Soldier: thrash metal, tra tradizione e innovazione

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Il nuovo trash metal, tra snaturamento e copia del passato

Il thrash metal è forse il genere musicale più amato da chi scrive. Negli anni, passato la prima obbligata fase metallica, anthrax e megadeth, ho scoperto i meno fortunati Sacred Reich, Xentrix (entrambi tornati alla grandissima l’ultimo anno) Vio-Lence, Extrema, In.Si.Dia, …

Da più o meno il 2005 è iniziata una rivalutazione del genere, grazie anche al successo di band come i Municipal Waste. Il nuovo thrash metal però, nella maggior parte dei casi, ha snaturato la natura del genere madre, quasi rinnegando completamente le radici.

Tra virate drastiche verso il death e il black o una semplice copia carbone del passato, esistono tuttavia delle band che hanno saputo fare loro gli insegnamenti dei grandi maestri reinterpretandole per i tempi che corrono, e tra questi troviamo i Soldier.

La cover art di The Sleeping Of Reason
I Soldier, da Oviedo con furore

I Soldier, spagnoli, esordiscono discograficamente nel 2012 con Gas Powered Jesus per poi tornare nel 2015 con The Great Southern Oligarchy, due album eccellenti: ritimiche tra Exodus e Megadeth, 3 o 4 riff per canzone, voce rabbiosa ma intonata e gusto melodico che prende un po’ in prestito dallo street metal anni ‘80. Il tutto ben ancorato ai giorni nostri, nessun revival, nessun scimmiottamento ma tanta personalità.

The Sleeping Of Reason, l’ultimo arrivato

L’ultimo arrivato, The Sleeping of Reason, anno 2018, conferma i presupposti dei suoi predecessori, aggiungendo una punta di malinconia che ricorda molto band come Down e Corrosion of Conformity.

Le tematiche affrontate anche in questo caso sono sociopolitiche (come si evince dalla copertina, forse in questo caso fatta un po’ in fretta, sembra più una bozza che un lavoro finito).

Dopo l’intro si aprono le danze con …Exterminate White People, in cui possiamo cominciare ad apprezzare il range vocale del cantante. La seconda traccia Murdered by Bombs (The Military-Industrial Complex) sembra ribadire i presupposti della precedente.

Ascolta l’album qui

A metà album abbiamo il necessario intermezzo melodico Invisible Man, a cui segue una Jump Into the Pit che si concede solo qualche accelerata, in un’atmosfera di rock tutto sommato orecchiabile.

Da Tunguska Mosh ritorniamo sui binari maestri, con un basso impazzito e una batteria in formissima.

Da quel momento l’assalto continua fino alla conclusiva title track, la quale ricorda nell’intro vagamente Raining Blood degli Slayer, e può essere considerata il pezzo più sperimentale dell’album, dal suo refrain vagamente power metal. Forse delle idee che verranno sviluppate nel prossimo album.

Nel complesso ottimo album e ottima band per gli amanti del genere che sono stufi di far finta d’apprezzare il thrash metal che va di moda oggi.

a cura di
Giorgio Cappai

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