A Gian Marco Manzo “Si vede il cuore”, ma non è fragile
Gian Marco Manzo, classe ’89 si fa portavoce di sentimenti che preferiamo insabbiare, negare e relegare. Ci ricorda che la vera forza sta nell’accettare le nostre debolezze, facendone veri e propri “capolavori”. Perché provare tutto all’ennesima potenza ci espone, ma ci fa sentire tremendamente vivi.
Di lui mi hanno colpito l’integrità e la fierezza con le quali racconta, ma soprattutto offre la propria fragilità. La sua ultima opera: “Così fragile che ti si vede il cuore” è uscita ad ottobre 2020 edita da Poetica Edizioni ed è una raccolta di poesie e dialoghi che, attraverso le parole e la psicologia, desiderano dare ancora luce a tutte quelle splendide sfumature che ci appartengono e che le persone non hanno cura di guardare.
L’ho intervistato per voi…
Ciao Gian Marco! Sorriso aperto e smagliante. Eppure scrivi di sentimenti introspettivi, quasi malinconici. Come si vive avendo questa grande sensibilità?
Ciao Ilaria! Non ti nego che mi fa sorridere molto la tua affermazione sul mio sorriso. È qualcosa che notano in tanti e che sottolineano spesso. Inoltre, penso si ricolleghi bene alla tua domanda. Sorrido quando sono felice, come molti. Sorrido per cercare di regalare un po’ di leggerezza e gentilezza a chi ho intorno. Ma sorrido, anche per camuffare quella sfumatura malinconica che mi accompagna da una vita, un po’ come una lente da sole sul viso, che scelgo di togliere soltanto con le persone di cui mi fido e che penso riescano ad abbracciare quel mondo più buio che mi porto dentro.
La malinconia ha origine da una forte sensibilità, la quale mi fa sentire ogni emozione, positiva o negativa, con estrema potenza e ch’è quindi un’arma a doppio taglio che col tempo ho imparato a gestire, per innamorarmi ogni giorno della vita ma anche proteggendomi dalla vita stessa. Comunque, nonostante i lati meno positivi, malinconia e sensibilità non le baratterei per nulla al mondo, perché è proprio da lì che nascono le mie parole.
La tua opera si chiama “Così fragile che ti si vede il cuore”. Perché secondo te la fragilità spaventa? E perché la società la vede come una debolezza?
Bella domanda! Apparteniamo ad una società a tratti molto superficiale. La società dell’estetica, dell’apparenza. Una società che impone il sorriso in foto altrimenti non rispettiamo un canone di bellezza prestabilito. Una società dove non c’è spazio per la fragilità delle persone, perché dietro le fragilità ci sono sempre storie di sofferenza, e quando ti incontri con il dolore degli altri devi anche essere capace di sostenerlo e contenerlo. E questo non è facile e non siamo allenati a farlo.
È più facile invece mettere la fragilità nella categoria delle “debolezze”, perché delle debolezze ci hanno insegnato a vergognarci e quindi a tenerle per le nostre stanze chiuse, senza sapere ch’è anche da lì che nascono risorse meravigliose come la fantasia, la creatività, l’arte. Penso a pittori come Frida Kahlo, Van Gogh o Ligabue e a quanto hanno sofferto e a quanto erano fragili. Siamo tutti il risultato anche del contesto in cui viviamo, nel bene e nel male, ma possiamo sempre liberarci dei canoni che non sentiamo nostri.
Pensi che questa pandemia abbia portato alla luce nuove fragilità o abbia semplicemente posto l’accento su quelle già esistenti?
La pandemia ha accentuato la fragilità di quelle fasce che già sperimentavano disagio in questa vita, come gli affetti da patologie psichiche o semplicemente coloro che si sentono in qualche modo lontani da questo mondo e questo tempo, e ha acceso i riflettori su tante altre persone definite “normali” e che si sono ritrovate a vivere un cambiamento inaspettato e profondo senza esserne preparati.
Il problema principale però è la difficoltà a domandare aiuto, soprattutto a professionisti capaci di lenire e accompagnare certe difficoltà personali. E si preferisce star male, tirare a sopravvivere o, nel peggiore dei casi, morire anziché ammettere a sé stessi e agli altri che abbiamo bisogno di una mano per ritrovare il sorriso.
Quanto hanno aiutato i tuoi studi psicologici nell’analisi dei disagi che scardini?
Sono stati fondamentali. Ogni parola, ogni verso, ogni mia poesia che poso sul foglio trova linfa negli studi che ho approfondito negli anni, negli incontri e nelle relazioni con le persone che durante la mia esperienza da psicologo ho avuto la fortuna di vivere e nelle consapevolezze che ho raggiunto grazie alla mia terapia personale. Il mio desiderio più grande è mettere a disposizione degli altri tutto quello che ho vissuto e imparato sperando che possa essere d’aiuto come lo è stato per me. E la scrittura mi ha regalato la possibilità di arrivare a molte persone.
Come si trova la forza di essere sé stessi e di amarsi in una società che ci vuole sempre più omologati e tende ad appiattire qualsiasi diversità?
Si trova vivendo. Nel senso che penso sia necessario passare prima per il dolore, quello di sentirsi diverso e del provare a cambiare e ad omologarsi con il desiderio di essere accettati. Poi ti accorgi di non poter cambiare, di non poter essere altro dalla meraviglia che già sei, e che il tentativo di modificarti ti fa star male e fa mancare il respiro. E allora arrivi ad accettarti, ad apprezzarti e a guardare quei lati di te, che pensavi sbagliati, non più come un errore ma come una rarità. A circondarti di persone che sappiano vederli come tali e che ti rimandino l’immagine di te stesso come uno splendido capolavoro. E infine arriva l’amore, quello proprio.
Perché dovremmo acquistare la tua raccolta di poesie?
Questa domanda mi spiazza, sai? Non sono mai stato bravo a farmi pubblicità. So solo che lì dentro c’è una bella fetta della mia esistenza, delle mie esperienze, delle mie relazioni, del mio dolore per non essermi amato per tanto tempo e della mia felicità, nel momento in cui ho iniziato a farlo. La psicologia può salvare tante vite e i miei versi conoscono bene le mura e le finestre di una stanza di terapia.
So che la poesia è per me, fin da quando ero piccolo, una carezza calda in mezzo al freddo del mondo. In quelle pagine c’è il forte desiderio di poter essere lo stesso per i miei lettori. Probabilmente nel mio libro non ci saranno le risposte, ma sono sicuro che possa spingere a trovare la forza e il coraggio di aprirsi a tante domande.
a cura di
Ilaria Iannuzzi
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