Resident Evil – Netflix, we need to talk…

Resident Evil – Netflix, we need to talk…
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Una storia pensata male, realizzata peggio. Buchi di trama enormi già mezz’ora dopo il primo episodio, scelte discutibili, caratterizzazione dei personaggi insulsa. La trasposizione su piccolo schermo della celebre serie di videogiochi Capcom è…

Resident Evil: un nome che è noto anche a quella parte di popolazione mondiale non propriamente avvezza ai videogiochi. Complice anche quel film (e mezzo) decente comparso nel 2000, che portava il nome della serie videoludica (all’epoca al terzo capitolo – ora sono arrivati all’ottavo, se si escludono le decine di spin off) sul grande schermo grazie a Milla Jovovich.

Pur ispirandosi solo a grandi linee alla controparte virtuale, “Resident Evil” ha il pregio di essere un buon B Movie che coglie l’essenza dell’originale. La saga cinematografica ha poi cominciato a scavare violentemente fino a raschiare il fondo con così tanto sprezzo della qualità, che è quasi da ammirare: non vedrete film belli, ma tamarri al punto giusto da non bestemmiare e non biasimarvi (troppo) per aver trascorso un’oretta e mezza di malsano intrattenimento.

“Ciccio, andiamo al sodo”

In casa Netflix ci sono già prodotti in CGI dedicati a “Resident Evil” supervisionati direttamente da Capcom. Altalenanti, ma godibili. Va da sé che l’annuncio di una serie live action è stata accolta favorevolmente, fino a quando non è stato pubblicato il primo trailer.

Il clamore tiepido si è raffreddato come una cella frigorifera a tenuta stagna non appena “Resident Evil – La serie” è stata resa disponibile sulla piattaforma streaming.

Il qui presente scribacchino è rimasto sorpreso dalla pioggia di recensioni negative sin dalle prime ore. Sempre il qui presente scribacchino ha voluto vederci chiaro e, preso dall’insana curiosità esercitata da tanto malessere, si è sorbito l’intera prima stagione con fame bulimica.

“Dai, non pensare così male”. “Ok. È Paso Adelante, ma con gli zombie” “Ah…”

Partiamo con un breve preambolo riguardante la storia: ci sono due sorelle chiaramente adottate il cui padre, licenziatosi dall’Hotel Continental in cui prestava servizio come receptionista, decide di trasferirsi in un paesino pieno di prefabbricati tutti bianchi in Sud Africa per continuare il suo secondo lavoro alla Umbrella Corporation per sviluppare un farmaco “antidepressivo” dal nome in codice Joy.

Scopriamo che una delle due sorelle cresce, ha una famiglia ma va in lungo e in largo per il mondo sola soletta studiando gli zombie e il loro comportamento. Chissà perché, ogni volta che c’è lei nei paraggi succedono casini, sfighe e disastri vari. Lei sotto sotto pensa che qualcuno le abbia fatto una fattura, tutti gli altri ancora non si rendono conto che porta una jella scarogna infernale.

“Ma chi me l’ha fatto fare… L’hotel, le mance… Alla fine il signor Wick era anche gentile”

In queste poche righe potreste ravvisare una banalità sconcertante, ma tutto sommato con dei buoni margini per apprezzare la narrazione o la messa in scena. Ho sperato si arrivasse almeno alla (in)decenza passabile di un “Paso Adelante” in salsa zombie.

In verità, è tutto sbagliato. Tutto. Quello che si vede su schermo, le decisioni di protagonisti e comprimari, i loro ragionamenti, gli scambi di battute, i terrificanti tentativi di inserire momenti comici… È tutto fottutamente sbagliato.

Forse esageri Andrea, prenditi una Fruit Joy

Se pensate che sia esagerato, porto a esempio tre momenti ben distinti. Ho il buon cuore di non fare spoiler, anche se non servirebbe siffatta accortezza…

“Sono a capo di un progetto segreto. Meglio lasciare le chiavi del laboratorio sul comodino” – Il padre dell’anno lavora alla Umbrella, si perde le figlie in un paese grande quanto due quartieri di Bologna, ha un sonno così pesante che suddette figlie riescono a intrufolarsi in camera sua e prendere comodamente chiavi del laboratorio segreto e un registratore audio… con cui ha registrato la sua stessa voce per il riconoscimento vocale necessario per accedere agli uffici della Umbrella.

Ora, passi l’idiozia di dormire con le chiavi in bella vista… Ma che senso ha registrare la propria voce che pronuncia “Buongiorno, sono Albert Wesker”? Anche perché in tutte le scene precedenti questo benedetto registratore non viene utilizzato né mostrato.

“Mi ha morso! Oddio, cosa succede? Uh, che bella giornata, andiamo a giuocare” – Il morso di un cane infetto produce delle alterazioni di percezione della realtà e non solo. Viene fatto vedere spesso allo spettatore, il quale si aspetta qualcosa di atroce, prima o poi immagina accadrà l’ineluttabile. Invece no: d’improvviso, più nulla per un paio di episodi. Infine, così, quasi a caso, succede qualcosa che scatena una reazione senza senso e crea danni. È probabile che si siano accorti a riprese già iniziate che qualcosa mancava…

Notare lo sguardo terrorizzato del tizio dietro Jade. Non ha paura degli zombie…

“Uccidono tutti in maniera veloce, incontrollata. Tranne te” – Jade Wesker, la protagonista principale, è una mina vagante in senso letterale. Dove c’è lei scoppiano casini e disavventure. Potreste piazzarla nel Giardino dell’Eden e state sicuri che presto o tardi si scatenerà un secondo peccato originale.

Ha però una caratteristica: tra zombie e Licker che divorano e ammazzano chiunque si presenti loro nelle vicinanze, lei rimane l’unico essere umano che ha il tempo di guardare cosa le accade attorno, ricevere un’alitata da un licker, dare un cazzotto e scappare…

È troppo tardi per salvarmi…

Forse è troppo tardi per salvare anche molti di voi, ma mi rivolgo a coloro che ancora fossero in dubbio sul cominciare o meno la visione di “Resident Evil – La serie”: non fatelo, davvero.

Buchi di trama, scelte senza senso, spiegazioni idiote e situazioni destabilizzanti come: acaro zombie gigante a caso; zombie dall’olfatto sopraffino che non si accorgono di un vivente alle loro spalle; telecamere di sorveglianza nascoste anche nel televisore, rilevatori di temperatura ovunque, tranne nel posto dove c’è una stanza segreta; effrazioni in contesti super segreti e super sorvegliati e il giorno dopo nessuno sa cosa è successo.

Resident Evil è una serie ideata male e realizzata peggio.

Fatevi un favore: perdete un po’ di tempo per andare alla ricerca di uno streaming legale di Nonno Felice“. Più appassionante, meglio scritto, meglio interpretato. Sono drastico? Forse, ma lo sono per il vostro bene.

a cura di
Andrea Mariano

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Andrea Mariano

Andrea nasce in un non meglio precisato giorno di febbraio, in una non meglio precisata seconda metà degli Anni ’80. È stata l’unica volta che è arrivato con estremo anticipo a un appuntamento. Sin da piccolo ha avuto il pallino per la scrittura e la musica. Pallino che nel corso degli anni è diventato un pallone aerostatico di dimensioni ragguardevoli. Da qualche tempo ha creato e cura (almeno, cerca) Perle ai Porci, un podcast dove parla a vanvera di dischi e artisti da riscoprire. La musica non è tuttavia il suo unico interesse: si definisce nerd voyeur, nel senso che è appassionato di tecnologia e videogiochi, rimane aggiornato su tutto, ma le ultime console che ha avuto sono il Super Nintendo nel 1995 e il GameBoy pocket nel 1996. Ogni tanto si ricorda di essere serio. Ma tranquilli, capita di rado. Note particolari: crede di vivere ancora negli Anni ’90.

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