L’arte serve solo ad educare o anche a disobbedire?
Inizio questo articolo con una domanda sull’arte, che assume a pieno “titolo” una risposta che viaggia sul filo del buon costume. Siamo sicuri che questo “tutelare” determinate figure, stia assumendo il compito per cui nasce questa arcaica, quanto sinistra, figura del “Politically correct”?
Da sempre l’arte scava nelle coscienza delle persone, fino a diventare una bilancia utile per scegliere la riva del fiume sul quale adagiarsi per sentirsi “comodi”. Non vi è mai stato un veto su cosa fosse o meno corretto poter scrivere all’interno di una canzone, di un libro o di un giornale a fumetti.
Negli ultimi anni è iniziata una specie di caccia la ladro, dove gli unici a scappare diventano proprio coloro che inizialmente erano i promotori della “denuncia sociale”. La satira è da tempo immemore un gradino creato per far vacillare, quasi cadere, qualsiasi tipo di potere intoccabile.
Il potere è un groviglio di decisioni unanime
L’autorità, per definizione, non è mai nel giusto. Il dominio, così come chi ne riveste l’abito, non sarà mai il colore che appartiene alla maggioranza. Il potere, per come lo conosciamo, è un groviglio di decisioni unanime, che di umano ha solo ed esclusivamente un tessuto di appartenenza.
Non bisognerebbe mai erigere la “libera espressione artistica” a documento d’identità della correttezza morale, infatti è così che si casca nel clichè di invertire i ruoli tra educatori e narratori. L’arte serve per ricordarci che esiste un’anima che viaggia di pari passo con la nostra vita “terrena”.
Il politically correct sta “limitando” la libera espressione?
L’arte nasce per promuovere la libertà, ed è quindi inverosimile che venga messa al bando quando si ritrova ad “attaccare” o “ironizzare” una categoria di cui ci sentiamo parte attiva. Il potere, al contrario, dovrebbe usare ogni mezzo a sua disposizione per proteggere la libertà, non diventare la scure che ne detiene il dominio assoluto.
Potrei fare mille esempi, ma basta fare un nome come quello di “Charlie Hebdo” per sottolineare l’importanza di tale libertà. Potrei citare scrittori, cantanti e detentori di qualsiasi tipo di penna, ma la verità è che questi tempi “moderni” sono diventati una vera e propria caccia (vegana) alle streghe.
Ho pensato a quale potesse essere un esempio tangibile su cui poggiare i miei mirabolanti, quanto discutibili, punti di visti, e alla fine (come faccio sempre) non ho potuto far altro che dirigere i miei occhi verso il cielo per frugare nei cassetti della mia lontana adolescenza.
Era 1995 e Marco Masini regalava al mondo uno dei suoi brani più acclamati: “Bella stronza”. Il sito Wikipedia la descrive così nell’incipit: “Caratterizzata da un testo forte, scatena polemiche ancor prima della sua pubblicazione per il suo titolo ritenuto troppo esplicito e volgare”.
Personalmente penso che gli artisti abbiano il diritto sacrosanto di poter esporre la “loro storia”, a prescindere dalla forma e dal tipo di contenitore che andranno ad utilizzare per renderla fruibile, e spero che questa corrente continui a respirare nonostante il moderno inquinamento.
Vi lascio con una domanda: “Pensate che l’arte serva a conoscere sia il “bene che il male” o che funga da metro di giudizio con cui le future generazioni dovranno scontrarsi per definire quale sia la strada “giusta” da poter percorrere?”.
a cura di
Alessandro Di Domizio
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