Il mantra notturno di Johnny Mala, chitarrista e autore ravennate, nasce nel cuore dell’underground bolognese
Dopo il debutto solista con Sulle Labbra, che ci aveva portati tra i portici di una Bologna notturna e nostalgica, Johnny Mala – al secolo Luca Malatesta – torna con un nuovo singolo. Si cambia pelle e il suono si fa più liquido, più elettronico, più ipnotico. Il titolo è Indossa ciò che ti frega, ed è molto più di una canzone: è un’esperienza, un flusso di coscienza registrato su nastro in una notte d’estate.
Il passaggio all’elettronica
Indossa ciò che ti frega è costruito su un beat elettronico martellante, su synth stratificati e su una frase che torna, si ripete, si consuma come un’ossessione. “È un mantra, un loop ossessivo, compulsivo. Racconta la continua ricerca del proprio io perché ognuno di noi indossa ciò che poi lo frega nella vita.”, racconta l’autore.
Il brano nasce da una collaborazione con Nas1, collettivo di DJ e producer molto attivo nella scena underground bolognese. Una jam session notturna, con sintetizzatori e drum machine, che ha preso vita con immediatezza: registrato su nastro analogico, quasi tutto improvvisato al primo take, poi rifinito al VDSS Studio.
Una nuova fase, tra contaminazioni e urgenza creativa
Questa svolta nel suono non è casuale: fa parte di un processo più ampio. Johnny Mala sta raccogliendo canzoni per un EP che uscirà in autunno, e ogni singolo è una tappa verso quel lavoro più completo.
“Mi sono dato ottobre come orizzonte per far uscire qualcosa di più strutturato. Nel frattempo voglio collaborare con più artisti possibili della scena bolognese, contaminarmi”
Indossa ciò che ti frega è Bologna vista da dentro, da una sala prove, da una notte liquida passata a suonare, tra macchine analogiche e improvvisazioni. È una città che pulsa, che non si ferma, che sfugge alla forma per abbracciare l’istinto.
Il filo rosso di Antonioni
Come nel precedente singolo, anche qui ci sono riferimenti culturali e cinematografici. Se prima erano Jack Frusciante e Mastroianni, ora è Michelangelo Antonioni, e in particolare Il deserto rosso, tra alienazione industriale e paesaggi interiori.
“Nel testo cito proprio ‘Deserto Rosso’, e in generale l’atmosfera del brano è glaciale, rarefatta”. Questa dimensione sospesa è anche il centro tematico del brano: l’idea che ciò che indossiamo, ciò che scegliamo – relazioni, ruoli e quant’altro – sia anche ciò che può farci del male.
Nonostante il cambio radicale di approccio, il passaggio all’elettronica non è una moda. È un modo per esplorare nuove direzioni senza perdere la bussola. “Non voglio riempire un EP tanto per farlo. Voglio che ogni pezzo abbia una storia, una forma, un’urgenza. Anche se diversa. Anche se inaspettata.”
a cura di
Daniela Fabbri