Venezia 77 – Quo vadis, Aida?: recensione del film di Jasmila Zbanic
Srebrenica
9 luglio 1995. La città di Srebrenica – dichiarata dall’ONU zona protetta – e il territorio circostante subiscono l’attacco delle truppe dell’Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina. Dopo un’offensiva di due giorni le truppe guidate dal generale Ratko Mladic riescono a prendere possesso della città. All’epoca dei fatti, la zona di Srebrenica si trovava sotto tutela di un contingente olandese.
Si tratta dell’atto primo del massacro di Srebrenica, il genocidio perpetrato dalle truppe di Mladic ai danni di oltre 8000 musulmani bosniaci, prevalentemente ragazzi e uomini. Ragazzi e uomini di età compresa tra i 12 e gli 80 anni, separati dalle loro madri, mogli, sorelle, apparentemente per essere interrogati e in realtà uccisi e sepolti in fosse comuni.
Ventuno persone in totale sono state condannate per il massacro di Srebrenica dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia. La Lista preliminare delle persone scomparse o uccise a Srebrenica stilata dalla Commissione Bosniaca contiene 8372 nomi.
C’è questa sanguinosa, terribile vicenda alla base di Quo vadis, Aida?, il film di Jasmila Zbanic che ha scosso il pubblico a Venezia 77. La Storia di Srebrenica e la storia personale della protagonista in un film che pesa come un macigno; intenso, crudo, reale. 101 minuti che non lasciano scampo, con la magistrale regia di Jasmila Zbanic e la splendida interpretazione di Jasna Duricic.
Questa la sinossi ufficiale di Quo vadis, Aida?. Bosnia, luglio 1995. Aida è un’interprete che lavora alle Nazioni Unite nella cittadina di Srebrenica. Quando l’esercito serbo occupa la città, la sua famiglia è tra le migliaia di cittadini che cercano rifugio nell’accampamento delle Nazioni Unite.
Come persona informata sulle trattative, Aida ha accesso a informazioni cruciali per le quali è richiesto il suo ruolo di interprete. Cosa si profila all’orizzonte per la sua famiglia e la sua gente? La salvezza o la morte? Quali passi dovrà intraprendere?
Jasmila Zbanic porta lo spettatore nell’incubo di Aida, offrendogli un punto di vista privilegiato: quello della stessa protagonista. La macchina da presa segue Aida in ogni suo spostamento, con un’attenzione quasi ossessiva e l’esigenza vitale di documentare tutto.
Il ritmo della narrazione è dunque sincronizzato con quello della sua protagonista. Potremmo dire che il film respira quando respira Aida, accelera e rallenta con lei. E noi, scomodi e tesi sulle poltrone, non possiamo distogliere lo sguardo da quello che accade, perché ci siamo dentro.
Il termine più appropriato da utilizzare per definire la regia della Zbanic è empatica. Un aggettivo che si usa spesso a sproposito ma che in questo caso calza a pennello. La regia della cineasta bosniaca è pura empatia, senza sovrastruttura e senza l’ombra di alcun tipo di retorica a posteriori.
Se la regia di Jasmila Zbanic è magistrale e potente, la performance di Jasna Duricic è viscerale e struggente. L’attrice serba restituisce sullo schermo ogni sfumatura del suo personaggio. Aida è quasi incastrata nella sua dualità: madre di famiglia e interprete per l’ONU, cittadina impaurita e professionista fiera e coraggiosa.
Senza timore di esagerare possiamo affermare che con la sola scena in cui Aida chiede agli ufficiali olandesi di salvare la sua famiglia (citando apertamente una celebre sequenza di Schindler’s List), la Duricic si sarebbe meritata la Coppa Volpi.
Straordinario anche il resto del cast, a partire da Boris Isakovic nelle vesti dello spietato generale Mladic e Johan Heldenbergh in quelli dell’inetto colonnello Karremans.
La banalità del male
Quo vadis, Aida? è una delle rappresentazioni più cristalline ed efficaci della banalità del male. Ce lo fa vedere Jasmila Zbanic quando, alla fine del film, ci mostra come gli esecutori del massacro – spogliati della divisa – siano persone normali.
Lavato via il sangue dalle mani, quegli stessi carnefici sono di nuovo vicini di casa, conoscenti di lunga data, padri amorevoli alle recite scolastiche dei figli. “Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso” potremmo dire prendendo in prestito e decontestualizzando le parole di Hannah Arendt.
Quo vadis, Aida? ci spinge a ricordare la strage più grave perpetrata in Europa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale; un massacro compiuto sotto gli occhi – impotenti e colpevoli – dei soldati dell’ONU. Una tragedia comodamente riposta in un cassetto remoto della memoria, che la regista di Sarajevo riapre, a 25 anni di distanza, rivelando una ferita ancora sanguinante.
a cura di
Anna Culotta
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