La WunderKammer Orchestra al Teatro Galli
Un dietro le quinte inedito raccontato con parole e immagini
Se, come recitava il programma di sala, la pratica della trascrizione fa parte del “dna” del WunderKammer Orchestra, il bel concerto di Domenica 17 novembre al Teatro Amintore Galli di Rimini, pieno come un uovo, ne ha dato un saggio esemplare.
La formazione, che nasce originariamente con l’idea di rendere la musica sinfonica fruibile anche dove le orchestre non riescono ad arrivare (non a caso ha debuttato a Lampedusa nel 2017), si presenta in questo caso come una sorta di big band miniaturizzata: quattro sassofoni (il Quartetto Atem, strepitoso, ben noto nell’ambiente del sassofono e non solo), un clarinetto, un corno una tromba e un trombone.
Completano la formazione un contrabbasso, e i due solisti Ivan Gambini alle percussioni (ex Trio Diagilev, suona con Nicola Piovani) e al pianoforte il compositore Paolo Marzocchi, che della WunderKammer è anche l’ideatore e il direttore artistico. Sul podio Carlo Tenan, che nel concerto ha anche presentato una sua ampia composizione, il “Kammerkonzert per pianoforte e big band”.
Il programma prevedeva pagine di quel jazz sinfonico in cui la tradizione della musica “colta” europea incontra l’altro occidente, quello americano (e sudamericano), trascritte e riorchestrate dal Marzocchi. Non poteva ovviamente mancare George Gershwin, con l’overture da “Strike Up The Band” e la celeberrima “Rhapsody in Blue”, un’esecuzione trascinante accolta con grandissimo entusiasmo dal pubblico (Paolo Marzocchi solista).
Chiudevano il concerto le “Symphonic Dances da West Side Story” di Leonard Bernstein, pagine di grande effetto in cui il percussionista Ivan Gambini ha dato prova di un virtuosismo assolutamente fuori dal comune, suonando contemporaneamente timpani, batteria, xilofono campanacci, fischietto e vibrafono (più altre cose che ci sfuggono), come una sorta di dea Kalì delle porcussioni. Spettacolare il “Mambo”.
La cosa più interessante è però a nostro parere il suono dell’ensemble e la qualità delle trascrizioni, che non fa affatto rimpiangere l’orchestra, ma che anzi offre una prospettiva diversa con cui osservare questi capolavori, facendone emergere dettagli che normalmente vengono sommersi dalla ricchezza dell’orchestrazione originale.
In questo senso la WunderKammer Orchestra è letteralmente un ensemble di solisti, in cui ogni singolo musicista ha un ruolo di primo piano, che spesso richiede grande versatilità.
Questa versatilità era ancora più necessaria nei pezzi che completavano il programma, “Traffic Revenge” di Cristiano Arcelli (forse il nome più legato al mondo del jazz di tutto il concerto), e il “Kammerkonzert per Pianoforte e Big Band” di Carlo Tenan.
“Traffic Revenge”, a tutti gli effetti un pezzo on the road con ampie sezioni basate su una ritmica funky, è la composizione più jazzistica della serata.
Dopo un episodio elegiaco in cui il protagonista è il contrabbasso (Marco Forti, altro solista versatile), ecco un grande assolo di Massimo Valentini, sassofonista difficilmente etichettabile, nonché storico baritono dell’Atem Sax Quartet (notevole il suo disco “Jumble”), che posato il pesante tubo di stufa del sax baritono, impugna il sax soprano e si lancia in una improvvisazione senza freni, che sicuramente rimane uno dei momenti più notevoli della serata.
Il “Kammerkonzert per Pianoforte e Big Band” di Carlo Tenan è la composizione più complessa e articolata del concerto.
Scrittura densissima, contrappunto, ritmicamente spesso imprevedibile, come un flusso di coscienza di uno schizofrenico alterna momenti con un linguaggio e un’armonia chiaramente jazzistici ad altri in cui i temi si trasformano in valzer stralunati, o momenti che sembrano usciti da un cartone animato (ma sempre un cartone animato sottilmente inquietante).
Notevoli gli episodi più rarefatti, come la sezione più lenta, dal sapore quasi šhostakovichiano.
La parte del pianoforte solista, che spesso ha una funzione concertante, sembra particolarmente impervia per il pianista, che l’ha affrontata con una apparente disinvoltura, dandoci l’illusione che fosse facile.
E infatti, nonostante la complessità, il “Kammerkonzert” – anche grazie agli esecutori – non perde mai una dimensione di piacevolezza, e il pubblico ha dimostrato di aver apprezzato il lavoro, con un applauso che si sente raramente per le opere contemporanee.
Un’ultima nota di colore: come bis è stata eseguita a sorpresa (pare a “prima vista”) una versione di “Happy Birthday”, composta da Marzocchi la notte prima del concerto, lentissima, nostalgica, e dedicata al percussionista che festeggiava il compleanno proprio quel giorno…
La sintesi migliore spetta a un’anziana spettatrice, orecchiata dopo il concerto mentre usciva dal palco: “E pensare che non avevo voglia di venire, cosa mi sarei persa…!”
a cura di
Valentina Bellini