fare nella vita. Il primo impatto con questo mondo l’ha avuto leggendo per caso i racconti/reportage di guerra di Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. Da lì in poi è stato amore vero, e ha capito che se c’era una cosa che voleva fare nella vita (e che le veniva anche discretamente bene), questa doveva avere a che fare in qualche modo con la scrittura. La penna le permette di esprimere se stessa, molto più di mille parole. Ma dato che il mestiere dell’inviato di guerra può risultare un tantino pericoloso, ha deciso di perseguire il suo sogno, rimanendo coi piedi ben piantati a terra e nel 2019 ha preso la laurea Magistrale in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma. Delle sue letture adolescenziali le è rimasto un profondo senso di giustizia, e il desiderio utopico di salvare il mondo ( progetto poco ambizioso, voi che dite ?).

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