Il caso Assange: un processo alla libertà di espressione
Juliane Assange, uno dei fondatori dell’organizzazione WikiLeaks, è stato accusato di spionaggio in seguito alla pubblicazione di circa 700.000 documenti segreti militari e diplomatici tra i quali spiccano registrazioni video di crimini di guerra commessi dagli Stati Uniti in Iraq e Afghanistan.
La vicenda in pillole
Qualche mese dopo la divulgazione dello scottante materiale, la polizia svedese emette due accuse di stupro e molestie che verranno poi ritirate, nei confronti di Assange. Questo porta all’emissione di un mandato di cattura internazionale e ad una richiesta di estradizione da parte della Svezia.
A quel punto il capo di Stato ecuadoriano Rafael Correa concede l’asilo nell’ambasciata a Londra. Il nuovo presidente Lenin Moreno però, di fronte alle pressioni americane, revoca il suo status di rifugiato politico. Questo permette alle forze di polizia inglesi, nell’aprile del 2019, di arrestarlo.
Da lì comincia la sua detenzione nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh o più comunemente conosciuta come la “Guantanamo inglese”. Lì viene sottoposto a misure amministrative speciali (SAM), che lo confinano all’isolamento 23 ore al giorno in una cella delle dimensioni di un posto auto.
Il 23 maggio 2019, il tribunale americano accusa Assange con 17 nuove pendenze di aver violato “L’espionage Act”, un caso eccezionale di utilizzo di questa legge risalente al 1917. Se estradato negli Stati Uniti, infatti, il co-fondatore di WikiLeaks rischia una condanna fino a 175 anni.
A gennaio 2021, la giudice britannica di primo grado Vanessa Baraitser, ha negato la richiesta di estradizione di Washington. Una perizia medica ipotizzava rischi di suicidio a partire dalle sue fragili condizioni psicofisiche e il trattamento giudiziario al quale andrebbe incontro negli USA.
Cosa succede ora
Si sono conclusi ieri i due giorni di udienze di appello alla sentenza che lo scorso gennaio aveva negato l’estradizione. Per il verdetto finale, però, potrebbero volerci diverse settimane fino a un termine massimo indicato dai media entro i primi di gennaio.
Nel caso di conferma della sentenza di primo grado, agli Usa rimarrà solo la possibilità di rivolgersi alla Corte Suprema britannica. In caso contrario, sarà comunque un altro tribunale di grado inferiore ad avere l’ultima parola.
In merito alla vicenda, la stampa ha trattato l’argomento da un punto di vista diverso a seconda del loro grado di coinvolgimento. Ma vediamoli ora più nel dettaglio.
Gli Stati Uniti
La stampa statunitense, particolarmente coinvolta nella vicenda, distaccandosi dalle posizioni del proprio governo nel commentare i capi d’accusa, aveva e ha tuttora messo in luce il rischio di una limitazione generale della libertà di informazione e del giornalismo investigativo stesso.
Nel 2017, WikiLeaks, porta alla luce i fascicoli del “Vault 7” i quali spiegano i metodi che la CIA utilizza nelle operazioni di hackeraggio e monitoraggio. Questo portò il presidente Donald Trump, secondo quanto riportato da alcuni membri dell’intelligence e della sicurezza Usa, a pianificare insieme alla CIA, il rapimento o l’assassinio del giornalista. Anche il suo successore, Biden, rimane sulla stessa posizione volendo a tutti i costi l’estradizione di quello che ha più volte definito “terrorista hi-tech”.
Il Regno Unito
La stampa inglese, invece, non si espone particolarmente sul caso, ma si limita a trattare le informazioni principali in modo sommario. Anche la Regina fa sapere che non interverrà perché si tratta di “un caso politico”.
Il Regno Unito tendenzialmente assume quindi una posizione controversa nel caso, in quanto continua a tenerlo prigioniero senza però alcun capo d’accusa formale a suo carico.
L’Australia
I media australiani per contro, sono particolarmente schierati contro Assange nell’appoggiare il proprio governo che vorrebbe il giornalista di WikiLeaks in cella. Sottovalutano le condizioni psicologiche dell’attivista, parlando raramente di suicidio e sottolineando la sua assunzione di farmaci.
Nonostante le recenti scoperte di Yahoo News, la stampa australiana continua a sottovalutare le pene a cui andrebbe incontro il giornalista. Il suo avvocato, Summers, ha smentito la notizia secondo cui gli USA avrebbero garantito all’hacker di scontare la pena detentiva in Australia, non essendoci nessuna indicazione al riguardo da parte di quest’ultima.
L’Ecuador
Come quella inglese, l’opinione pubblica ecuadoriana, non si espone pubblicamente. Al tempo stesso concorda sul fatto che la custodia di Assange non sia stata utile per il Paese. Secondo i media ecuadoriani è stato legittimo togliergli lo status di rifugiato politico a seguito della verifica di inadempienze amministrative e violazioni delle convenzioni internazionali.
L’Europa
I paesi europei, come da copione, si separano sulla questione in base al loro orientamento politico: i cosiddetti “giornali di sinistra” difendono a spada tratta le posizioni di Assange, sottolineando le precarie condizioni in cui è costretto a vivere, mentre i “giornali destroidi” si limitano a raccontare brevemente gli eventi principali senza partcolari approfondimenti.
Le nostre posizioni
Da aspiranti giornaliste quali siamo, ci avvaliamo del diritto e del dovere morale di schierarci a favore di WikiLeaks e del suo fondatore Juliane Assange. Troviamo paradossale il fatto che nessun responsabile di “potenziali” crimini di guerra sia stato condannato. Ci sembra contraddittorio che a pagare le conseguenze continui ad essere un giornalista che ha fatto solo ed esclusivamente il suo mestiere. Diffondere le notizie in modo completo e veritiero è infatti una prerogativa fondamentale della libertà di stampa.
Consideriamo riprovevole l’eccessiva neutralità della stampa “moderata” che negli ultimi tempi ha sacrificato il giornalismo d’inchiesta in favore di frivolezze e qualunquismi.
Condannare Julian Assange per aver semplicemente svolto il suo lavoro potrebbe avere un effetto dissuasivo sul diritto alla libertà di espressione generale, spingendo i giornalisti all’autocensura per paura di eventuali ritorsioni.
Promuoviamo invece tutti quei movimenti che si stanno impegnando tramite petizioni e manifestazioni per la liberazione di Assange e la tutela dei diritti umani.
Ormai giunte alla fine di questo intricato cammino politico non possiamo che concludere con un grido di speranza sintetizzato in due parole: Assange libero!
a cura di
Jessica Bondi
Lucia Tamburello
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