Noemi: la sua “Metamorfosi” racconta una rinascita

Noemi: la sua “Metamorfosi” racconta una rinascita
Condividi su

Noemi è tornata, stavolta davvero. E non soltanto sulle scene musicali, è tornata in sé, nella propria pelle, nella propria voce, sebbene abbia cambiato tutto. La Noemi di Metamorfosi, il disco di inediti pubblicato lo scorso 5 marzo, è perfettamente riconoscibile, eppure nuova.

È un’artista consapevole, determinata, centrata, come centrato è il suo album, il cui fil rouge è la rinascita, che deriva da una profonda conoscenza di sé. Metamorfosi è un disco luminoso, eppure affonda le radici nel buio e racconta un salto. Dal nero alla luce. Da una presa di coscienza all’atto del cambiamento, che non è mai indolore, ma è sempre necessario, specie quando non ci si riconosce più nei propri panni.

Noemi, in Metamorfosi, racconta il momento esatto in cui ha tagliato il cordone ombelicale che la legava a sé. Nella fattispecie, il momento preciso in cui ha capito di essere diventata vittima dell’abitudine, di una accettazione distratta e strascicata delle proprie paure.

Quindi, Metamorfosi è il processo graduale e meticoloso che l’ha portata a cambiare pelle, voce, aspetto, suono e soprattutto percezione di sé. È un processo necessario, che l’ha spina a riconoscersi e poi ritrovarsi nella sua metamorfosi. Del resto, cosa ci rende più fedeli a noi stessi se non il cambiamento?

Noemi e la scelta di interpretare se stessa

Noemi, sin dal suo esordio a X-Factor, ormai dodici anni fa, si è sempre distinta per il fatto di essere un’interprete di razza, viscerale, intensa e a fuoco in ogni brano. Ha cantato Vasco Rossi e Gaetano Curreri, Fabrizio Moro e Federico Zampaglione, Marco Masini e Ivano Fossati, Giuliano Sangiorgi e Tricarico, risultando sempre credibile e perfettamente a proprio agio.

Eppure, con Metamorfosi, ha fatto un salto nel vuoto: non ha prestato la propria voce alle parole degli autori che l’hanno scelta, ma ha scelto le parole che meglio hanno saputo raccontare la sua rinascita.

Per questo, ha voluto al proprio fianco un team di lavoro del tutto nuovo: dai produttori (Andrea Rigonat e MUUT, duo formato da Francesco Fugazza e Marcello Grilli), fino agli autori (Ginevra Lubrano, Arashi, Franco126, Dario Faini, Tattroli, Daniele Magro, Federica Abbate, Roberto Casalino, Davide Simonetta e gli stessi Fugazza e Grilli), Noemi ha scelto di avvicinarsi alla scena underground e raccontare chi è diventata.

Spicca, tra gli autori, anche Neffa, con cui Noemi ha duettato al Festival di Sanremo in Prima di andare via: il cantautore ha firmato per lei il brano Tu non devi. Se la Noemi di prima era un’ottima interprete, quella di oggi è un’ottima interprete di sé, del percorso che l’ha riconciliata con se stessa e le ha permesso di guardarsi da una prospettiva inedita. E di piacersi, soprattutto.

Noemi: le canzoni di Metamorfosi

Metamorfosi è composto da undici canzoni e il brano omonimo, che apre il disco, ne è il manifesto. Metamorfosi, infatti, è un dialogo tra la Noemi di prima, arresa all’abitudine e spaventata dal cambiamento, e quella di oggi, capace di guardare oltre la paura e di vedere un approdo sicuro persino nell’incertezza di un salto.

«Vorrei sapere cosa vedi dentro me, se non lo so neanche io che cosa sono», canta la prima. La seconda le fa eco così: «Dall’altra parte non sarò mai sola, dall’altra parte c’è una vita nuova, adesso non c’è tempo per tremare». Le due Noemi, sebbene sembrino in antitesi, in verità sono solo una risposta diversa allo stesso malessere.

Finché questa risposta, nella seconda parte del brano, non impara a coincidere: «Mi do la mano così non scivolo mai più, all’orizzonte sono io il mio miraggio». È vero, forse all’inizio la rinascita appare come un miraggio, ma la Noemi di ieri impara a fidarsi della Noemi di oggi e lo canta senza paura alla fine del pezzo: «Mi porterò via».

Noemi: la consapevolezza di sé è la chiave di Metamorfosi

La consapevolezza di sé, che è il varco necessario per arrivare al cambiamento, è un tema ricorrente in Metamorfosi: torna in Ora (Non sono più tua, sono sempre mia), Si illumina (Mettevo l’abito da sera solo per fuggire e lo mettevo solo per potermi capire / Ma ho smesso di ballare sul filo di un ricordo, non voglio più attendere).

Torna, poi, in Limite (Il muro si può buttare giù, ma solo se ci provo io / Si può buttare giù, ma solo se lo voglio io / E lo butto giù), Senza lacrime (Cosa sono io ora che non vivo per te), Big Babol (Proverò a stare bene tra la folla, la paura mi starà guarendo), Musa (Scioglierò i capelli e lascerò le cose più preziose / Troverò riparo nelle tue parole coraggiose, così poi sarò libera e più forte / Sarò libera).

La “nuova” voce di Noemi è il suono di Metamorfosi

Metamorfosi, inoltre, ha permesso a Noemi di scoprire nuove sonorità: dal pop elettronico al funky, fino al soul retropop, la cantante romana ha il talento (ampiamente noto) di essere inconfondibile in qualsiasi veste.

Tuttavia, il cambiamento che racconta non si esprime solo attraverso le parole dei testi o il sound dei brani, è la sua voce a svelare la prima, importante metamorfosi: Noemi, stavolta, aggiunge nuove sfumature alla sua vocalità e, al graffio a cui ci ha abituato, affianca un modo di cantare più intimo, sottile, armonioso. Succede anche in Glicine, il brano presentato a Sanremo, in cui scopre il falsetto.

Insomma, la nuova Noemi ha preso per mano quella di prima e l’ha accompagnata in un percorso di consapevolezza, crescita e rinascita. L’ha accompagnata a conoscere la donna e l’artista che poteva diventare, semplicemente smettendo di aggrapparsi alla paura di cambiare.

La Noemi di prima si è fidata e la sua metamorfosi è diventata il punto di partenza per un altro futuro, fortemente voluto, certamente sofferto, per questo prezioso. No, stavolta non è il caso di dire bentornata a Noemi, ma benvenuta. Perché è quella di sempre, è vero, ma senza più l’obbligo di essere quella di sempre. Del resto, l’ha detto lei stessa: «Vai bene solo se vai bene a te».

a cura di
Basilio Petruzza

Seguici anche su Instagram!
LEGGI ANCHE – Michele Bravi: “La geografia del buio” per orientarsi nel dolore
LEGGI ANCHE – 
“Tribù urbana” di Ermal Meta: un puzzle di vita
Condividi su

Basilio Petruzza

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *