“L’Anima nel vecchio baule” di Orietta Bosch

“L’Anima nel vecchio baule” di Orietta Bosch
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Il dramma dei profughi istriani in un racconto che attraversa due secoli di storia italiana

La vita rimane una pagina vuota, sin quando non vi si scrive; ci porta spesso a fare delle rinunce, che forse un giorno rimpiangeremo, al punto da chiudere in un baule segreto le nostre passioni, gli amori, i sogni, custodendoli per anni perché non vadano perduti nel tempo.”

Un antico baule, un po’ malandato, è l’elemento da cui prende avvio questa affascinante storia di Orietta Bosch.

Un autentico “oggetto parlante”, come quelli della tradizione classica, che una volta aperto, ripulito e sistemato, rivelerà di custodire al suo interno dei disegni sbiaditi.

Non gli scarabocchi astratti di un bambino o gli schizzi preparatori di un pittore, ma qualcosa di più concreto, tangibile e per questo ancor più eccezionale: la rappresentazione di una storia.

Le vicende di quattro generazioni di una famiglia, che si snodano intrecciandosi agli eventi e ai fenomeni storici più importanti, a livello nazionale e internazionale, del XIX e del XX secolo.

E così assistiamo a una saga che si dipana a partire dalla seconda metà del 1800, muovendosi sullo scenario dell’irredentismo, tremando di fronte agli orrori della Prima Guerra Mondiale, minacciata dall’epidemia di spagnola e da pericoli di ogni genere.

Una saga che tocca il tema dell’emigrazione verso gli Stati Uniti, che assiste sconvolta al disastro del Titanic, che osserva costernata l’ascesa del fascismo, lo scoppio del Secondo Conflitto Mondiale e piange sui corpi martoriati di soldati e infoibati.

Beatrice, Carlo, Mary, Boris, Maria, Darko e Norma. Uomini e donne cui la vita non lesina dolori, lutti e difficoltà.

Personaggi che si ritrovano a crescere figli talvolta da soli, in situazioni di incomunicabilità create da un vissuto troppo doloroso.

Nei disagi della fame, del freddo e della guerra.

In un clima teso e vibrante di fermenti xenofobi.

Uomini e donne che, tuttavia, non rinunciano a lottare.

Forti di quella convinzione che “il motivo principale per cui si sceglie di non affrontare la realtà è la convinzione di non riuscire a gestirla.”

Ma questi uomini e queste donne sanno di potercela fare.

Facendo appello a quel tesoro di amore e coraggio che hanno ricevuto in eredità da chi li ha preceduti.

Tenendo lo sguardo fisso su un orizzonte dalle tinte rosate che, per quanto sembri lontano, sanno non essere irraggiungibile.

Convinti di quanta pace e bellezza possa esservi anche in una frugalità che brilla della lucentezza adamantina degli affetti sinceri. Perché “la felicità è l’esperienza di pensieri positivi, di sensazioni di benessere e piacere a breve termine. La serenità è invece una sensazione a lungo termine, di soddisfazione, gratitudine e pienezza interiore.

Fonte Pinterest
E proprio quella frugalità è la cifra descrittiva dello stile dell’autrice.

Uno stile lineare, ma elegante, pur essendo privo di fronzoli.

Un linguaggio schietto, autentico, come le esistenze che ci racconta e la terra del cui popolo ci restituisce un delicato e fedele ritratto.

E anche se, alla fine, nonostante il raggiungimento di traguardi e obiettivi, il percorso terreno dei protagonisti è inevitabilmente destinato a concludersi, di loro sopravvive il lascito più importante.

Il coraggio, l’esempio e la dignità.

E un baule che ne custodisce i tratti sbiaditi e che è ancora intriso del profumo dei loro sogni.

Perché, del resto, “chi non ha il diritto di riempire la propria vita del sogno di un futuro migliore?”

a cura di
Romina Russo

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