Laurino: “Il mio Buddha è la musica”

Laurino: “Il mio Buddha è la musica”
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Laurino è un giovane cantautore e produttore veronese. Appena adolescente decide di dedicare tutto se stesso alla musica così, compiuta la maggiore età, lascia la scuola e incide il suo primo disco autoprodotto dal titolo “18”.

A inizio 2020 pubblica Volume, il primo di una serie di singoli che lo porterà alla pubblicazione di un nuovo disco in autunno. A febbraio 2020 è stato selezionato come artista della settimana di MTV New Generation.

Il 3 aprile è uscito il suo nuovo singolo Buddha, marchiato XO La Factory. Abbiamo scambiato quattre chiacchiere con lui ed ecco ci ha raccontato…

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Chi è il tuo Buddha?

Cito da Wikipedia: “Un buddha (in italiano anche budda) è, secondo il Buddhismo, un essere che ha  raggiunto il massimo grado dell’illuminazione (bodhi).”

Bene, partiamo già con una domanda complessa quindi, mi piace. Il mio Buddha è la musica. Non in senso di divinità ma nel senso di figura mistica, è qualcosa che ogni giorno cerco di capire e reinterpretare, credo ci sia nascosto qualcosa di veramente grande dentro il concetto di “musica”. Forse però una vita non è abbastanza per capirlo, mi limiterò a giocarci finché durerà. Magari qualcosa per sbaglio finisce che la capisco.

La domanda precedente prende spunto dal tuo ultimo singolo, che si chiama appunto Buddha. Che storia racconta?

La fine di una storia d’amore durata più di tre anni in cui alla fine “perdi” tu. Ho spesso trovato   questo forte disequilibrio secondo il quale alla fine di una storia qualcuno ci rimane per forza più   male dell’altro. E in quel caso fui io. Non me l’aspettavo e questo mi portò dentro un turbine di desolazione in cui mi sentivo piccolo, inutile, incapace d’amare e insignificante. Lo superai poi, col  tempo, come fanno quasi tutti, questa canzone mi aiutò molto a rendermi conto della situazione e a         ridimensionarla per ritrovarmi.

Rispetto al tuo brano precedente, Volume, qui troviamo dei suoni che sembrano anche un po’ azzardati ma volutamente..

Rispondo come sto rispondendo a tutti, cioè in maniera un po’ provocatoria: “Ah ma tu intendi rispetto al pop italiano odierno? Allora sì, è senz’altro azzardato.” Perché in realtà in altri paesi il pop è andato avanti e si è evoluto in altre forme e generi, qui siamo ancora fermi a quello che ci ha portato l’indie, che fondamentalmente è diventato il nuovo mainstream.

Se ascolti una playlist di  indie emergente qualsiasi troverai un Calcutta, un Contessa, un Paradiso, un Gazzelle (che poi anche    lui secondo me ha – o aveva – molto di Calcutta, anche se non ho sentito le ultime cose, mi riferisco  al suo primo lavoro), produzioni simili, songwriting preimpostati sulla stessa retorica, voci simili fra  loro a livello di impostazione e interpretazione.

Insomma, un po’ una rottura di palle no? E mi ci   metto dentro tranquillamente anche io, ho fatto anche io le mie “itpoppate” ma a un certo punto    mi sono stufato, semplicemente perché non ero io. Che senso ha fare qualcosa che è già stato fatto  e che adesso comincia a diventare anche bruttino? Bona, adesso faccio quello che mi pare. Adesso  comincio a divertirmi.

Il grido di speranza che lanci in Volume, è tratto da un episodio che hai vissuto in prima persona?

Purtroppo e per fortuna sì. Ero con la mia ragazza dell’epoca ad un corteo di indipendentisti veneti,   eravamo curiosi (che usato così sembra quasi propositivo, ma non lo eravamo per niente) di sentire  che cosa avevano da dire. C’erano, se non ricordo male, una ventina di immigrati che dovevano   essere accolti nel nostro paese, si sollevò una polemica disumana, non tanto per la polemica in sé,  quanto più per il modo in cui essa era esposta. Con rabbia, cattiveria, razzismo.

Sei contrario? Sei un  buonista. Logico no? La mia ragazza salì sul podio per parlare (non una scelta troppo saggia in quel contesto anche se gli intenti erano buoni), non seppe controllare troppo bene la sua emotività      (comprensibilmente in quella situazione) e disse qualche parola “sbagliata”. Successe il delirio.

La   attaccarono tutti verbalmente, andai a recuperarla e allontanai un tizio (che poteva avere l’età di mio padre) che si mise a urlarle in faccia di andare a casa. Buttò a terra la bandiera veneta per la rabbia e creò un silenzio che mi ricorderò per sempre – per quel gesto della bandiera buttata per   terra – sono quei silenzi che in realtà durano pochi secondi ma che nel mentre in cui sei  lì presente ti sembrano durare molto di più, perché ti danno la percezione di aver bloccato il tempo.

Quella fu   la mia percezione. Il patibolo non finì lì perché insultarono la mia ragazza di allora (al tempo aveva 23 anni) per giorni su Facebook, uno schifo indegno. Poco tempo dopo scrissi Volume.

Come nascono le canzoni di Laurino?

Ne hai un esempio proprio qua sopra. Anzi, due. Nascono dalla vita che vivo, dalla vita che vivono gli  altri, da delle immagini, da una frase letta su un cartellone, da una cosa che mi colpisce in un  discorso di un amico o uno sconosciuto. Può nascere poi al piano, alla chitarra, da un campione di qualcosa, dal Moog, può nascere da qualsiasi parte!

E anche per il testo non ho regole, difficilmente  però lo scrivo prima di avere la musica, e se lo scrivo prima è perché ce l’ho già in testa. Ci sono mille modi e di canzoni ne ho scritte veramente molte negli ultimi anni, alcune per esigenza e altre per illusione.

Credo però di essere arrivato ad un punto in cui riconosco quasi subito quando  una mia canzone non funziona perché non è del tutto autentica, perché è più per farla che non per  esigenza. Ecco, spero che quelle canzoni non le sentirete mai.

a cura di
Giulia Perna

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Giulia Perna

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