“Non un domani”, gli Shot Out ci fanno capire l’importanza del tempo

“Non un domani”, gli Shot Out ci fanno capire l’importanza del tempo
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Mattia Muscinelli, Giorgio Gualandri, Alberto Antoniucci e Andrea Libori sono dei ragazzi marchigiani, e insieme formano gli Shot Out. Il loro nuovo singolo, Non un domani, è un invito a vivere il tempo presente

Il brano parla di un tema un po’ particolare, una persona affetta da Fibrosi Cistica, una malattia in genere sconosciuta ai più, ma che in realtà è la patologia genetica multi organo, più diffusa al mondo.

Colpisce principalmente l’apparato respiratorio (per cui un gene alterato causa un’eccessiva produzione di muco che, ristagnando nei polmoni, genera infezioni respiratorie ripetute e il deterioramento progressivo dei polmoni) e l’apparato digerente.  

All’apparenza, le persone che ne soffrono, sembrano sane, infatti è anche conosciuta come la “malattia invisibile”, ma devono stare attente al contatto con gli altri, poiché sono molto più a rischio di contrarre infezioni rispetto alle persone non malate.

La canzone tratta sì, di un argomento delicato, ma il ritmo e le atmosfere che suggerisce si possono definire “allegre”, mentre il messaggio che vuole veicolare è di speranza per il domani. 

Prendete un po’ di funk, aggiungete qualche tocco di blues, delle tinte pop e qualche nota di Rock’n Roll, ed ecco qui gli Shot Out!

E, giusto per anticiparvi qualcosa, il loro primo singolo uscito nel 2019, VERA, è entrato in poco tempo nella famosa rivista Pink Magazine Italia, ed è finito tra gli 8 finalisti regionali del Sanremo Rock 2020.

Ma andiamoli a conoscerli meglio.

Parlatemi di com’è nato il progetto musicale Shot Out, da quanto tempo suonate assieme, insomma: chi siete?

Mattia: Gli Shot Out sono nati come duo acustico nell’estate del 2014, poi nel corso degli anni si sono uniti anche gli altri membri tra cui Alberto Antoniucci che è il bassista, e Andrea Libori, il batterista. Prima facevo parte di un gruppo tributo ai Blues Brothers e ho voluto colmare il vuoto di un progetto che è finito. Così mi sono rimesso in gioco con Giorgio Gualandri, il chitarrista, ed è nato il duo acustico, che dopo qualche anno è diventato trio, e infine un quartetto.

Al momento siamo in semifinale regionale al Sanremo Rock, con il nostro primo inedito uscito l’anno scorso. La mia passione per la musica è nata quando, già a 4 anni, mi esibivo negli spettacoli canori del mio paese, Borgo Pace. A 13 anni già calcavo i palchi, e dai 18 ho iniziato a frequentare un corso di chitarra, pagandomi gli studi, così come per le lezioni di canto. A stare sul palco e ad istruirmi sulle movenze, mia ha aiutato molto anche mia sorella. 

Come descrivereste la vostra musica in poche parole? C’è un genere che vi ispira/influenza particolarmente ?

Direi che abbiamo uno stile molto divertente, rifacciamo cover in live ma quando si tratta di scrivere inediti, mescoliamo un po’ di funk, del blues, e molto pop. Poi quando scriviamo ci lasciamo molto trasportare dal momento. Per ora siamo ancora alle prime armi, abbiamo già due inediti etichettati, e altri pronti da registrare.

Diciamo che non apparteniamo ad un genere preciso, ma cerchiamo di rimanere nell’Indie pop, con dei toni leggeri e rilassanti, cercando di unificare le nostre diverse influenze per realizzare uno stile efficace. Comunque sia, non vogliamo etichettarci come un gruppo che fa solo un genere, bensì vogliamo creare ciò che riteniamo essere migliore in quel preciso momento

La canzone Non un domani parla di una persona affetta da Fibrosi Cistica, come mai avete scelto di trattare proprio questo tema? Avete avuto esperienze personali più o meno dirette con questa malattia?

Mattia: attualmente sto vivendo un’esperienza con una persona a me cara, che ha la Fibrosi Cistica, e ciò mi ha permesso di vedere questa malattia molto da vicino. Nel periodo in cui le sue condizioni di salute si sono aggravate, ho deciso di dover scrivere di questa patologia, che per molti è ancora sconosciuta (non per niente è conosciuta come la “malattia invisibile”), poiché i sintomi non sono immediatamente riconoscibili, e le persone che ne soffrono, non sembrano avere alcunché. 

Ma, tema a parte, il sound della canzone, è stato ideato appositamente per esprimere non solo tristezza, ma anche allegria e leggerezza, e far capire cosa si prova ad avere la Fc. 

Non un domani, fondamentalmente, parla di saper vivere il presente, senza dare troppo peso al futuro. Nella vita reale questo è un proposito piuttosto difficile da rispettare, voi ci riuscite?

Il messaggio della canzone è quello di cogliere l’attimo (nel testo “Vivere un oggi che sento, non un domani che qua ora non c’è”), perché, come per chi è affetto da Fibrosi Cistica, anche per le persone “sane”, il futuro è fatto di incertezze, ed è importante pensare al presente. 

Mattia: Nel periodo del lockdown, ho avuto modo di riflettere maggiormente sulle condizioni di chi è affetto da Fc, poiché per loro, portare la mascherina, sanificare l’ambiente e mantenere le distanze dagli altri, è la quotidianità

Le persone affette da Fc infatti, devono fare attenzione al contatto con gli altri, perché rischiano di prendere delle infezioni e ammalarsi.

Il simbolo della Fibrosi Cistica, è, appunto, la mascherina con il filtro in carbonio, che aiuta a filtrare tutto ciò che è presente nell’aria e può causare infezione alle vie respiratorie. 

Da parte mia, cerco quanto più possibile di vivere il presente, anche perché questa persona ha cambiato la mia visione della vita. Ma se ti dovessi rispondere come la persona che ero tre anni fa invece, quando ancora non la conoscevo, lì ero molto diverso da ora, ed era difficile mantenere il focus sul tempo presente. 

Alberto: non conosco direttamente la persona su cui si ispira la canzone, ma anche per me il periodo di lockdown è stata un’opportunità per provare empatia per queste persone, e sensibilizzarmi su temi che prima davo per scontato. 

In certe situazioni, capisci davvero l’importanza della “normalità”, che quando ti viene tolta, ti manca tantissimo. Ecco perché mi rispecchio anch’io nel testo del nostro singolo.

Che cosa vi piacerebbe trasmettere con la vostra musica? Parlo di messaggi ed emozioni. E pensate che la musica debba saper dar voce anche a temi seri?

Alberto: Il bello della musica è che senza dire chissà cosa, riesce a veicolare un messaggio, che sia di riflessione, o di rammarico, purché serva a dare forza al prossimo. Insomma, dal mio punto di vista, la musica deve saper comunicare, qualsiasi messaggio sia. 

Quando la musica, con la sua comunicazione, riesce ad entrare nella testa e nel cuore delle persone, è il massimo. 

E un’altra qualità della musica è anche la sua soggettività: una certa canzone, ad una persona può comunicare una cosa, mentre ad un’altra, dà un messaggio diverso.

Mattia: per quanto riguarda i temi seri, ciò che ho notato, partecipando anche ad un corso con Gazzè, sono proprio ciò su cui vorrei puntare di più, non tanto il sound, ma le tematiche dei brani, e come vengono trattate. Grazie agli insegnamenti di altri artisti, ho imparato a rendere il mio linguaggio particolare, differente, come avviene spesso nel cantautorato. 

Avete idee o progetti futuri in cantiere? Anche se, visti i tempi che corrono, il futuro dei concerti è un pò’ incerto. Ci sono dei luoghi in cui vi piacerebbe esibirvi particolarmente?

Alberto: teoricamente già da adesso, purché non si superino le 1000 persone all’aperto, è possibile fare un concerto. Noi gruppi emergenti puntiamo a farci conoscere nei locali, ma è un periodo difficile anche per loro, perché nel periodo di lockdown hanno dovuto chiudere e hanno perso molto, ed ospitare degli artisti per farli suonare nel proprio spazio, è costoso.

Ma per noi, questo periodo di staticità è senz’altro un’opportunità per creare nuovi progetti e realizzare degli inediti. 

Quindi la risposta è assolutamente sì, abbiamo diversi progetti in cantiere.  Non vogliamo assolutamente fermarci qui, ma anzi, usare questo periodo di stallo come trampolino di lancio.

Per quanto riguarda i palchi, il mio sogno, da sempre, sarebbe San Siro. Ho avuto l’opportunità di vederlo durante un concerto, e lo trovo davvero mozzafiato.

Mattia: Questo periodo, a parer mio, dovrebbe anche sensibilizzarci sui problemi legati all’essere un musicista in Italia. Per come la vedo io, nel nostro Paese, c’è il professionista ad altissimo livello e c’è l’amatoriale. Purtroppo quelli che fanno fatica ad emergere sono quelli che stanno nel mezzo. Nel “piccolo” si trovano stretti, ma il “grande” non riescono a raggiungerlo. In definitiva, gli artisti che si trovano a metà strada, devono continuamente lottare per poter andare avanti, poiché non ci sono le opportunità. Molte volte le possibilità non ci sono, perché per quanto un’artista si impegni e ci provi, molti gli sbattono la porta in faccia. Inoltre, ci vuole anche un impegno economico non indifferente. Basti pensare che le registrazioni, gli strumenti, gli spostamenti ecc, sono tutti a carico degli artisti.  

Quali sono i vostri artisti/gruppi preferiti?

Mattia: Per le sonorità e i testi, ci ispiriamo a Gazzè, o meglio al fratello di Max Gazzè, Francesco, l’autore dei suoi testi. Artista con il quale ho avuto modo di interagire grazie ad un corso. Tra l’altro è una persona umilissima e molto disponibile: mi ha dato numerosi consigli e ha risposto sempre quando gli chiedevo qualcosa. Lui mi ha davvero aperto gli occhi sulla scrittura. 

Alberto: io inizialmente tendevo a snobbare un po’ la scena italiana, ma poi ho scoperto tantissimi artisti meritevoli, come ad esempio i Subsonica, bravissimi. Come artisti un po’ più moderni invece, due davvero, davvero bravi sono Cosmo, e Willie Peyote, che hanno trovato il loro stile vincente.  Questi sono gli artisti che apprezzo maggiormente. 

a cura di
Silvia Ruffaldi

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Silvia Ruffaldi

Silvia ha studiato Scienze della Comunicazione a Reggio Emilia con il preciso scopo di seguire la strada del giornalismo, passione che l’ha “contagiata” alle superiori, quando, adolescente e ancora insicura non aveva idea di cosa avrebbe voluto fare nella vita. Il primo impatto con questo mondo l’ha avuto leggendo per caso i racconti/reportage di guerra di Oriana Fallaci e Tiziano Terzani. Da lì in poi è stato amore vero, e ha capito che se c’era una cosa che voleva fare nella vita (e che le veniva anche discretamente bene), questa doveva avere a che fare in qualche modo con la scrittura. La penna le permette di esprimere se stessa, molto più di mille parole. Ma dato che il mestiere dell’inviato di guerra può risultare un tantino pericoloso, ha deciso di perseguire il suo sogno, rimanendo coi piedi ben piantati a terra e nel 2019 ha preso la laurea Magistrale in Giornalismo e cultura editoriale all’Università di Parma. Delle sue letture adolescenziali le è rimasto un profondo senso di giustizia, e il desiderio utopico di salvare il mondo ( progetto poco ambizioso, voi che dite ?).

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