Fran Lebowitz: un’icona involontaria

Fran Lebowitz: un’icona involontaria
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La vita è qualcosa da fare quando non si riesce a dormire non è un romanzo, non è un saggio e non è una biografia. So solo quello che non è. Ma di sicuro questo libro è la fotografia perfetta della sua autrice, Fran Lebowitz.

Non si può parlare di queste pagine senza parlare di lei (come invece si potrebbe fare per il novanta per cento dei libri che ogni giorno scegliamo tra gli scaffali di una libreria). Quest’opera è intrecciata intimamente con la scrittrice, con le sue impressioni sul mondo, con i suoi irriverenti giudizi e con la sua spaventosa sincerità.

Frances Anne Lebowitz nasce il 27 ottobre 1950 a Morristown, in New Jersey. Da ragazzina studia in una scuola episcopale da cui verrà espulsa per “generica scontrosità”. Delusa, ma non troppo, salterà il college e si trasferirà a Manhattan dove svolgerà molteplici e disparati lavori (da tassista a venditrice di cinture) fino ad approdare alla rivista Interview di Andy Warhol e, in seguito, a Mademoiselle. In entrambe le riviste, appena ventenne, inizierà col pubblicare recensioni di film e libri fino a tenere una sua personale rubrica i cui scritti diedero vita ai volumi Metropolitan Life (1978) e Social Studies (1981).

Un’icona senza tempo

Newyorkese, amante della moda, dei mobili di lusso e dell’arte (anche quando non poteva permettersela), è diventata involontariamente un’icona di stile: dagli anni Settanta porta occhiali tondi tartarugati, gemelli ai polsini della camicia, jeans, giacca di taglio maschile (“e non ho nessuna giacca nera!”) e camperos. Anche la styling director di Tibi Dione Davis ha spiegato ai suoi followers su Instagram che:

“L‘abbigliamento ideale per una ragazza al primo appuntamento deve seguire la “regola di Fran”: cinquanta per cento Fran Lebowitz e cinquanta per cento Fran Drescher”.

Ma quando le si fa notare se si è mai accorta di essere diventata un’icona anche per molti italiani, la Lebowitz si nega:

Ci sono paesi al mondo che avrebbero bisogno di qualche consiglio di stile, ma l’Italia se la cava piuttosto bene da sola”.

Nel 1981 avrà quello che lei stessa dichiarerà essere “un blocco dello scrittore decennale” ma che si dilungherà molto di più, infatti non scrive nuove opere da allora. Questo però non l’ha fermata nell’esprimersi in tutta la sua estrosità e dagli anni ottanta si definisce una scrittrice non scrivente.

Defilata (ma mai abbandonata) l’arte della scrittura, Fran ha iniziato a parlare diventando una delle più ricercate ospiti di talk show, spettacoli e incontri. Ha tenuto conferenze e interviste pubbliche praticamente su tutto: dalla politica alla moda, all’arte, al cinema e al teatro. Nessuno ha mai osato contraddirla.

Nel 2010 diviene musa del dio del cinema Martin Scorsese, il quale realizzerà prima il documentario La parola a Fran Lebowitz e nel 2021 Fran Lebowitz – Una vita a New York” (catalogo Netflix)

L’opera

La vita è qualcosa da fare… è un’opera pubblicata nel 2021 ma che raccoglie i suoi scritti tratti dagli unici due libri per adulti che abbia mai pubblicato, corredati da un’intervista realizzata da George Plimpton all’indomani dell’inizio del blocco dello scrittore più famoso del mondo, e da un recentissimo dialogo inedito con lo scrittore Giulio D’Antona, che restituisce la viva voce di Lebowitz, e tutte le sue più sincere opinioni, sui giorni nostri.

Si può ben dire che si tratti di un agglomerato, solo all’apparenza confuso, di opinioni e idee, di sensazioni e di hobby, di tutto ciò che in un preciso momento prendeva vita nei suoi pensieri. E allo stesso tempo è un manuale di vita, o di sopravvivenza, di stile e di vizi, irriverente e schietto, truce con tutto ciò che possa non rientrare nel gusto personalissimo dell’autrice.

Opinioni forti

Fran ha un’opinione su tutto, dalla moda alla casa, dagli adolescenti alle diete alimentari, e non si fa pregare per esternarla. La sua grande amica Toni Morrison diceva di lei: “Ha sempre ragione perché non è mai imparziale.”

È arguta, crudele e pungente, se colpisce è per affondare. Di lei, infatti, George Plimpton che la intervisterà nel 1993, dirà:

“Fran disapprova praticamente tutto, eccetto il dormire, le sigarette e i mobili di buona fattura. I suoi saggi e le sue interviste sull’attualità, che spaziano dalle difficoltà nel trovare un appartamento decente all’arte di scroccare weekend in case altrui, sono ormai considerati classici della letteratura comica e dell’analisi sociale”.

Ma Fran, più che comica, si descrive come un’ accusatrice sociale.

Il mio ruolo è accusare la gente di come roviniamo le cose inventando complicazioni: il succo di lime nelle patatine, la segreteria telefonica, gli orologi digitali, le calcolatrici tascabili, le diete, le riviste, il tennis, il giardinaggio. Di come ci ostacoliamo ciondolando per strada, di come ci irritiamo dicendo benissimo di libri bruttissimi, straparlando di natura, andando in vacanza a sfiancarci come prigionieri di guerra, servendo uva bianca al posto del dessert”.

E di tutti questi argomenti ne scrive, apparentemente di getto. Lo fa ovunque, su foglietti e fazzolettini, di notte e nei bar, con una metrica e un ritmo secco e incalzante. Mai noioso. Ogni capitolo dell’opera è apparentemente slegato dagli altri ma, come nella vita, tutto è connesso. Orologi digitali, diete, vacanze, riviste e dessert. Un libro che, più che intrattenere il lettore, detta istruzioni per l’uso.

I capitoli

E così si susseguono i capitoli: la mia giornata, buone maniere, sport moderni, figli: pro o contro?, e poi ancora cause primarie dell’eterosessualità, cibo per la mente e viceversa, vestiti con immagini e/o scritte.

Ma sicuramente il capitolo più struggente è quello che descrive il rapporto della Lebowitz con la scrittura, il suo grande amore e il suo cruccio. Scrivere: un ergastolo. Già dal titolo Fran ci introduce a quella che per lei è un’esigenza, come respirare o bere, ma che allo stesso tempo la immobilizza: quando le si chiede dei lunghi ritardi nelle consegne all’editore spiega che ci lavora solo a tempo perso, “A tempo pieno guardo la TV generalista”.

Allo stesso tempo però, durante l’intervista riportata alla fine di questo libro dirà:

Nessuno è venuto con un fucile a ordinarmi: -Devi fare la scrittrice-; ho deciso molto tempo fa che era semplicemente scontato. Sto bene solo quando scrivo, è l’unico momento in cui mi senta legittimata. Quando faccio altro, ovvero per la maggior parte del tempo, anche se non sto rapinando una banca o cose del genere mi sento comunque in colpa”.

Se dunque avete voglia di trastullarvi con un romanzo, cercare una grande trama e legarvi a perfetti protagonisti patinati, questo libro non fa per voi. Quest’opera è per voi se volete essere compresi nei momenti d’ira, indirizzati nelle scelte più noiose, avere istruzioni sugli orologi da scegliere e per scrollarvi di dosso il senso del dovere.

L’apatia di Fran, che impregna il testo come la sua straordinaria vita ve la farà odiare, poi comprendere e poi amare, fino a dire Fran sono io, o lo sarei se ne avessi il fegato.

a cura di
Rossana Dori

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