“La cronologia dell’acqua”: un diario dove annegare

“La cronologia dell’acqua”: un diario dove annegare
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In questi mesi racconto spesso questa storia quando si parla de La cronologia dell’acqua, perché credo riesca a rendere bene l’idea di quello che può accadere quando, involontariamente, si consiglia un libro di cui non si sa assolutamente nulla.

Il giorno in cui mia figlia nacque morta, dopo aver stretto il futuro rosa dalle labbra di bocciolo tra le mie braccia tremanti, tenera inanimata, e aver ricoperto di baci e lacrime il suo volto, dopo che ebbero passato la mia defunta bambina a mia sorella che la baciò, poi al mio primo marito che la baciò, poi a mia madre che non sopportò di tenerla, dopo che l’ebbero portata fuori dalla mia stanza d’ospedale, minuscola cosetta inanimata in fasce, l’infermiera mi diede dei tranquillanti e una saponetta e una spugna.

La cronologia dell’acqua, di Lidia Yuknavitch, edizioni Nottetempo. Foto di Ylenia Del Giudice

La cronologia dell’acqua, di Lidia Yuknavitch si apre così, con un capitolo intitolato Trattenere il respiro. Mi era stato suggerito come bel libro di cui non era stata letta ancora nessuna pagina ma che aveva fatto parlare di sé: è una bella storia che racconta di una donna che faceva la nuotatrice.
Nella quarta di copertina, così come nella seconda, non è chiara quale sia la storia, se non che l’elemento dell’acqua resta presente in ogni pagina. E poi arrivo al controllo in ospedale, lo inizio a leggere e mi ritrovo a guardarmi attorno, cercando letteralmente un sostegno al mio improvviso stato emotivo.

Forse non è il caso di dare una storia del genere a tutti senza almeno averla letta. Ho provato anche rabbia, pensando a tutte quelle persone che abitualmente suggeriscono un libro con la comune motivazione del “secondo me ti piace!” perché hanno sentito dire che è un testo duro, psicologico e poco semplice nella sua gestione.

La cronologia dell’acqua: di diari e nuove prospettive

La forma con cui si presenta il diario, spesso poco tollerata come i racconti, crea involontariamente un muro fra le pagine e il lettore, a causa probabilmente dell’idea che la vita dell’altro non sia mai abbastanza degna di essere raccontata e letta. Una condizione, questa, che viene bloccata immediatamente dall’autrice che più avanti è in grado di parlare al lettore dicendo proprio: non è un libro dove puoi imparare qualcosa, non è qui che troverai ordine perché è un diario, un flusso di pensieri che non segue e non mantiene un ordine.

Con la traduzione di Alessandra Castellazzi, perciò, questo diario assume delle forme inaspettate, dirette come le lame nelle tele di Fontana e avvolgente come la trama de Il Bacio di Klimt. All’improvviso sembra che esista una vita che merita di essere letta, anche se da questa non avremo nessun insegnamento da trarre.

Si aprono nuove prospettive, dunque. L’assenza di una serie di date che scandiscono il tempo, ad esempio. Fatti e pensieri in fila come soldatini. Capitoli diversi che racchiudono esperienze simili riconducibili a un aspetto emotivo ripetibile nel corso della vita. Un diario lontano dall’immaginario classico, sicuramente.

La cronologia dell’acqua: perché se dico sofferenza dico acqua

Questo elemento ce lo portiamo dietro da prima ancora di far entrare aria nei polmoni. L’acqua in cui nuotiamo prima di nascere, che ritroviamo nelle fonti battesimali, quella che lasciamo scorrere sulla testa perché non abbiamo l’ombrello o quella del mare che condividiamo con gli altri bambini, che odiamo e amiamo nello stesso modo magari.

Più esperienze acquisiamo e più l’acqua cambia, non solo la sua forma ma anche l’uso che ne facciamo noi. Diventa un bagno consolatorio, una doccia per lavare via la pesantezza della giornata e quella per pulire continuamente ciò che riteniamo sporco, compresa l’anima.

Foto di Titus Poplawski

L’autrice racconta con l’acqua la sua vita. Ex nuotatrice, questa donna è costantemente immersa nel liquido.

Quella settimana andai a nuotare da sola al fiume tutte le notti. In un tratto dove adolescenti e malfattori si ubriacano e si tuffano per cavalcare le rapide. A nessuno importava che fossi lì. O che fossi più vecchia. O sola. Nell’acqua notturna, non dovevo provare sentimenti accettabili per la gente. C’è una tetra pace lì dentro. Alla fine delle rapide, c’è la quiete.

Nell’acqua, come nei libri – puoi abbandonare la tua vita.

Così come si legge nello stesso capitolo III. Bagnato ma qualche pagina più in là, l’acqua diventa il pianto che purifica così come, poco prima, diviene l’elemento che annega chi invece era morto per malattia.

La cronologia dell’acqua: cosa ci ritroviamo fra le mani?

Potrei andare avanti per altre mille e più battute scrivendo di acqua, ma questo è il libro: un pozzo profondo che contiene ogni monetina di sofferenza e di esperienza personale sulla quale ragionare. Dal tentato suicidio di una madre alla sessualità, fino alla figura di un padre che non è più quello del giorno prima. Acqua che cade su una pietra, una tortura di regime che non vuole essere inclusiva.

Lidia Yuknavitch non cerca comprensione nel lettore e non vuole fare di tutta un’erba un fascio, anzi, precisa, di tanto in tanto, che la sua esperienza e il suo modo di affrontare la vita e sono qualcosa che appartiene a lei e che non può essere emulata perché ogni vita è diversa.

Forte, diretto e crudo, a tratti sicuramente ripetitivo, La cronologia dell’acqua è una vita da ascoltare e accogliere con tutte le sue imperfezioni. Non c’è nulla da imparare, poche le cose forse da sottolineare che possiamo prendere per mano e scegliere di portarci dietro lasciandole riaffiorare nel quotidiano.

a cura di
Ylenia Del Giudice

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