Un inconcontro con Lowinsky e i suoi “Oggetti Smarriti”
I Lowinsky non sono un nome nuovo all’interno della scena underground lecco-milano-bergamasca. Il trio ha infatti già due EP all’attivo, inoltre il leader Carlo Pinchetti è già stato in passato partecipe di progetti di spessore quali Finistère e Daisy Chains.
“Oggetti Smarriti” può però esser sì visto come una novità grazie ad una convinta sferzata nel sound proposto, meno confuso, più minimale. Una chitarra (a volte elettrica a volte acustica), un basso e una batteria, una voce, pochi selezionati effetti, un violino od una tastiera giusto dove serve.
I padri putativi sono gli eroi dell’alternative rock anni Novanta con una predilezione verso le band non troppo note (Lemonheads, Sebadoh, Nada Surf… per dire solo i primi che mi vengono in mente), l’attitudine è punk, il mood cantautorale (Grignani o Carboni, non i vecchi De Andrè, Guccini e compagnia bella).
I brani proposti sono dieci e mostrano due anime fra loro antitetiche, ma ben amalgamate: quella più distorta e quella più dolce. Se l’album inizia infatti con la ferocia di Coltelli, il tris successivo di canzoni è sicuramente più malinconica (Seppuku e Vacanza paradiso sanno di Elliott Smith, Bandiera, già ascoltata nel precedente EP “Divan” in versione demo,è invece un grido di speranza pop).
L’atmosfera cambia in Lelaina (visi alla tv), un bel punk anni Novanta / inizio millennio debitore del sottovalutatissimo Alberto Camerini del suo periodo Skidsoplatix, 2013 è una toccante ninna nanna, Vertigine e L’ennemi due nuove versioni di due brani dell’esordio migliorate dal violino e dalla chitarra acustica, Macigno e la conclusiva L.M.R. chiudono l’ascolto in modo fragoroso.
Un disco sincero che merita d’essere ascoltato.
Più e più volte.
Ciao ragazzi, ho visto che grazie alla vostra nuova creatura “Oggetti smarriti” avete avuto la possibilità di rispondere già ad un bel po’ di domande… Cercherò quindi di chiedervi qualcosa di diverso. Iniziamo quindi: Lowinsky. Perchè il refuso del nome della bella Monica? Il vostro obiettivo è succhiare un bel po’ di vecchio e buon rock chitarristico e risputarcelo in faccia? Quale è il significato che date al vostro nome?
La questione legata al nostro nome è simpatica, nel senso che nel periodo in cui si stava ragionando su delle possibili soluzioni abbiamo avuto l’intuizione di inserire il cognome Lewinsky della ben nota Monica. Innanzitutto è stata una scelta diciamo un po’ didascalica per far riferimento al nostro amore per gli anni ’90 e al buon rock chitarristico a cui fai riferimento tu, e poi d’altro canto, anche per esaltare, nel nostro piccolo, una figura ampiamente bistrattata.
Nel periodo in cui mi stavo arrovellando il Gulliver tra una soluzione e l’altra ho passato una serata con il mio amico Drew McConnell, gli ho raccontato del gruppo e l’ho aggiornato su un po’ di questioni, tra cui quella del nome. A questo punto lui, dall’alto della sua street credibility, ha indovinato la proposta definitiva suggerendomi di trasformare Lewinsky in Lowinsky con la seguente motivazione: “…così nelle interviste puoi dire che è perché sei triste…”.
Come già scritto nella recensione, ascoltandovi mi sono venuti in mente un po’ di nomi della vecchia guardia. Se non penso ci siano problemi nell’accostarvi a gente come Elliott Smith, Lemonheads o Nada Surf, sarei invece curioso di sapere che ne pensate degli italiani da me indicati: Grignani, Camerini, Carboni. È solo una mia sensazione o c’è in effetti qualcosa sotto?
Diciamo che è difficile risponderti perché, se da un lato apprezzo molto il Grignani “alternative” de “la fabbrica di plastica” e “campi di popcorn”, sono invece quasi a zero riguardo a Camerini e Carboni. Però la cosa mi intriga molto, mi piace quando qualcuno suggerisce accostamenti e collegamenti che non esistono in forma volontaria, ma che poi possono assolutamente reggere all’atto pratico. Trovo sia un processo molto affascinante. Prometto di andare a documentarmi!
Finiamo con una domanda legata al live. Carlo, tu spesso suoni anche solo, chitarra e voce, quasi sussurrando, lo stesso non si può invece dire per quando siete in tre fra la batteria tritatutto di Andrea, il basso del Tasso e i volumi spropositati e spesso al limite del feedback della tua chitarra. In quale situazione ti senti più a tuo agio? Quali sono le differenti emozioni che provi fra unplugged e show elettrico?
In questa fase della mia vita mi sento forse un pochino più a mio agio in ambito acustico, cosa che solo qualche anno fa non avrei certo detto. Mi piace avere solo la mia chitarra e la mia voce, che peraltro ha un timbro molto basso e, se in alcune situazioni elettriche fatica un po’ ad uscire dal mix delle distorsioni e dei piatti, in acustico invece credo riesca bene ad esprimere la sua naturale rotondità e morbidezza.
Ciò detto, roccheggiare mi dà ancora e sempre grandi soddisfazioni e se decidessi di interrompere gli elettrici ne sentirei immediatamente la mancanza. Non sono proprio di primo pelo ma sono comunque troppo giovane per appendere l’overdrive al chiodo!
a cura di
Sara Alice Ceccarelli
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