The Witcher, stagione 2. Babbo Geralt, zia Yen e…
Lo strigo è tornato nei meandri di Netflix. La seconda stagione di “The Witcher” procede in maniera più lineare, con un’evoluzione dei personaggi e l’introduzione di nuovi che ha sorpreso (nel bene e nel male). Spoiler: la CGI fa ancora cagare.
Nel 2019 “The Witcher” ci aveva lasciato con l’epica battaglia di Sodden, l’incontro tra Geralt e Ciri e una CGI degna del Pentium 4. Nel 2021 ritroviamo lo strigo sulla strada per Kaer Morhen, una Yennefer priva di forze, Fringilla sempre acuta come l’Ottusangolo di grandefratelliana memoria e una CGI degna del Pentium 4.
“Papà castoro, raccontami una storia”. “Ciri, smettila.” (plausibile dialogo tra Ciri e Geralt)
Non fatevi ingannare dalla prima puntata basata sulla storia di Nivellen (interpretato dall’ex bruto di “Game of Thrones” Kristofer Hivju), un “La bella e la bestia” più oscuro. Ottima, ricca di tensione avvincente e ben orchestrata. Pur ricalcando molto la storia presente nel “Guardiano degli Innocenti”, si concede dei cambiamenti importanti che danno il via alla futura differenziazione sempre più marcata.
Dal secondo episodio in poi, la seconda stagione di “The Witcher” marchiato Netflix si prende del tempo per sviluppare meglio i personaggi (Cahir ottimo lavoro, Triss un po’ ingenua) e a introdurre nuovi volti con il dovuto approfondimento (l’elfa regina-maga Francesca, il reietto Rience, il sagace capo delle spie redaniane Dijkstra, per esempio).
I tempi sono più compassati, oseremmo dire giusti in quasi tutti gli otto episodi. Ci sono gli scontri, ci sono rivelazioni, c’è un po’ di tutto, ma c’è una calibrazione della trama orizzontale che due anni fa era invece carente (aver buttato a casaccio le driadi della foresta di Brokilon senza spiegazione o approfondimento è ancora una ferita aperta).
L’introduzione di una nuova figura subdola, assente nelle altre opere ma pescata dal folklore dell’Est Europa, è una chicca ben implementata e che permette uno sviluppo interessante.
Insomma, vediamo meno battaglie, ma è una stagione traghettatrice. Il perché lo scoprirete solo guardandola.
“Non è kome nei libri!1!!1”
Evoluzione dei personaggi, dicevamo. Una pacca sulla spalla a chi se ne è occupato, perché non era facile. Inquesta stagione di “The Witcher” targato Netflix Geralt è meno burbero e più protettivo nei confronti di Ciri, come se fosse un padre. Non è una mutazione sconveniente, ma anzi attinente alla sua figura letteraria e videoludica.
Sui social veleggia del malcontento, invece, nei confronti di Vesemir, definito “rammollito”. Molti non capiscono che è un vecchio Witcher stanco, che fatica ad accettare l’ennesimo cambiamento del mondo circostante, intimorito dal futuro che potrebbe prospettarsi. Scordatevi la caratterizzazione sbruffona della controparte animata: nel frattempo Vesemir ha qualche decennio in più sul groppone e, quella, sì, era una caratterizzazione orribile di suo, col piglio di un roadie scartato dalla crew dei 30 Seconds To Mars.
Altro scontento nei confronti di Yennefer: debole, che si piega al ricatto. In realtà, anche qui, è stato fatto un buon lavoro di caratterizzazione, perché non viene snaturata come potrebbe sembrare, soprattutto in virtù di talune decisioni e azioni nel corso degli episodi.
“Ehi, dove avete messo la bozza di sceneggiatur… AH.”
Gli episodi scorrono bene, comprese determinate scelte che confermano ancora di più che si tratta di un adattamento e una ispirazione al mondo dello strigo e non diretta trasposizione dei libri (sì, ci sono ancora entità coi forconi che urlano allo scandalo). Tuttavia non è tutto oro quel che luccica. Non potrebbe esserlo per la CGI che continua a essere posticcia, con alcuni momenti di poco superiori a “La vendetta dei Sith” (se non vi pare una cosa malvagia, ricordate: 2004 vs 2021), ma glissiamo l’argomento.
Il problema principale di questa seconda stagione sono degli errori di sceneggiatura, detti volgarmente buchi, tecnicamente voragini, che di tanto in tanto compaiono. Il qui presente scribacchino vi porrà quattro esempi (no spoiler):
- Non si capisce come un legame si rafforzi così tanto e in così poco tempo (no, questa volta non ci sono salti temporali strani).
- Come fa Ciri ad acquisire una buona padronanza dopo mezza giornata (se vi siete straniti con Rey ne “Il Risveglio della Forza”, qui avrete la medesima sensazione)?
- Non comprendiamo come, dopo un evento avvenuto in mezzo alla radura, delle guardie cittadine raggiungano in meno di 20 secondi Yennefer e Ciri, quando la città è ancora a chilometri di distanza (vi ricordate i corvi supersonici di “Game Of Thrones”? Ecco…)
- Non è possibile che in un luogo definito sicuro e “solenne”, si scateni uno scontro (anche brutto).
“Larga la foglia stretta la via… Geralt, come continuava?” “Mmmh…”
Ci sono delle ingenuità, di tanto in tanto, che fanno storcere il naso ed è davvero fastidioso. Taluni stanno gridando allo scandalo per un ipotetico spoiler per chi non ha ancora letto i libri, ma è proprio quello il punto: “The Witcher” di Netflix espande e distorce il materiale originale, pur rimanendone grossomodo fedele nello spirito. Nonostante e proprio per questo, non è compromessa la curiosità per la terza (penultima?) stagione. C’è margine ancora per non compiere un disastro. La caccia selvaggia (ai produttori, stile GOT) può essere ancora evitata.
a cura di
Andrea Mariano
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