Knock Down The House: perché vedere il documentario su AOC è la cosa migliore che potreste fare oggi
Data l’enormità di contenuti del catalogo Netflix potreste esservelo perso. Se così fosse, recuperatelo. Guardare il documentario Knock Down The House di Rachel Lears è davvero la cosa migliore che potreste fare oggi. Anche se non siete donne e americane. Anzi: soprattutto se non siete donne e americane.
Le protagoniste
Il documentario è stato presentato al Sundance festival nel 2019 e, in quell’occasione, si aggiudicò due premi. Anche se è universalmente conosciuto come “il documentario su Alexandria Ocasio-Cortez“, Knock Down The House racconta la storia di quattro candidate alle primarie Democratiche in vista delle elezioni di mezzo termine del 2018.
Le quattro donne protagoniste sono Paula Jean Swearengin, proveniente da una famiglia di minatori della Virginia, Cori Bush, un’infermiera afroamericana di St Louis, Amy Vilela, che ha perso sua figlia a causa della mancanza di un’assicurazione sanitaria, e naturalmente Alexandria Ocasio-Cortez, oggi uno dei volti più riconoscibili della politica americana.
Ognuna di queste quattro donne, in seguito ad un momento di difficoltà o di vera e propria tragedia, decide di reagire e rovesciare l’estabilishment maschile della politica. Senza esperienza, senza finanziamenti da alcuna lobby, Paula, Cori, Amy e Alexandria fanno parte di un movimento di candidati “ribelli”, più progressisti della vecchia guardia democratica, e uniti da alcuni obiettivi comuni: porre maggiore attenzione al tema dell’ecologia, ribaltare la concezione che per vincere un’elezione sia necessario far parte dell’estabilishment (composta principalmente da uomini, bianchi e avvocati) e spostare più a sinistra il baricentro del partito.
Davide contro Golia
Knock Down The House richiama alla mente l’antica lotta tra Davide e Golia. So che molti di voi, a questo punto, staranno pensando che questa storia ricorda un po’ la genesi del Movimento Cinque Stelle avvenuta nel nostro paese più di dieci anni fa. In realtà le differenze tra le due realtà sono sostanziali.
Alexandria Ocasio-Cortez parla con orgoglio del suo lavoro di cameriera, ma con questo non intende dire “basta con i plurilaureati”, anche perché lei una laurea ce l’ha eccome, così come la preparazione politica.
Quello che intende dire è che fare un lavoro umile l’ha aiutata a capire come affrontare meglio la campagna elettorale: “sto in piedi 18 ore al giorno, sono abituata ad atmosfere che si surriscaldano, sono abituata alla gente che cerca di farmi star male. C’è un motivo se si chiama ‘classe lavoratrice’, perché si lavora sempre”.
Tutto il documentario corre sul filo delle emozioni ed è impossibile non arrabbiarsi quando Joe Crowley/Golia, il candidato favorito per le primarie del partito democratico, tenta di sminuire Alexandria Ocasio-Cortez, sua diretta sfidante, mandando una delegata al primo dibattito, così come è difficile non entusiasmarsi nei momenti che mostrano la politica di strada delle quattro candidate, mentre consumano le suole delle scarpe, stringono mani e trascorrono ore ad ascoltare i problemi della gente.
Non tutte le storie però hanno un lieto fine: Paula Jean Swearengin, candidata al senato per il West Virginia, che ha vissuto gli effetti devastanti dell’industria estrattiva del carbone sull’ambiente e sulla salute dei suoi concittadini, non vincerà la corsa, ma tre democratici su 10 voteranno per lei. Nemmeno Cori Bush riuscirà a spuntarla contro William Lacy Clay, politico che occupa il seggio da quasi due decenni, lo stesso accadrà ad Amy Vilela contro Steven Horsford. Purtroppo, solo una delle quattro donne riuscirà a raggiungere l’obiettivo: Ocasio-Cortez. Ma, proprio come dice quest’ultima al telefono con Amy Vilela dopo la sua sconfitta: “affinché una sola di noi passi, devono provare in cento“.
Le donne e il potere
In qualunque ambito, ancora oggi, per una donna che ce la fa, dieci hanno fallito.
In una scena del documentario, poco prima dello scontro tv con Joe Crowley, Ocasio-Cortez è seduta sul divano di casa, in mano ha dei fogli e un evidenziatore. Quello per il quale si sta preparando è senza dubbio uno dei momenti più importanti e decisivi della sua vita: “devo occupare spazio” dice, mentre allarga le braccia e respira profondamente, “stasera ci proverò. Ce la posso fare. Ho abbastanza esperienza per poterlo fare. Sono abbastanza informata per farlo. Abbastanza preparata per farlo. Abbastanza matura, abbastanza coraggiosa per farcela. Mentre lui per tutto il tempo mi dirà che non posso farcela. Che sono piccola, insignificante, giovane e inesperta“.
Le sue parole sono quelle che ogni donna, almeno una volta nella vita, si è ritrovata a pensare: sono forte, ho tutto quello che serve. Accadrà però che qualcuno voglia convincerci del contrario, facendoci sentire niente: “mi hanno detto di non mostrare le emozioni perché le donne sono considerate fragili se lo fanno” viene detto da una delle candidate.
Guardare questo documentario è importante perché, ancora oggi, esistono discriminazioni e pregiudizi sulle donne lavoratrici. Spesso per essere accettate o prese in considerazione, siamo costrette a comportarci come uomini. Le donne emotive, quelle arrabbiate, sono viste con sospetto.
Non c’è un motivo al mondo per il quale la politica debba restare questione di uomini e sono, finalmente, tanti i paesi che possono raccontarcelo: Islanda, Finlandia, Etiopia, Nuova Zelanda, Bangladesh, solo per citarne alcuni.
Stereotipi e pregiudizi sono duri da estirpare, è vero, ma Knock Down The House ci racconta che è possibile che un paese venga rappresentato per quello che è: multietnico, complesso, contraddittorio, un paese di uomini e donne.
E da noi, dove sono le donne preparate, solide e carismatiche di cui la scena politica avrebbe tanto bisogno? Certo, figure femminili importanti ci sono, come Emma Bonino, ma non è abbastanza. Forse è perché viviamo nel paese più maschilista d’Europa?
a cura di
Daniela Fabbri
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