A.I.T.O. intervista sul nuovo album “Fenomenologia degli Occhi Chiari”

A.I.T.O. intervista sul nuovo album “Fenomenologia degli Occhi Chiari”
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Fuori dal 20 maggio “Fenomenologia degli Occhi Chiari”, il primo EP di A.I.T.O. e Yvan Cole. Quattro brani anticipati dal singolo “Artisti Vari” che nel giro di poche settimane ha catturato subito l’interesse del pubblico superando i 50k streams su Spotify. “Fenomenologia degli Occhi Chiari” è un EP difficile da ingabbiare in un solo genere. Abbiamo un po’ di rock, di pop mescolato con l’hip hop e l’elettronica. Il risultato è un qualcosa che probabilmente non hai mai sentito prima d’ora.

Ecco cosa ci ha raccontato!

A.I.T.O. intervista
Ciao AITO, ben tornato su The Soundcheck. Avevamo già ascoltato il tuo primo singolo “Artisti Vari” e ora che è uscito l’EP possiamo dire che lo stile musicale è quello. Nel senso che ti muovi in un genere particolare e anche la tua scrittura rimane enigmatica. Come mai ti piace essere avvolto un po’ dal mistero?


Questa cosa dell’enigmaticità, che sta venendo fuori da più fronti, è divertente perché non è qualcosa di costruito.


Penso che nasca dalla mia profonda convinzione che la vita di una canzone inizi quando viene ascoltata. Una canzone vive dentro chi la ascolta, è una sorta di simbiosi in cui ciascuna delle parti dà e riceve quello che è necessario in quel momento. Per questo secondo me bisogna lasciare una sorta di spazio di manovra a chi ascolta, in modo che possa “mettere del suo” nella canzone e darle il suo senso personale.


Una canzone non deve dare risposte, deve generare domande, scatenare reazioni imprevedibili che dipendono da ogni singola sensibilità personale. Se no è intrattenimento, che va benissimo ma non è quello che mi interessa fare, o propaganda, che va un po’ meno bene, perché mira a indurre una reazione uniforme e “pilotata”.

Andando più sul concreto degli altri brani “Fase #1”. Intanto ti chiedo, come mai questo titolo?


Si riferisce al primo lockdown, quello della primavera 2020, che all’epoca veniva chiamato “la fase uno”, definizione che si è un po’ persa in seguito al carosello delle zone multicolore. Dalla banale necessità di trovare alternative alla noia di settimane chiuso in casa, la canzone è degenerata in un’analisi un po’ isterica delle tossicità che ci portiamo spesso dietro nel rapportare individualità e collettività, indipendentemente da quella situazione specifica.

Poi sempre riferito al brano, questo ha un suono più rock rispetto agli altri. Tu ci sembri qualcuno vicino al rock, come mai ti sei spostato verso generi completamente diversi?


Ci hai beccati. Sia io che Yvan Cole abbiamo un background giovanile bello rock’n’roll, con tanti palchi calcati con varie band. Io poi nasco chitarrista, non ho praticamente mai cantato fino ad ora, ed è inevitabile rimanere un po’ contagiati da un certo tipo di gusto ed estetica musicale.

Ciò non toglie che gli ascolti sono sempre stati vari, e, soprattutto per questo lavoro, l’approccio è stato di mettere al centro le canzoni e lavorare al loro servizio, senza precondizionamenti di genere.
Vorrei anche sottolineare che, anche se poi in copertina ci va quello che canta e scrive i testi, questo è a tutti gli effetti un lavoro a quattro mani. Senza Yvan Cole non esisterebbero queste canzoni e probabilmente non esisterebbe neanche A.I.T.O.

Il tuo stile mi ricorda un po’ Achille Lauro, che ne pensi di questo paragone?


Non è tra i miei ascolti abituali né tra le mie influenze, per questo il paragone mi diverte e mi fa anche piacere, perché vuol dire che non suono come la copia degli artisti che ascolto di più. In queste settimane sono stato accostato ai nomi più disparati, diversi fra loro e spesso lontani dalle mie influenze, questo vuol dire che le canzoni stanno lavorando sulla soggettività di chi le ascolta, come dicevo prima, e questo mi dà grande soddisfazione.


Ora che ci penso, comunque, durante le registrazioni un paio di volte il nome di Achille Lauro è stato tirato in ballo. Diciamo che, nel bene e nel male, è un personaggio che non lascia indifferenti, e questo non è poco. E poi Latte+ è un pezzone.

Come è nata “La prima a morire” e cosa rappresenta?


Lo spunto è nato una sera guardando un anime, e appuntandomi la frase “Sono la prima a morire se succede qualcosa” che veniva detta da uno dei personaggi. Avevo questa melodia e questo giro di accordi a cui non riuscivo a dare compimento da un po’, poi, qualche notte dopo, ho recuperato l’appunto, l’ho unito agli accordi e nel giro di un’ora la canzone era fatta.

A volte succedono queste cose. È stato anche il primo su cui abbiamo lavorato con Yvan Cole, non è stato semplice, è una canzone per sua natura “strana”, ma penso che il suo arrangiamento finale sia meraviglioso.
È una canzone sul sentirsi rotti dentro e fuori posto nonostante apparentemente si abbia tutto per stare bene. O forse proprio a causa di questo.


Ero convinto che fosse l’unica canzone a non parlare di me, dato che l’ho scritta pensando ad altre situazioni, ma proprio ora, rispondendo a questa domanda, mi accorgo che forse non è del tutto così. Quando dico che le canzoni hanno una vita…ecco questa canzone sta avendo una vita particolarmente interessante e io le voglio molto bene.

Prossimi progetti?


Intanto passerò l’estate a godermi i live di tanti artisti che sarebbero stati pronti per andare in tour due anni fa, quando A.I.T.O. ancora non esisteva, e, per i motivi che tutti conosciamo, se la sono dovuta vivere in apnea fino a adesso. È giusto che quest’estate sia la loro. Contemporaneamente torneremo in studio, sia io che Yvan Cole abbiamo del materiale in caldo e non vedo l’ora di vedere cosa succederà.
Verrà poi, al momento giusto, il tempo del palco anche per queste canzoni.

a cura di
Redazione

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