Luca Fol: musica per timidi estroversi

Luca Fol: musica per timidi estroversi
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Se lo vedeste camminare per strada, pensereste a Luca Fol come un giovane poeta, anche se lui non si definirebbe mai tale, piuttosto un giovane sognatore con un vago stile bohémien, unito ad un viso pulito e gentile.

Luca Fol è un ragazzo con la bontà negli occhi, tanto mite quanto pieno di elettricità, che ha trovato nella musica la sua bilancia fra il proprio mondo interiore e la società. Ha già prodotto due dischi ed ora si accinge a presentare il suo terzo lavoro: un album stilisticamente molto diverso dai primi due. I titoli sono Flower e Mother goes plastic e viaggiano su note morbide ed acustiche o dure ed elettriche del rock e del pop.

Questo giovane ragazzo di 26 anni ha la capacità di dare nuova vita alle sonorità anni ‘90, ma non solo. La sua musica ci fa rivivere le atmosfere di quegli anni con tutta l’energia positiva che lo caratterizza. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del suo primo singolo da solista: Oro bianco.

Sei giovane, cantautore e anche polistrumentista. Pare che tu abbia iniziato presto a capire che la musica sarebbe diventata parte integrante della  tua vita. Hai studiato o hai lasciato semplicemente che le tue doti musicali venissero a galla?

Ti stupirò, credo, perché sono completamente autodidatta! In quinta elementare feci un corso di chitarra classica che mi annoiò subito, ma mi innamorai della batteria che vedevo in quella sala prove. Da quel momento, per i successivi due anni, abbandonai la chitarra e mi misi a suonare batteria, sempre da autodidatta. In seguito, iniziai a studiare canto, anch’esso proseguendolo per un paio d’anni. Studiare canto mi ha aiutato a scoprire meglio il mio corpo, permettendomi di percepirlo esso stesso come uno strumento musicale. 

Quando scrivo le mie canzoni, compongo principalmente con piano e chitarra ora, ma lavoro anche con synth, tastiere e batteria, appunto. A livello tecnico non mi reputo perfetto, piuttosto mi definisco un “buon strimpellatore”. Ho una buona infarinatura di diversi strumenti, ho suonato e ascoltato tanta musica, studiando direttamente sopra i dischi.

Dopo i primi due album in lingua inglese, ecco nel 2020 la tua prima produzione in italiano. È stata una richiesta da parte dei produttori oppure una tua iniziativa? Te lo chiedo perché in questo passaggio si nota anche un evidente cambio di stile musicale… 

Assolutamente nessuna imposizione! È stata una mia scelta scrivere in italiano. Non avendo alle mie spalle un’etichetta fissa, ho preso questa decisione, basandomi su esperienze dirette personali, su mie riflessioni, su feedback del pubblico o da chiunque si interessasse al mio progetto.

I primi due dischi in lingua inglese derivano da un amore grandissimo per i Beatles, per gli anni ‘60 e per tanta altra musica internazionale che ho ascoltato durante l’adolescenza. La lingua inglese è stato un mio grande amore, ma mi sono reso conto che averla utilizzata nei miei dischi precedenti ha mascherato un po’ la mia identità, essendo io italiano nel pensiero e nella parlata. 

Negli anni, frequentando circuiti indipendenti italiani, ho iniziato a capire cosa andasse per la maggiore in Italia: ho composto i primi brani in italiano e così facendo ho scoperto che ciò che scrivevo mi rappresentava di più e mi esprimevo meglio nei confronti del pubblico. Sono convinto che molti dei miei testi possano apparire strambi, probabilmente è dovuto al mio personale processo artistico, che parte sempre dalla ricerca di una melodia, sulla quale vado poi a strutturare un testo.

Ad ogni modo, ora che scrivo e canto in lingua madre, non solo mi diverto di più, ma sono convinto che la mia musica arrivi meglio al pubblico. D’altronde, se si vuol vivere di musica, serve avere un target. Occorre sapere, senza che questo diventi una costrizione o un limite, a che tipo di pubblico vuoi rivolgerti.

Da fotografa, non posso non notare la cura nella scelta delle foto copertina dei tuoi primi due album: c’è una figura che ti segue e consiglia su queste scelte o sei sempre tu ad occuparti dell’immagine riguardo la presentazione dei tuoi dischi?

Mi fa molto piacere che ti piacciano! Entrambe le foto non sono mie: quella del primo album è stata scattata da una mia amica, in maniera totalmente estemporanea e casuale. Se ricordo bene addirittura con uno smartphone. Mi piacque così tanto che la feci post-produrre da un grafico e la scelsi come copertina. 

La seconda invece ha una bellissima storia dietro. Seguivo un blogger su Instagram, che postava bellissime foto di suoi viaggi. Questa in particolare mi piacque così tanto che gli scrissi per chiedergli di poterla utilizzare per la copertina di “Mother goes plastic”. 

Lui mi rispose molto gentilmente che potevo averla senza alcun compenso e mi raccontò che la scattò a Berlino: mentre stava immortalando quel muro pieno di colori, una bicicletta saltò fuori all’improvviso ed entrò nella foto, diventandone la protagonista.

Quello scatto mi fu d’ispirazione, tant’è che commissionai ad un fotografo di Rimini altre foto, che riprendessero il motivo dell’immagine sfocata intesa come resa del movimento. 

Diversamente, nella copertina del mio nuovo album, che vedrete a breve, ho voluto letteralmente “metterci la faccia”. Ho preferito abbandonare il precedente concept di immagine astratta, più irrazionale e artistica, a favore di un lavoro d’immagine più ragionato e mirato a dare finalmente un volto alla mia musica. 

Ti presenti come progetto solista, pur avendo una tua band. So che non ti sei mai proposto cantando cover, ma solo tuoi brani inediti. Spiegaci se questa scelta ti ha facilitato o meno quando ti sei proposto al pubblico...

In realtà c’è stata una piccola parentesi della mia carriera live in cui ho suonato cover con la mia band, proprio all’inizio, quando cantavo in inglese. 

Proponevamo brani dei Beatles o di David Bowie, ma presto, dopo pochi mesi, ho deciso che non volevo proseguire su quella linea, ma presentare solo miei inediti. 

Per fortuna esistono tante realtà, club, festival o circoli ARCI che danno priorità solo a progetti inediti: per me è fondamentale scegliere quel tipo di circuito perché da valore a questo tipo di pensiero musicale. 
La difficoltà non è nel non trovare a chi proporsi, ma nella concorrenza: a Rimini stessa, ci sono molte band che propongono inediti o solisti che lanciano il proprio cantautorato. 

Non è semplice: occorre trovare una propria identità, un punto di forza e sperare d’incontrare un pubblico che apprezzi e sia interessato al tipo di musica che fai. Allo stesso tempo cerco di seguire artisti che fanno musica simile alla mia: contatto le loro etichette, uffici stampa, booking sperando di entrare a far parte di quell’ambiente, che reputo giusto per me. Credo semplicemente che sia il percorso giusto da seguire…

Parliamo del tuo singolo che è uscito l’11 febbraio, a cui farà seguito la presentazione dell’album: questo tuo ultimo lavoro racchiude sonorità elettro-pop anni ‘90 e tanto altro. Raccontaci quali sorprese ci aspettano!

In questa mia ultima avventura musicale troverete sicuramente tanto delle amate sonorità anni ‘90, riproposte in maniera più contemporanea. Oro bianco è molto giocoso, divertente ed è un susseguirsi di jingle elettronici: ho scelto questa canzone come primo singolo perché è in stile prettamente pop, orecchiabile, con una melodia che entra in testa facilmente. E’ diversa da altri brani più dark e oscuri, alla “Bluvertigo”, presenti nell’album.

Morgan ha sempre rappresentato per me la massima ispirazione a livello musicale; se non facesse parte del mio background, probabilmente non avrei mai composto brani di questo tipo e avrei scritto un disco completamente diverso. 

M’immagino che questo disco verrà apprezzato da un pubblico più maturo, parlo sostanzialmente di età, quel pubblico che ha sempre ascoltato Battiato nelle cuffiette del walkman o che, poco più che ventenne, tutti i sabati faceva la fila fuori dal Velvet Factory Club di Rimini.

L’intervista era terminata, davanti a due tazzine da caffè vuote e il mio blocco degli appunti chiuso sul tavolo. Ma Luca vuole assolutamente parlarmi del suo “angelo custode musicale”, alias Antonio Patané, suo produttore. 

“Antonio mi segue dal mio primo disco e mi conosce a fondo. Lo definirei il mio padre musicale: è un professionista incredibile! Segue tutto il lavoro di registrazione e mixaggio: gli affido i miei demo e le mie produzioni e lui li trasforma nei brani finiti. Alla base del nostro rapporto umano e artistico c’è una profonda sintonia; un legame che è fondamentale, non solo per me, ma anche per tutta la band, composta da Lorenzo Degli Esposti al basso e Giulio Serafini alla batteria. Antonio è un collaboratore prezioso e infallibile, soprattutto onnipresente, dispensa sempre i migliori consigli a tutti noi: è il motore del mio progetto da sempre.”

a cura di
Valentina Bellini

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