“La Scuola Cattolica”: La recensione del film

“La Scuola Cattolica”: La recensione del film
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Un film tratto dal romanzo omonimo di Edoardo Albinati che poteva essere gestito meglio

La scuola cattolica è un film di Stefano Mordini, ma è tratto dal romanzo omonimo di Edoardo Albianti.
Abbinati parla della scuola cattolica con cognizione di causa, in quanto anche lui la frequentò, quindi visse
in quell’ambiente e fu il compagno di classe dei due colpevoli del massacro del Circeo. Un libro importante,
che doveva trovare riscontro in un film altrettanto importante.

Questo film va visto, è scandaloso che sia stato vietato ai minori di diciotto anni perché ne viene meno il compito di questo film e del cinema in generale. Però questo è anche un film che poteva essere strutturato meglio. La scuola cattolica inizia con una carrellata delle persone presenti nella scuola, in maniera quasi affettuosa e nostalgica, è su questo filo che si sviluppa l’intero film: degli anni difficili, in cui il rapporto con i genitori era di pura subordinazione, quando c’era, e la scuola era il nucleo in cui ci si doveva affermare, se se ne era capaci.

Il problema dei salti temporali

Ha continui salti temporali che hanno come riferimento la notte del massacro del Circeo, questi salti temporali non solo fanno perdere la continuità del tempo (si va da 3 mesi prima del delitto a 72 ore) ma non creano suspance né angoscia, in quanto lo spettatore va a vedere il film sapendo di cosa parla, perché è un evento che, per fortuna, ancora oggi, persiste nella memoria anche di chi non c’era in quegli anni. Quindi gli sbalzi temporali non solo non aggiungono niente, ma tolgono quella crescente tensione narrativa che nasce nel momento in cui ci si avvicina cronologicamente all’evento, tensione narrativa che invece viene spezzata soprattutto nel momento in cui si passa da poche ore prima il delitto a settimane o mesi prima.

L’approccio al film

Gli attori scelti per interpretare i ragazzi della scuola sono perfetti: facce angeliche, alti ma non muscolosi, la faccia stralunata di Luca Vergoni, che interpreta Angelo Izzo, è disinvolta, e proprio per questo agghiacciante.

Peccato che tutti i ragazzi della scuola parlino come se fossero appena usciti da un corso di dizione. In un’era in cui il cinema dei fratelli D’Innocenzo, Pietro Castellitto, aprono le porte ad un cinema con delle parole o anche delle intere frasi senza che si capisca cosa gli attori stiano dicendo, e non per errore di audio ma per dichiarata scelta stilistica, far parlare degli attori in quel modo è superato. Questo non è un elogio al
dialetto e al parlare in modo sporco nei film, ma ad adattare le battute nel contesto in cui vengono dette e
non a renderle tutte con la medesima solennità, perché ciò rivela il carattere fittizio del film.

Il libro della Scuola Cattolica è un flusso di coscienza di un ex alunno che si esplicita in milletrecento pagine, quindi il regista tra queste milletrecento pagine poteva liberamente scegliere quale taglio dare alla storia. Il taglio scelto per raccontarla è nostalgico, anche eccessivamente.

Il film sembra dire: “Sì c’è stato il massacro del Circeo ma dall’altra parte c’eravamo anche noi bravi ragazzi che avevamo paura del sesso, ragazzi profondamente cattolici, ragazzi che non riuscivano a far valere la propria virilità perché erano schiacciati, chi dalla madre chi dal fratello”.

Pik, Edoardo e Andrea: cosa significano?

Tra i personaggi spiccano Pik ed Edoardo, che il pomeriggio del rapimento, sono gli alter ego di Angelo e Gianni. Compiono un’azione uguale e contraria alla loro, il modus operandi per adescare due ragazze è lo stesso: telefonata, Villa vuota, alcol. Pik, che non riesce a mostrare la sua virilità, forse per colpa della madre ingombrante che ha, oggetto di desiderio di tutti i suoi compagni di classe, si inibisce e scappa, e stoppa Edoardo, che senza quell’intervento non sappiamo dove sarebbe potuto andare a parare.

Ciò significa che in quell’ambiente la virilità era sopraffare qualcuno, o ci riuscivi, o scappavi. Edoardo e Pik sono importanti perché il regista ci tiene a mostrare il filo del rasoio sul quale camminavano tutti tra essere sentimentalmente e sessualmente ineducati o maleducati, ed essere assassini. Ma l’approfondimento su tutte le storie degli studenti, lasciano quasi ai margini i due assassini, sembra voler essere una carrellata dei compagni di liceo, un film che procede per il suo corso, costretto a parlare anche di un delitto, ma non interessato a spiegarlo.

Inoltre il regista ha celato elementi che caratterizzavano gli assassini come aderenze ad organizzazioni fasciste o droga. La droga a detta di quest’ultimo omessa per “non etichettare gli assassini” avrebbe invece aumentato il riferimento e la contestualizzazione dell’evento, avrebbe, quindi, reso più utile il film. Il problema sull’etichettare gli assassini come drogati si pone nel momento in cui non si ha avuto l’occasione, nella prima parte del film, di presentare i due assassini, occasione invece che c’era, ed è stata ampiamente sprecata per parlare di altri personaggi, compagni di classe, la cui storia non è fondamentale per il film.

Il trailer del film

Del ritorno del fascismo e dei movimenti fascisti nell’Italia di quegli anni, c’è solo uno strascico, nel film, un sentito dire. Ci si riferisce ad un certo Andrea che sta per uscire dal carcere, che si da il caso sia Andrea Ghira, colui che prendeva parte a gruppi di estrema destra che vedevano nel crimine l’affermazione sociale.

Ma viene chiamato Andrea,trattato come un’ombra che sorvola il film e poi piomba dentro il delitto per un qualsiasi motivo, non come uno dei principali elementi dei movimenti neofascisti. Manca la profonda aderenza a gruppi politici di estrema destra, ma non c’è traccia neanche della politica in generale, in anni in cui la politica era presente nella vita di tutti, ma soprattutto di quei ragazzi in quel quartiere. Manca la profonda mancanza di rispetto, ma anche solo di riconoscimento dell’identità femminile.

Nel complesso sembra un film che avrebbe potuto essere ma che non è stato

Pieno di riferimenti, vuoto di fatti. Poteva servire a spiegare la mascolinità performativa di cui Albinati parla nel libro, spiegare i motivi, quello che causò il massacro del Circeo, cosa fece pensare a tre giovani ragazzi di poter rimanere impuniti di fronte ad un crimine così grave. Invece l’impunità di cui ci parla il film si limita ad un’impunita familiare, di padri che non danno abbastanza cinghiate, e non dello stato che non punisce comportamenti di stampo fascista e mafioso.

Poteva essere un film che spiegava un pezzo di storia del nostro paese, perché era così maschilista e perché non è cambiato, ma è una sequela di drammi familiari, di madri sante e remissive, o troppo appariscenti. Ciò non toglie che è un film che mette i brividi, ma i brividi vengono anche solo raccontando il massacro del Circeo, anche solo per le didascalie alla fine del film, questo film doveva fare qualcosa di più di suscitare nello spettatore un “poverine”. E andrebbe, sì, analizzato, visto nelle scuole, ma dopo spiegato, perché purtroppo non è un film che parla da solo

A cura di:
Emma Diana D’Attanasio

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