Vinicio Capossela – Teatro Duse, Bologna – 16 Dicembre 2021
Vinicio Capossela torna a Bologna e lo fa in uno scenario, quello del Teatro Duse, gremito per l’occasione. “Bestiale Commedia” si chiama il suo spettacolo e il riferimento alla Commedia o Commedìa – che dir si voglia – è subito evidente e suggestivo. Proprio come il poema dantesco, lo spettacolo di Capossela è diviso in tre atti o, per meglio dire, tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso.
Il cantautore di origini Irpine catapulta il suo pubblico immediatamente attraverso delle suggestioni sonore e visive in un mondo non reale, trasfigurato.
La antica selva di Dantesca memoria è ancora lì, la Bestialità dell’uomo anche ed il gioco è fatto.
«All’inferno esistono solo suoni, indistinti e ancestrali: la parola è apparsa solo perché Dante è passato di lì».
La prima cantica scorre attraverso riferimenti ai vari tipi di umanità, alle anime dannate per i più disparati motivi; manca l’elemento del Contrappasso come se – nella Bestiale Commedia – gli uomini e le donne protagonisti delle vicende, avessero già sofferto abbastanza in vita, come nella canzone “Il povero cristo”.
Vinicio Capossela tratta con estremo rispetto i versi del Sommo poeta, tuttavia non si limita a citarli, anzi li fa propri, li contestualizza nelle proprie canzoni e nei propri personaggi.
La storia d’amore più celebre di ogni epoca, il grande malinteso dell’amore, quello di Paolo e Francesca, viene fatta rivivere nei versi de “L’ultimo amore”, in un momento di commozione generale. Giurerei di aver visto diversi occhi lucidi, a giusta ragione.
C’è posto anche per Modigliani nella canzone “Modi”, il grande artista italiano che, esiliato ingiustamente a Parigi, consuma le terzine di Dante Alighieri, pensando alla sua patria.
Dante parla degli uomini e delle donne di ogni tempo e di ogni luogo e questo Vinicio lo sa bene: prima di uscire “a riveder le stelle”, tra i dannati, il cantautore colloca i parlamentari rei di aver “affossato” il DdL Zan nel più vile dei modi.
«C’è una buona notizia per voi: siamo finalmente in purgatorio».
Le armonie si fanno maggiori, le luci diventano azzurre, le urla demoniache sono sostituite dai suoni che rimandano allo scorrere dell’acqua e del tempo, la speranza di redenzione si fa largo sulla scena.
In purgatorio «non servono canzoni per intrattenere il pubblico, servono piuttosto canzoni che possano cambiare il mondo, come La Locomotiva di Guccini, ad esempio».
A proposito del mondo che cambia, il riferimento è a Patrick Zaki nella sua Bologna, nella città che spera di riabbracciarlo presto: ovazione.
Spazio anche per un tributo, sentito, ad un cantautore che il mondo l’ha cambiato: Franco Battiato di cui Capossela ha eseguito una splendida versione de “La Torre” con tanto di capello a forma di Torre di Babele in testa.
Il passaggio nel regno dei beati avviene in modo festoso e istrionico con la canzone “Nachecici” («chi muore muore/ chi campa campa/ e nu piatto de maccaruni cu la carna») che, dopo il ritornello, diventa la celebre “Knockin’ on Heaven’s Door” di Bob Dylan.
Nella Candida Rosa le anime osservano Dio e godono della sua grazia.
Capossela pensa alle anime che non ce l’hanno fatta, alle anime che in vita perdono la loro via e proprio a loro dedica “Il paradiso dei calzini”, canzone che ipotizza un empireo dove persino i calzini spaiati – prototipo perfetto di chi si perde e mai più si ritrova – possono finalmente ricongiungersi con la propria metà.
Nell’eternità, per definizione, il tempo non esiste: il cantautore ed i suoi musicisti esplicano al pubblico questo concetto attraverso la canzone “La lumaca”, essere lento per antonomasia. Ecco che il tempo scenico e ritmico si dirada fino a perdere quasi ogni riferimento, fin quasi a voler ritornare indietro: sul palco i movimenti si fanno lenti, impercettibili, è la fine dello spettacolo.
La lunga ascesa si conclude con il bis di “Ovunque proteggi”; meritata standing ovation del pubblico di Bologna.
Ogni spettacolo di Vinicio Capossela è assolutamente unico ed irripetibile; il cantautore non smette mai di sorprendere per la sua teatralità, per il suo assoluto controllo dello spazio teatrale, per la proprietà lessicale, per alcune metafore ed analogie tanto azzardate quanto perfettamente efficaci.
A cura di
Donato Carmine Gioiosa
foto di
Emmanuele Olivi
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