The Witcher, season 3, volume 2: tra addii e solite perplessità

The Witcher, season 3, volume 2: tra addii e solite perplessità
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Se nella prima parte avevamo bestemmiato relativamente poco e apprezzato un certo respiro nella narrazione, con le ultime tre puntate di questa stagione di The Witcher abbiamo riassaporato l’amaro gusto delle opportunità buttate via.

Vi avevamo lasciato con la recensione sulla prima parte di questa terza stagione di The Witcher di Netflix, che vede per l’ultima volta Henry Cavill nei panni di Geralt di Rivia. Vi avevamo lasciato con qualche speranza, con l’apprezzamento di alcuni aspetti riguardo lo sviluppo della storia.

Arriviamo ora a parlare della seconda parte, di queste ultime tre puntate, dove di nuovo, purtroppo, assistiamo a momenti ben messi in scena che vengono affogati con triste ardore da cambi di direzione, fast forward della storia e situazioni confuse e mal spiegate (o eccessivamente pedisseque) che rovinano un po’ tutto.

Luglio 2023, Abruzzo. Parte della redazione di TheSoundcheck.it allo stremo delle forze
Passo dopo passo, nell’estremo tentativo di guardare il bicchiere mezzo pieno...

Come sempre, il qui presente scribacchino eviterà il più possibile spoiler. Vi dobbiamo dire tuttavia che ci sono tante e molte scene di battaglia, schermaglie e tafferugli che sì, sono quasi una gioia per gli occhi: la baraonda è confusa “al punto giusto”, si capiscono le azioni compiute e i momenti salienti hanno il loro giusto spazio (non sempre, ma spesso). C’è un’inquadratura che omaggia, forse involontariamente, “Carrie – Lo sguardo di Satana”. Volente o nolente, è una delle scene più d’impatto di questo ultimo trittico di episodi della terza stagione di The Witcher.

Anche un passaggio in cui protagonisti assoluti sono Geralt di Rivia e Vilgeforz è trasposto bene rispetto alla descrizione nei libri, paradossalmente proprio perché molto rapido e sbrigativo.

Tissaia continua ad apparire tra saggia e un po’ fessa, ma rimane tra i personaggi più interessanti e meglio interpretati di tutta la serie (MyAnna Buring una spanna sopra il 90% di tutte le altre maghe).

Ricompaiono le driadi e qui, rispetto alla prima stagione, si dà qualche spiegazione maggiore allo spettatore. Anche l’introduzione di un nuovo personaggio, Milva. Più rompicoglioni dell’originale, ma va bene così.

A proposito di nuovi innesti, sul finale di stagione ho avuto l’impressione di ripercorrere con dovizia di particolari alcuni passaggi dei romanzi, a dimostrazione che, se avessero voluto, avrebbero potuto fare un lavoro egregio dall’inizio alla fine.

“Allora, caro. Ti è piaciuta la cena?” “O Phili’, è tutta plastica. T’avevo detto di seguire i consigli di Franchino Er Criminale…”
Passo dopo passo, nell’estrema delusione di constatare il bicchiere per lo più vuoto

Alcuni passaggi, dunque, sono esposti bene… Stessa cosa non si può dire di quel povero cristo misogino e xenofobo di Stregobor, di quell’idiota di Cahir che non si capisce se cambia idea ogni 3 secondi o se stia facendo il quintuplo gioco e, soprattutto, di tutto lo spezzone inerente Ciri: una narrazione che avrebbe dovuto avere lo stesso spazio che ha avuto il concilio dei maghi nella prima parte di stagione.

Invece, tutto si risolve in meno di una puntata un po’ noiosa, infarcita di apparizioni, riflessioni e prese di coscienza che arrivano troppo in fretta e quasi a caso, un po’ con la stessa foga e la stessa voglia con cui il cassiere del Lidl passa la spesa in cassa.

In più, qualcosa che accade a Ciri avviene per i motivi diametralmente opposti a quelli descritti nei libri. Non è una differenza di poco conto: la piccola Leoncina di Cintra è spaccona ma sempre con un filo di insicurezza, ha da sempre avuto difficoltà nel gestire o nell’evocare il potere intrinseco. Non può, in un certo momento, dire “Rinuncio a tutto questo”. La condizione più naturale e ovvia per una ragazzina di 16 anni sarebbe quella di esaltarsi per aver compiuto determinate azioni che invece in passato aveva sempre fallito.

Da qui il solito disco rotto che avete imparato a leggere: una caratterizzazione dei personaggi che procede bene per poi disintegrarsi in alcuni frangenti. Lasciamo perdere Ranuncolo e Ravoid, il primo coinvolto in un intreccio amoroso totalmente inutile e l’altro in balia degli eventi, perfetto personaggio da piazzare a caso per risolvere situazioni di trama che potrebbero essere così riassunte: “La faccenda si sta facendo troppo lineare, facciamo accadere questa cosa e poi piazziamo ‘sto stronzo qui, in questo preciso istante, e poi ci pensiamo alla quarta stagione”.

No, non stiamo piangendo. È solo entrata una trave in un occhio
Ciao Henry di Rivia, è stato un onore.

In tutta la terza stagione Geralt è stato messo un po’ in disparte per far posto alla storia generale. Una scelta azzeccata per quasi tutto il tempo. Tranne per alcuni momenti in cui lo strigo sembra avere connotati da buon personaggio secondario e in cui Cavill sembra stringere i denti pur di consegnarci una prova recitativa quantomeno dignitosa. Quest’ultimo punto si manifesta in particolare nell’ultima puntata di questa terza stagione di The Witcher targata Netflix.

Non è un’interpretazione fiacca, sia chiaro, ma è altrettanto evidente come all’inizio di questa avventura, nel 2019, l’attore riuscisse a dare sfumature al personaggio di Geralt anche in momenti e scene secondarie, mentre qui c’è qualcosa che non va, complici forse anche le scelte di ritmo e montaggio, spesso di uno sbrigativo imbarazzante.

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Abbiamo scoperto che Cahir è il figlio di Fabio Lione, attuale cantante della metal band Angra ed ex frontman dei Rhapsody of Fire (tutto si ricollega)
Le pagelle dei personaggi

Facciamo un rapido riepilogo dei personaggi principali di questa terza stagione di The Witcher. ATTENZIONE: benché taluni riferimenti siano decontestualizzati, alcuni potrebbero essere considerati leggerissimi spoiler. Leggete a vostro rischio e pericolo. Altrimenti, passate al prossimo paragrafo “Cara Netflix, facciamo un punto della situazione”.

Ranuncolo: 6-. A volte idiota, a volte determinante, stavolta gli hanno appioppato la santità un intrallazzo senza capo né coda e inutile.

Dijkstra: 6,5. Da abile stratega a vecchietto masochista e scaltro quanto una pantegana sulla corsia di sorpasso della A14. “Miii, che tracollo” (cit. Aldo Baglio)

Philippa: 7+. È sempre lì a mettere una pezza in situazioni che sembrano sfuggirle di mano, ma poi si riprende. Molto diversa dal personaggio originale, ma è una delle poche con davvero delle sfumature interessanti

Triss: 5. Sempre con quella faccia da vittima… Determinante quanto un cerotto su una emorragia interna

Tissaia: 7-. Un personaggio che si fa abbindolare dai primi occhi dolci che incontra, ma pur sempre con la cazzimma che tira fuori quando meno te l’aspetti. E interpretazione fantastica.

Ravoid: 5. Nei videogiochi non è esattamente un adone, qui sembra il cantante della tribute band ufficiale dei Bon Jovi era “Slippery When Wet”. Apparentemente sveglio, ogni tanto pensi “Che trovata geniale”, invece è un povero scemo che è nel posto sbagliato al momento giusto.

Cahir: 5. tra i personaggi gestiti in maniera peggiore. Continua a cambiare idea più velocemente di Renzi. Fate voi.

Yennefer: 7. Soprattutto nella terza stagione hanno fatto un lavoro di fino per la sua personalità. Paradossale come stia diventando diversa dai libri e videogiochi, eppure sempre più affine alla Yen dei capitoli finali. Bello il rapporto con Tissaia.

Francesca: 4,5. Facesse una scelta giusta. Stratega livello Napoleone a Waterloo.

Vilgefortz: 8-. Al momento il personaggio più coerente. E in questa marmaglia, non è poco

Stregobor: 7. liquidato velocemente, ha una delle linee di dialogo più razziste ed epiche, perfette per lui. Quasi tifi per lui (e per questo ti senti sporco dentro).

Rience: 6+. Cretino nei libri, ancora più idiota nelle sue relativamente poche apparizioni.

Fringilla: 4,5. IL personaggio mal sfruttato per eccellenza. Rimane in prigione per non si sa bene quale motivo, poi si lascia scappare rivelazioni così, a caso, che compromettono sistematicamente i suoi piani. Stratega livello Pippo che gioca a Risiko contro Eisenhower.

Ciri: 6-. Irritante il giusto, poi ha delle piazzate di maturità che nemmeno Maria Montessori. Non riescono a bilanciare il suo personaggio nemmeno se costretti dalla cura Ludovico.

Geralt di Rivia: 7-. Un paio di scivoloni eccessivamente “umani”, ma forse l’essere cagacazzi fino all’ultimo di Henry Cavill ha salvato baracca e burattini, come si suol dire. “Non l’eroe che meritiamo, ma quello di cui abbiamo bisogno” (Ranuncolo, fregando la battuta al commissario Gordon)

The Witcher season 3 volume 2 nell'immaginario di Andrea
In un universo parallelo (la mia testa), il mondo di The Witcher è leggermente diverso
Cara Netflix, facciamo un punto della situazione

Dopo 5 anni e 3 stagioni, crediamo sia possibile fare un bilancio di quello che è allo stato attuale The Witcher di Netflix. Una serie fantasy che, al di là degli inevitabili errori, sbavature e dei più che ovvie e plausibili differenziazioni, poteva essere qualcosa da ricordare. Invece l’interesse va scemando, ci sono spunti che risvegliano la curiosità solo di tanto in tanto. Questo non è da imputare alla volontà di staccarsi in alcuni aspetti da quanto raccontato dai libri o da quanto mostrato nella saga di videogiochi targati CD Project Red, quanto dalla capacità di narrazione in sé.

La crescita di Ciri continua a essere narrata in maniera orribile su schermo, mentre le sfumature più vulnerabili di Yennefer sono un’aggiunta discretamente gestita, seppur ogni tanto eccessivamente marcata.

Lo stesso Geralt, più sfumato, un po’ più umano, era una buona, ottima idea, ma taluni momenti sono fuori fuoco, vanno completamente fuori dal tracciato del personaggio raccontato nel corso delle stagioni.

Anche la risoluzione di trame e storie secondarie troppo spesso è stata gestita con una frettolosità sconvolgente. Nella terza stagione alcuni di questi difetti sono meno evidenti, ma nella seconda stagione tutta la parte di Kaher Moren è stata un guazzabuglio di pessime scelte narrative.

Stiamo leggendo come questa terza stagione, per il pubblico, sia la più odiata. Ci permettiamo di dissentire. La seconda è probabilmente quella peggio bilanciata e con una narrazione lenta e con tanti momenti morti inutili, per poi arrivare, al solito, a conclusioni frettolose di situazioni e trama.

“Signora mia, cosa vuole che le dica…” “Una cippa di niente, ecco cosa mi deve dire”

Detto questo, è innegabile come sia presente e persistente la sensazione di voler dare un colpo al cerchio e uno alla botte, di dare originalità alla storia e al tempo stesso essere fedeli alle opere cui la serie si ispira. Il problema è che è sempre tutto troppo sbilanciatto. Da puntate autoconclusive della prima stagione che prendono spunto dai racconti brevi del “Il guardiano degli innocenti” al cliffhanger della seconda stagione, dalla trasposizione quasi parola-per-parola nel finale della terza all’umanizzazione o allo stravolgimento di alcuni personaggi (Fringilla come esempio peggiore, Yennefer come esempio interessante).

The Witcher di Netflix ha questo grande, pesante difetto: vuole accontentare chi conosce i libri, strizzare l’occhio a chi ha giocato ai videogame e dare qualche elemento interessante e nuovo per chi non conosce le opere originali. Il tutto, però, creando spesso confusione e raccontando le gesta dei nostri “eroi” ora bene, ora male, ora MOLTO male.

Chissà la quarta stagione cosa ci proporrà…

a cura di
Andrea Mariano

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Andrea Mariano

Andrea nasce in un non meglio precisato giorno di febbraio, in una non meglio precisata seconda metà degli Anni ’80. È stata l’unica volta che è arrivato con estremo anticipo a un appuntamento. Sin da piccolo ha avuto il pallino per la scrittura e la musica. Pallino che nel corso degli anni è diventato un pallone aerostatico di dimensioni ragguardevoli. Da qualche tempo ha creato e cura (almeno, cerca) Perle ai Porci, un podcast dove parla a vanvera di dischi e artisti da riscoprire. La musica non è tuttavia il suo unico interesse: si definisce nerd voyeur, nel senso che è appassionato di tecnologia e videogiochi, rimane aggiornato su tutto, ma le ultime console che ha avuto sono il Super Nintendo nel 1995 e il GameBoy pocket nel 1996. Ogni tanto si ricorda di essere serio. Ma tranquilli, capita di rado. Note particolari: crede di vivere ancora negli Anni ’90.

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