“Giù nella valle” e la corsa per la libertà
Giù nella valle, l’ultimo romanzo di Paolo Cognetti, ha scatenato le ire di alcuni lettori, soprattutto di chi la montagna dice di viverla
Molti lettori godono della scrittura di Paolo Cognetti a partire da quel romanzo che sembrò svelare ai più l’esistenza, sopra al loro naso, di otto montagne e di una vita più realistica sulle cime, lontana dalla città. Se l’idea fino a quel momento era stata di una montagna gentile quando si fa il picnic e di un nonno che si occupa di una bambina con le caprette, con l’arrivo del primo romanzo “di montagna” l’incanto si è spezzato. Giù nella valle, invece, ha diviso in due le opinioni dei lettori e delle comunità montane, perché a quel ritratto di vita in quota ci siamo oramai abituati.
Bisogna fare una premessa, trovo da sempre terapeutiche le sue storie; come lettrice, libraia e redattrice posso dire che l’autore non deve mai mancare sugli scaffali.
La montagna di Paolo
La montagna di Paolo è quella che non perdona, che calma l’anima ma che ti lascia solo in un attimo. Luoghi dove la regola principale è quella del rispetto e dello stravolgimento: in un istante cambia l’aria e potresti non riuscire a muoverti da dove sei. Cime, scarpate, neve e taglialegna, abitudini dolci e faticose nascoste nei rifugi che possono avere colori romantici e invidiabili.
I suoi personaggi però non sono così. E Betta, la donna di Giù nella valle, non lo sa ancora.
Dice: Questo che arriva è il tuo secondo inverno, vero?
Sì.
Il secondo è il più difficile. Porta pazienza.
Perché è il più difficile?
Perché il primo era nuovo. Era tutto una scoperta.
E al terzo ci si abitua?
La trama secondo la libraia
Non apprezzo molto il copia e incolla della trama, perché sono sempre la prima a dire che le quarte di copertina deviano il lettore. È necessario sottolineare però come i romanzi di Cognetti sulla montagna non fanno parte una saga e sono godibili anche in ordine sparso, scegliete a sentimento.
L’ultimo pubblicato da Einaudi ha una storia che lascia molti dubbi: ci sono cani aggrediti da altri cani, ci sono due fratelli che si ritrovano solo per obblighi notarili e una donna, incinta, che se ne sta ai margini della narrazione. Era necessario raccontare di queste aggressioni? E se i visitatori avessero paura? Perché i fratelli devono essere uno buono e l’altro cattivo? La montagna è davvero alcol, carcasse e chiacchiericcio? Ovviamente non era necessario che Cognetti proponesse ancora una volta una storia quasi estrema, ma sono anni che si difende una natura della quale non conosciamo assolutamente nulla e alla prima reazione siamo pronti a imbracciare fucili per uccidere.
Ecco, la trama può essere ridotta davvero a un uomo sposato con una donna incinta, che è nella forestale e ha perso da poco il padre. Un forestale che però beve come tutti, che è poco attento all’umanità e più incentrato a sopravvivere a un lavoro che gli dia un fisso per portare i soldi a casa. Poi c’è il fratello che viene dal Canada, che è stato arrestato, che combina solo danni tra i boschi. E un cane, randagio, che si prende ciò che vuole con l’arroganza di chi, forse, è stato privato di tutto. E una valle distrutta dall’arrivo delle piste da sci.
Il fastidio
Da dove nasce il malumore? Ovviamente dall’incapacità di comprendere che il romanzo ha una struttura diversa dall’articolo d’inchiesta e resta il punto di vista, il bisogno, il capriccio di uno scrittore. Nessun sindaco si è mai lamentato per come Roma è stata descritta in Romanzo Criminale, per esempio. E ce ne sono di luoghi descritti come un tripudio di violenza, omicidi e prostituzione. Se avete letto Manzini e i romanzi del Vice Questore Rocco Schiavone, avete anche certamente realizzato che non si fuma erba in questura come si beve un caffè, che in Valle d’Aosta non ci sono 2 omicidi al giorno e che la playlist che il romano si porta sulle montagne non per forza deve avere Il Muro del Canto e Il Piotta con 7 Vizi Capitale.
Nonostante le ovvietà, il sindaco di Quarona e presidente dell’Unione Montana Valsesia, Francesco Pietrasanta, è stato capace di dire che l’autore ha denigrato questa terra. Ha fatto cattiva pubblicità raccontando cose non vere, insomma.
Perché l’abbattimento del bosco per lasciare spazio alla pista da sci, la guardia forestale che beve qualche bicchiere di troppo, una donna che lascia la città per vivere d’amore e libri accanto all’uomo con l’alito di alcol sono situazioni che si possono vivere e riconoscere anche in una città come Milano. Anzi, forse in Valsesia fa più rumore perché è tutto più piccolo davanti alla catena montuosa e alla notte che inghiotte. Una meravigliosa intervista all’autore si può leggere qui, sul sito di Il T.
Il fastidio secondo i lettori
I lettori invece hanno avuto momenti di sconforto perché è venuto meno il mito di Cognetti come scrittore di montagna. L’autore non è mai stato questo tipo di scrittore, ha lavorato anche su altro e anche i racconti di montagna sono le storie di passaggio di un autore che porta la scrittura ovunque va. Il romanzo ha uno stile ruvido e stanco, di chi si arrende all’evidenza che, negli anni ’90, l’Italia era anche questa: una meta turistica, un luogo meraviglioso dove l’economia sovrastava tutto, compresa la valle sotto i ghiacciai del Monte Rosa.
Proprio qui ci sono gli scontri che non sono piaciuti ai lettori e al Sindaco: l’uomo contro se stesso, contro l’ambiente e contro l’obbligo di dover chiudere una storia esattamente come il lettore si aspetta. La stessa sorpresa credo sia riscontrabile in chi ha avuto modo di vedere la trasposizione cinematografica di Le otto montagne e poi si è avvicinato al libro: una storia di rancore, di rabbia, non c’è un bel sentimento.
Quando mai la montagna è solo erba verde sgargiante, odore di fiori e sole per il buon umore?
Terapeutico
Giù nella valle è terapeutico tanto quanto gli altri scritti di Cognetti. Ogni lettore subisce un fascino differente, ogni storia personale ritrova una virgola, una parola o un passaggio che racconta di sé. Del rapporto costretto con un fratello che mente, del bisogno di toccare a piedi nudi la terra, delle legnate prese e la voglia di vivere on the road. Quello che queste storie sembrano fare è lasciare un semino. Il lettore si aspetta una via illuminata nell’immediato e invece quel semino germoglierà quando ne avremo più bisogno o quando avremo dimenticato di averlo.
Per acquistare il libro senza costi di spedizione, clicca qui!
a cura di
Ylenia Del Giudice