Vasco Barbieri, lo studio, la Teoria Musicale e l’esperienza di “rinascita”

Vasco Barbieri, lo studio, la Teoria Musicale e l’esperienza di “rinascita”
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La prima volta Vasco Barbieri nasce il 6 agosto 1985 a Roma, la seconda dopo un coma che lo riporta allo stato iniziale, il 30 aprile 1993.

Così inizia la bio di questo cantautore di una peculiarità che “salta” all’orecchio al primo ascolto. Perché è proprio l’ascolto che ha formato il Vasco musicista che a 7 anni ha riproposto un brano al pianoforte senza mai aver studiato musica.
Da quel momento in poi Vasco Barbieri dedica la propria vita all’arte studiando all’Actors Studio di Roma e si impegna nello studio conseguendo la laurea in Filosofia appassionandosi all’informatica.

Un ecletticismo che lo porta ad aprire un blog a proposito di quello che definisce il Pianoforte Intuitivo, un blog sulla musicoterapia e sulle potenzialità della musica in ambito fisico, psicologico e biologico.

Con il nuovo lavoro Convert, Vasco Batbieri propone in viaggio intimo, intenso alla scoperta di se stessi data dal coraggio di aprirsi al cambiamento. L’abbiamo incontrato e gli abbiamo fatto qualche domanda.

Molto spesso le carriere artistiche cambiano o nascono a causa di eventi che mutano il corso dell’esistenza. Puoi raccontare qualcosa di più della tua esperienza?

Il mio avvicinamento alla musica è avvenuto dopo il coma che ho avuto a 7 anni, e mi ha permesso di risintonizzarmi con la realtà. Col tempo la musica ha perciò rappresentato sia un luogo di rifugio che un luogo di sfogo. Gli amici mi hanno iniziato a identificare come il musicista dopo i miei 23 anni, quando, appena iniziato il biennio magistrale di Filosofia, organizzavo serate musicali in caffè letterari per creare sinergia.

Dopo l’università, poi, fra i dubbi esistenziali lasciatimi dai miei studi e la mia nascente passione per il web, sopravvivevo intrattenendo le persone nei locali. Fu un periodo faticoso, in cui dimagrii anche molto perché spesso, al posto di essere pagato, mi offrivano da bere. Durante il mio percorso più volte mi sono state proposte collaborazioni, incisioni o gruppi, ma ogni volta si concludeva in una nuvola di fumo.

Quando la Maqueta Records mi chiese se avessi voluto crescere, lo presi all’inizio come un gioco, ne ero già rimasto troppe volte deluso. Lavorando con loro però ho iniziato radicalmente a cambiare prospettiva, mi sono reso conto che c’è serietà e iniziativa, e questo ogni giorno mi sprona a migliorare come musicista e come uomo. In questo modo sto scoprendo che fare il musicista non è affatto soltanto una questione di note musicali, ma anche note scritte, post sui social, web, interviste; diventi, in un certo senso, un punto di riferimento per altre persone.

Puoi essere motivazionale e stimolante, e questa è una importante responsabilità. Dall’altra, quindi, ti costringe ogni giorno a metterti davanti alle scelte che hai fatto, ai bivi che hai preso, e a conoscerti sempre di più e più approfonditamente. E’ una carriera molto interessante e impegnativa che ti porta a crescere moltissimo.

Nel 2013 ti sei laureato in filosofia e successivamente iniziano i tuoi approcci verso quello che è definito pianoforte intuitivo. Puoi spiegarci qualcosa di più in merito a questo? che cos’è il pianoforte intuitivo?

Il Pianoforte Intuitivo è un atteggiamento, un metodo di approccio alla musica. Ho deciso di condividere questa prospettiva in reazione al modo in cui mi fu insegnato pianoforte in America. Lì mi fu spiegato che i risultati si raggiungono in un unico modo, mentre io ho sempre creduto che ognuno debba sviluppare il proprio approccio personale alla musica.

La Teoria Musicale è sicuramente l’iperuranico risultato ottenuto da secoli di ricerche personali, e perciò mi sembra un ottimo punto di partenza. Come arrivarci deve essere quindi lungo un percorso personale. Un metodo può essere l’intuizione: cominciando da dove si preferisce (faccio scegliere una canzone o iniziamo a scoprire le note e i loro rapporti), pian piano ci si rende conto come alcuni suoni stiano insieme meglio di altri, e allora si scoprono i perché e i per come.

È un approccio progressivo, non predefinito o con scadenze, è personale. In questo modo ognuno sceglie le proprie note da cui cominciare, la propria tonalità e, così, la sviluppa, le dà forma, la struttura, e quando iniziano a ottenere i loro risultati acquisiscono sicurezza in se stessi e si lasciano sempre più andare.

L’obiettivo finale, scoprendo progressivamente come funziona le geometria della musica, è lasciarsi suonare, imparare a improvvisare colorando le proprie emozioni attraverso le infinite potenzialità dello strumento. Ritengo che questo possa risultare molto stimolante e permetta di conoscersi meglio. Per questo l’intuizione, perché lasciandosi avvenire attraverso le note si può sprigionare la propria forza creatrice e svilupparla a proprio modo. Serve a credere di più in se stessi.

La tua voce profonda ricorda tantissimo le voci del cantautorato classico, associandole però ad una melodia e ad una sonorità quasi solenne. Quanto di tutto questo rispecchia una ricerca di interiorità filosofica nella musica?

Non so bene cosa intendi per interiorità filosofica, ma penso che ogni canzone sincera in un certo senso evochi l’universo intero, e perciò sia solenne. Se per cantautorato classico intendi quelle canzoni che ti rimangono per sempre inscritte nel cuore, ti ringrazio e, sì, sono sempre stato un avido ricercatore di qualità.

La mia musica si sta compiendo attraverso una ricerca filosofica, ovverosia vorrei raggiungere con i miei testi e le mie melodie l’affetto delle persone. Lo studio della filosofia mi è servito per andare oltre le evidenze, oltre il parlottamento del più e del meno, spronandomi a rintracciare i meccanismi alla base della conoscenza e delle scelte degli uomini.

La mia tesi fu proprio sul significato di comunicazione, che compresi volesse dire sintonizzarsi su una comune percezione della realtà, come una com’unic’azione. La mia voce, quindi, è forse indice di questa mia ininterrotta ricerca di profondità, di sottosuolo, di ciò da cui germogliano le emozioni e le idee.  

La maggior parte degli attori dice che recitare li porta ad esplorare realtà emotive che altrimenti non riuscirebbero ad affrontare. Come mai invece nel tuo caso la realtà teatrale ti ha disilluso?

La realtà teatrale non mi ha affatto disilluso, mi ha piuttosto fatto capire che avevo urgenza di sperimentare la mia vita nel mondo, scendendo dal palco. Certo, mi dirai che sono finito su un altro palco, ma credo che la vita di tutti funzioni come le frequenze che, di volta in volta, ti fanno raggiungere apici diversi, palchi diversi.

La mia esperienza all’Actor Studio, che mi ha portato a conoscere i backstage della televisione, del cinema (come comparsa) e del teatro, mi ha fatto scoprire infine come preferissi occuparmi di colonne sonore, perché la musica era in grado di rappresentare, in un certo senso, i rapporti fra i diversi personaggi e penso che, in fin dei conti, la realtà e la recitazione siano sostanzialmente una questione di rapporti. In realtà, forse, avevo più bisogno di indagare la mia versione.

La tua scelta di cantare in inglese è unicamente dettata dal tuo periodo di studi negli stati uniti o c’è anche un altro motivo?

Queste canzoni sono state scritte in inglese perché sono l’estrema conseguenza di un contenimento d’identità cominciato alle elementari, mentre andavo a scuola americana. Fu per questo che i miei genitori mi iscrissero a una scuola di musica in America. L’inglese, in questo senso, è la lingua con cui si è sviluppato il mio primo inconscio, attraverso cui si sono manifestati e compiuti i miei primi fantasmi.

Come autore, penso che l’inglese riesca ad accarezzare alcune emozioni con maggiore delicatezza dell’italiano, che troppo spesso mi porta a diventare mentale e concettuale. Ho scelto perciò di mantenere queste canzoni in inglese così riuscivano meglio ad esprimere quelle sensazioni, e a liberarmene.

Cosa ti auguri per la tua musica in questo 2020?

Dato il panorama artistico che conosco, spero di scoprirne un altro. Mi auguro che questa carriera sia in grado di sorprendermi facendomi scoprire ulteriori orizzonti che mi faranno entrare in contatto con persone sempre più interessanti con cui continuare a inventare magia. Mi auguro che le mie prossime canzoni riescano a farmi mollare quei freni che ancora mi legano a pesanti sicurezze e che già si stanno svelando come catene molto pesanti.

Spero sopratutto che le mie canzoni possano essere utili a più persone possibili e, per questo, vorrei riuscissero a raggiungere sempre più ascoltatori, perché credo che tutti, ognuno a modo proprio, facciano un simile percorso di liberazione e, quindi, vorrei accompagnare alla scoperta di se stessi molti spiriti cercatori come me. Questo progetto sboccerà con l’uscita di un album in data ancora da definire. Confido che rilascerà molte spore che potranno servire a coltivare altri giardini e a colorare di fiori il mio. 

a cura di
Sara Alice Ceccarelli

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Sara Alice Ceccarelli

Giornalista iscritta all’ODG Emilia Romagna si laurea in Lettere e Comunicazione e successivamente in Giornalismo e Cultura editoriale presso l’Università di Parma. Nel 2017 consegue poi un Master in Organizzazione e Promozione Eventi Culturali presso l’Università di Bologna e consegue un attestato di Alta Formazione in Social Media Management presso l'Università di Parma. Ama il giallo e il viola, possibilmente assieme e vive in simbiosi con il coinquilino Aurelio (un micetto nero). La sua religione è Star Wars. Che la forza sia con voi.

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