Cry Macho: la mascolinità per Clint Eastwood

Cry Macho: la mascolinità per Clint Eastwood
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Clint Eastwood trona al cinema a partire dal 2 dicembre con “Cry Macho – Ritorno a casa” (2021)

Clint Eastwood torna alla veneranda età di 91 anni dietro la macchina da presa dopo l’ultimo e, personalmente, apprezzatissimo “Richard Jewell” (2019) con una storia diversa dai film precedenti.

Ultimamente Clint ci aveva abituato al racconto della storia statunitense recente e dei suoi eroi contemporanei.

Con Cry Macho il regista abbandona la storia con la s maiuscola per una storia intima che riflette su tematiche come vecchiaia, crescita e machismo.

La trama di Cry Macho – Ritorno a Casa

Mike (Clint Eastwood) è un ex star del rodeo che si trova costretto a partire verso il Messico per restituire il favore ad un amico.

La sua missione è quella di recuperare il figlio Rafael strappandolo dalle grinfie di una madre alcolizzata che lo maltratta costringendolo ad una vita di strada tra piccoli furti e gare di combattimenti fra galli.

Un viaggio di formazione attraverso la frontiera

Quando uno spettatore vede Clint Eastwood con un cappello da cowboy immerso nella frontiera si scatena un immaginario legato alla sua figura cinematografica di eterno pistolero.

Chi è seduto in sala si aspetta una serie di elementi narrativi: duelli, pistole, ritmo forsennato, violenza e saloon affollati di pistoleri ubriaconi.

Niente di tutto questo è presente.

La frontiera messicana fa solo da sfondo ad un road movie intergenerazionale di formazione in cui il giovane Rafael si troverà costretto, per la prima volta in vita sua, a doversi fidare di un adulto riuscendo a trovare nella figura di Mike quel genitore amorevole e modello positivo che non ha mai conosciuto.

Tra Rafael e il gringo, che piano piano si trasformerà in un autentico messicano, s’instaura un rapporto padre-figlio volto all’educazione del ragazzo per allontanarlo dall’ideologia machista con la quale è stato imbevuto durante la sua vita per le strade di Città del Messico.

Idee a cui Mike si oppone fermamente non solo con insultando il ragazzo, modo con cui s’interfaccia con tutti i personaggi del film, ma con momenti di grande tenerezza in cui la ferma voce di Eastwood viene quasi rotta dal pianto, dimostrando che anche i cowboy, figura mascolina per eccellenza, possono piangere.

Clint Eastwood smitizza il cowboy

Come aveva già fatto precedentemente con la pellicola “Gli Spietati” (1992), Eastwood riflette sulla figura del cowboy smitizzandola.

Il personaggio di Mike non ha paura di mostrare le proprie fragilità sia fisiche che psicologiche.

Non si vergogna di avere la voce rotta dalla tristezza quando racconta della perdita del figlio e della moglie, non nasconde il suo sentimento d’amore per la locandiera Marta, non nasconde la propria malinconia quando capisce di aver deluso Rafael.

Soprattutto non si vergogna di mostrare le fragilità del proprio corpo, ormai lontano dai vecchi fasti di quando era la star dei rodeo.

La figura dell’uomo cowboy tutto d’un pezzo, del macho come direbbe Rafael, non esiste più.

Esiste quella di un uomo con una complessa psicologia che, nonostante l’età avanzata, continua la ricerca del proprio posto nel mondo e che, forse, ha trovato proprio al di là della frontiera. In un piccolo paesino sul ciglio della strada con una chiesa, una locanda e un piccolo ranch di cavalli.

Una film testamento

Un film semplice nella trama e nella regia che non si lancia mai in complessi movimenti di macchina preferendo porre il focus sui personaggi, sui loro dialoghi e sui loro gesti che spesso rivelano sentimenti molto più profondi di quello che intendono con le parole.

Uno sguardo che ricorda il cinema del passato di cui Eastwood stesso è un’icona senza però quell’aleatorio velo di nostalgia, ma con un espressione di speranza verso il futuro e le nuove generazioni incarnate qui dal personaggio di Rafael.

Il vecchio cowboy Mike invece capisce che ormai è arrivato il momento di fermarsi.

Finalmente è giunta l’ora di riposarsi.

a cura di
Alessio Blabi

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