“Volevo Magia”, il nuovo viaggio onirico dei Verdena

“Volevo Magia”, il nuovo viaggio onirico dei Verdena
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In un mondo in cui tutti urlano contro, i Verdena continuano a gridare dentro

Sette è un numero ricorrente in diverse religioni. Numero primo e non divisibile, è considerato fin dai tempi del paganesimo un simbolo sacro, magico e perfetto, utilizzato per rappresentare cose buone e cattive. Sette sono i sacramenti del cristianesimo, i chakra, i bracci del candelabro ebraico, gli dei della felicità del buddhismo, gli attributi fondamentali di Allah. Sette sono gli anni di carestia e quelli di abbondanza in Egitto secondo il libro della Genesi.

Sette anni sono un tempo biblico nel mercato discografico odierno. Ma ai Verdena piace rispondere a una legge cosmica tutta loro, non curante delle regole di un mondo che corre veloce e che ci lascia vivere in bilico sulle incertezze.

E così, a distanza di sette anni dall’ultima pubblicazione (fatta eccezione per la colonna sonora del film “America Latina”), il trio bergamasco ha riportato un pizzico di misticità e speranza nei nostri animi disillusi con il nuovo album “Volevo Magia”

*Piccolo preludio*

Prendete due amiche cresciute insieme a lambrusco e “Oh, ti devo troppo far sentire una canzone”, mettetele sotto lo stesso tetto e le ritroverete a battibeccare sulle ultime uscite dei loro artisti preferiti fino all’una di notte. Questa recensione è frutto di una stesura a quattro mani, nata dal confronto tra me e Silvia, due amiche con stili di vita, lavori e punti di vista differenti. Abbiamo unito le forze delle nostre penne per cercare una di decifrare il non-codice dei Verdena nelle loro frasi (mai di senso compiuto), lavoro certosino-maniacale di Silvia, e l’altra (io) di trovare un filo logico nell’album, laddove sappiamo può essere trovato solo e unicamente nelle menti dei membri della band (forse). Confronto che ha portato a una conclusione, comunque, condivisa.

X Sempre controcorrente

Dal primo album del 1999, i Verdena continuano imperterriti a fare lo slalom tra prodotti radiofonici standardizzati, politiche discografiche e logiche del mercato musicale, riuscendo a distaccarsi dall’appellativo di “Nirvana italiani” che gli era stato riservato agli esordi.

Li avevamo lasciati con “Endkadenz”, l’ultimo doppio album pubblicato nel 2015, un progetto arzigogolato e, a tratti, piuttosto prolisso, che aveva lasciato una buona parte dei fan confusa e che il trio stesso ha riconosciuto essere un po’ troppo azzardato.  

Oggi li ritroviamo in “Volevo Magia” estremamente fedeli a sé stessi, con richiami a “Requiem” e “Wow” evidenti e piacevoli. Grunge, pop-rock, stoner, psichedelia, punk si aggrovigliano a testi sempre criptici e metaforici, facendo incontrare allo stesso tavolo Battisti, i Beatles e i Melvins. Questo album non porta nessuna novità eclatante, ma non sempre questo è un male. Anzi, nell’epoca dell’incertezza, saper di poter contare su qualcuno o qualcosa è merce rara.

Fonte: Pagina Facebook Verdena

Volevo Magia” pare una vera e propria rivendicazione di libertà: quella di fare sempre il cazzo che gli pare, come gli pare, quando gli pare. Non per rendere conto ad aspettative esterne, nemmeno all’auto-compiacimento, ma per il puro piacere di suonare divertendosi e dare una forma alle sensazioni. D’altronde i Verdena stessi, che hanno rilasciato alcune interviste negli ultimi giorni (attività che, sappiamo, non è esattamente un grande piacere per il timido trio), affermano di non saper realmente dare una lettura del disco.

A livello musicale, i testi (biascicati e quasi deliranti) di Alberto Ferrari si intrecciano con le sue pesantissime distorsioni spesso fuzzose, a volte lasciano vuoti, altre si ripetono martellanti come un pensiero fisso. Le frustate della batteria del fratello Luca e il basso tagliente di Roberta Sammarelli scandiscono i ritmi dell’album, portando avanti un sound estremamente riconoscibile, dirompente, ma comunque raffinato negli arrangiamenti. 

Ermetismo randomico: l’analisi dei testi track by track

La tortuosa coerenza dei Verdena la riconosciamo anche dai testi. “Volevo Magia” viaggia tra imperativi pronominali da voli pindarici, tra “lei” e “tu” e “noi” che ritornano e spariscono, assenze, colori, distorsioni verbali e soggetti altalenanti. 

Non è facile fare un lavoro di parafrasi sui loro testi. Anche perché è ormai storia nota che vi sia una componente estremamente randomica nella struttura delle parole scelte. 

Alberto, il paroliere del gruppo, racconta in più interviste che le parole siano selezionate esclusivamente in funzione della melodia, affinché diano soltanto “colore al disco”.

I testi che andremo ad analizzare possono essere quindi interpretati in modo diverso, in base alla persona, o al momento. La soggettività fa da padrona alle parole del disco. Tuttavia, anche il caso rivela spesso aspetti molto specifici di una determinata circostanza. Un’analisi dei testi track by track può quindi aiutarci a comprendere le intenzioni dell’album e ad inquadrare in quale universo onirico si collochino gli artisti e ciò che comunicano. 

È quindi un nobile lavoro di parafrasi assolutamente fine a se stessa? Si. Ma le parole non sono mai inutili. Quindi, eccomi qui, testi alla mano, (li potete recuperare facilmente qui) e via di trip.

Chaise Longue

Non ci sei / torna presto / dove vai / in America 

Ma l’America dov’è? In un bar? Nelle Odissee che navigherò? In dio? L’album si apre con un viaggio. Coerentissimo, i Verdena non sono altro che questo. 

“Chaise Longue” è un viaggio disteso, un colloquio con l’esterno. Voli e migrazioni, “come polvere nel vento”. Immediatamente manifesta la magia che volevamo, che però richiede una reazione dinamica: “è un sogno e sì, dovrei”. É un sogno e sì, dovrei? 

Il video di “Chaise Longue”, primo singolo estratto pubblicato a sorpresa pochi giorni prima dell’uscita dell’album.
Paul e Linda

Cosa c’entrino i Beatles non saprei, riferimento senza foce per il secondo pezzo del disco. Interessante scoprire come, in contrasto al brano precedente, qui predomini la stasi, nelle parole:

“Stai qui così immobile
non reagire, stai se si può
Cosa mai potrà muoverti? Di certo niente

Ricorda una strana idea di routine. Forse Paul e Linda sono l’archetipo della coppia, della familiarità, di un soggiorno ben illuminato e di un forno acceso per la cena. 

L’intimità lisergica di chi non si comprende, e anche qui, una spinta verso l’esterno. È il “tu” che risolve i problemi. Che li causa. La stabilità si fa puttana, e la vita in due – o più – non è altro che parafrasi del nero niente che il denaro, l’affetto, o il bisogno non sono capaci di donarci. Altri avrebbero detto “la violenza della stabilità / è un modo di morire a metà loro invece, cazzo vedo blu”.

Pascolare

Molto cadenzato e ricco di riverberi, “Pascolare”. Che ci racconta una pacifica identità collettiva. Forse troppo semplice pensare al gregge come alla massa? Alla beata sensazione di cui parlava anche Zerocalcare quando ci ricordava che siamo tutti fili d’erba? Alla fine abbiamo bisogno di un’identità collettiva. Qui l’atmosfera stratificata non è pacata come la si potrebbe immaginare. Ma perché la collettività è anche altro: è lotta, è coro, è senso. 

Riposerai, ora sei un gregge
Da qui poi mi sentirai

Un pezzo in cui ritrovarsi costruiti assieme? O la consapevolezza che in noi esiste una pluralità?

Certi Magazine 

Trascinato dal gregge, un pezzo raccolto. “Certi Magazine”. Qui un intimista ricerca di senso, tema che spesso si incastra tra le parole del gruppo. Stonature e rapimenti, armi e fede. Fiducia, più che altro. 

“Torno a realizzare me
Uso le armi che potrei
Tu che fai?
Non so chi io merito
Mi struccherò e di nuovo
Non vedo che te

Fiducia verso una ricerca che non cessa mai, ricerca di sé, dell’altro, dei legami, di questo famoso “tu”, che sono io, loro, tutti contemporaneamente. Perdersi per ritrovarsi, tra storie di maghi e misture di anarchia. E alla fine, non vedere che te. 

Crystal Ball

Se fino ad ora è stato un viaggio in discesa, “Crystal Ball” risolleva i toni dell’album. Un pezzo lisergico, intenso e dinamico. 

La palla di cristallo, più che una sfera dove interrogarsi sul futuro, diventa una bolla di plastica che ci rimanda nel passato. Un passato che gioca un po’ con l’infanzia e un altro po’ con gli acidi.

Soffiami tu in un Crystal Ball
Chiudimi tu in un Crystal Ball

Restiamo qui e vai di Crystal Ball

Ennesimo pezzo che parla di droga? Semplicistico. Forse è il racconto di una dipendenza in senso più ampio. Penso alla bolla social in cui quotidianamente ci rispecchiamo, penso alla nostra società estremamente polarizzata, penso all’estro, tanto citato in questo pezzo. L’estro che dà dipendenza. Il talento che dà dipendenza. Il fare musica che dà dipendenza? Come se fosse quasi una sostanza, una compressa masticabile dai mirabolanti superpoteri.

“Che hai?
Sete di grandi idee
Suono che vibra in gocce

Dialobik

Pezzo che ci riporta un po’ dentro “Endkadenz”, ha una delle strofe più belle dell’album:

Chiudi i tuoi sensi e vai in the sun”

The sun, come un dio sole che ci aspetta al varco.

“Se Dio è grande
Resto nel gregge
E nel mentre
Non affondo

Un dio decisamente presente in questo album. Non mistico, non padre creatore né primo motore immoto. Un dio-fine. Un dio-soluzione. Un dio rassicurante, ma anche spettatore passivo.

Puoi dare un posto a chi verrà
chiudi i tuoi sensi e vai in the sun”

Sui Ghiacciai

Eccolo, il pezzone malinconico e poetico dell’album. Infatti, “tu mi ami mai? Perdersi è un’agonia”. E già pensi a quante persone lo ascolteranno in loop dopo una relazione finita. Piangendo e pensando che per l’amata o l’amato sarebbero diventati tutto, da John Kennedy a Steve McQueen. Un po’ autolesionistico e vicino a quel retaggio tossico per cui amare fa male sempre. Lascia però spazio anche ad una sensazione di accoglienza. Alla fine si, amare fa anche male, bisogna dirlo. Amarsi fa anche male. E allora, necessario incontrarsi, comprendersi. 

“Collaudami
E accettami
Ma senza fine
Fai male come
Mi si spezza il cuore
Ma sopravvivrei”

Sopravvivremo. 

Fonte: Pagina Facebook Verdena
Volevo Magia

I toni sommessi dei ghiacciai lasciano posto alla title track, “Volevo Magia”. Brano che nasce con un arrangiamento lentissimo, velocizzato per scherzo, rimasto così. Evidentissima in questo album la spontaneità, che quasi non richiesta, si dilata tra le tracce. Il testo ha una punk attitude difficile da scardinare – e perché farlo? Un nonsense luminosissimo ed esagerato. Volevano magia e hanno fatto le magie. Il vino, lo sperma, il ponce, i forse.

Agilmente reagire all’apnea
Assaggio l’ira, è dolce
Piani non ne ho
Ho solo mille forse

Reagire all’apnea diventa realmente agile, con pezzi così. Che scuotono i sensi e senza capire bene né come né perché, parlano e comunicano forte

Cielo Super Acceso 

Ho un sacco di amore se vuoi
ma non vedo più acceso il cielo fra di noi”

Un lavoro di ritmi incalzanti danno al testo una sensazione di piccola rivoluzione intima. Anche qui, una staticità disillusa nei confronti di una intimità che non pedala, che non si muove, non funziona. Richieste di amore e arrendevoli mancanze. Sinceramente, non li percepisco così casuali questi testi. Parlano forte e chiaro e raccontano di sentimenti che chiedono di cambiare, e che cambiano costantemente. 

X Sempre Assente

Le mancanze precedenti si dilatano in questa traccia. Si tratta di un vero e proprio dialogo con l’assenza, ossimoricamente presente all’interno di tutto l’album. 

“Cogli le energie
Che girano ancora dentro
Chiedi se muore
Non più, non tu
Cosa provochi che non vorrei?

È come se l’assenza fosse una promessa ripagata nel tempo: una sorta di armistizio non stipulato tra i personaggi che abitano la canzone. L’uno assente, l’altro inconsapevole. Mi richiama alla mente certe dinamiche di addio, dichiarate ma non effettive. E in quei frangenti si rimane, assenti al mondo, presenti all’altro. Fedeli al duro accordo direbbe qualcuno. 

Paladini

Se dovessi affidare a questo disco un colore, sarebbe sicuramente il giallo acido scelto per le grafiche. Tuttavia i Verdena hanno storicamente un rapporto di stretto legame con il blu. “Paladini” è l’ennesima conferma di questo legame cromatico speciale. Il brano è in un certo senso luminoso: rimuove il blu dei guai, e forse ridà luce. Una gioia in condizionale, che trema un po’ di paura. Ma c’è, resiste. Il gruppo ha confermato che questo album ha qualcosa di più ottimistico rispetto a produzioni precedenti. Ora, i loro  testi traboccano di sensazioni conflittuali e di difficile lettura, tuttavia questo timido lume, in “Paladini”, sembra avere una sua conferma. 

Vuoi gioire con noi?” 

Sino a Notte (D.I)

Stiamo giungendo al crepuscolo dell’album: la penultima traccia di “Volevo Magia”. Dall’America al Messico, passando per i ghiacciai e finendo, come vedremo poi, tra i fitti rami di un bosco – emotivo. Pezzo dinamico e pulito. Infatti D.I. è un acronimo che sta per Direct Injection. Il D.I. Box è un apparecchio utilizzato per bilanciare i suoni: rimuovere interferenze e rumori di fondo.

Mi mostrò le gambe nude
ma mi costringe in D.I.

Brano che invoca la sterilità, dopo un’ album così: sporco, sincero, veloce. È come se il gruppo ci preparasse alla fine: una fine nuda, ma non per questo meno preziosa. 

Nei Rami

Le atmosfere fanno spazio alle parole e a quelle assenze presenti che ci accompagnano da “Chaise Longue”. Continuo a percepire questa autolesionista e romantica sensazione di promessa mancata di “X Sempre Assente”. Come se il passato, e chi lo abita, restasse impigliato proprio tra quei rami. “Volevo Magia” termina con un pezzo noir di tempi verbali presenti e proiezioni future. 

“Un giorno lei
Dirà: ‘Mi manchi’
Forse un giorno lei
Di nuovo lei
Nei rami

Ma questo futuro non promette luoghi altri, anzi, promette un ritorno. Un passato che non sfugge ma resta immobile. Fermo come tutto, in questo album, cristallizzato nelle sensazioni e dinamico nelle reazioni. Bellissimo come una radiografia interiore, mostra la nostra capacità di sentimenti profondi. Un pezzo che si interroga. Una band che – forse inconsapevolmente – bilancia le parole al fine di restituire una visione suggestiva, soggettiva, ma precisa.

Fra le righe ti perdi mai?

Cosa dire quindi di “Volevo Magia”? È un album estremamente verdenesco, di difficile comprensione eppure così fruibile e ipnotizzante, con atmosfere surreali ma poetiche. A differenza dei primi album, in cui era evidente una certa, disillusa sconnessione con il mondo circostante, in “Volevo magia” sembra quasi che i Verdena abbiano fatto pace con la realtà, o meglio, che l’abbiano accettata nel suo essere contorta e problematica. Il titolo è già di per sé qualcosa su cui soffermarsi. Parla al passato, come se al desiderio di magia seguisse una presa di coscienza: quella magia non può essere facilmente trovata. È un sogno / e si dovrei – forse accontentarmi di cercarla.

Certi brani suonano più introspettivi, altri esplodono di una rabbia primordiale, ma mai rivolta nei confronti di qualcuno o qualcosa.

Insomma, in un mondo in cui tutti urlano contro, i Verdena continuano a gridare dentro.

Non so se un giorno Staremo insieme e liberi dalle agonie /  incontreremo Dio veramente, come canta Alberto nel singolo “Chaise Longue”. Difficile prevedere con certezza un futuro roseo e avere fede al giorno d’oggi. Ma sicuramente una sicurezza, ora, possiamo averla: possono passare gli anni, ma i Verdena resteranno sempre dalla parte della libertà.

a cura di
Chiara Serri e Silvia Franchini

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Chiara Serri

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