“ACAB: La Serie” – la recensione in anteprima del thriller sociale senza compromessi
“ACAB: La Serie” è un adattamento contemporaneo di Michele Alhaique del libro di inchiesta di Carlo Bonini e del film diretto da Stefano Sollima, che pone il focus sulle dinamiche interne ed esterne di una squadra del Reparto Mobile di Roma. La serie, composta da sei episodi, sarà disponibile su Netflix a partire da oggi 15 gennaio
La serie riproposta da Michele Alhaique affronta temi evergreen come l’abuso di potere, la lealtà, l’etica professionale e le tensioni sociali ispirandosi al libro di Carlo Bonini e al film del 2012 con Favino, che fece parecchio discutere per il modus operandi degli agenti antisommossa, offrendo una visione ravvicinata delle sfide affrontate dalle forze dell’ordine in un contesto di crescente mancanza di fiducia verso le istituzioni.
Attraverso una narrazione violenta e personaggi profondamente caratterizzati, ACAB: La Serie invita gli spettatori ad interrogarsi sulle sfumature morali e sulle ripercussioni personali di chi sceglie come fare giustizia per mantenere l’ordine.
“ACAB: La Serie”
La trama si sviluppa a seguito di una notte di violenti scontri in Val di Susa, durante la quale il capo della squadra rimane gravemente ferito, lasciando il gruppo senza una guida. I membri della squadra, tra cui Mazinga (Marco Giallini), Marta (Valentina Bellè) e Salvatore (Pierluigi Gigante) formano un’unità coesa, quasi familiare, caratterizzata da metodi operativi al limite della legalità. L’arrivo del nuovo comandante Michele (Adriano Giannini), portatore di una visione riformista della polizia, mette in discussione le loro pratiche consolidate.
Contemporaneamente, una crescente ondata di malcontento popolare verso le istituzioni sfocia in un “autunno caldo” di proteste, costringendo ogni membro della squadra a riflettere sul significato del proprio ruolo e sull’appartenenza al gruppo.
La serie TV ribalta abilmente la prospettiva di chi detiene un solo punto di vista. Attraverso una narrazione potente e sfumata invita lo spettatore a calarsi nei panni di coloro che hanno scelto la via della giustizia, in un mondo estremamente vicino al nostro dove spesso il fine giustifica i mezzi.
In questo modo ACAB sposta l’attenzione da un giudizio superficiale verso una riflessione più profonda sulla complessità umana, le difficoltà del mestiere di chi mantiene l’ordine e i dilemmi morali che inevitabilmente ne derivano.
La giustizia e il suo punto di vista
La domanda ricorrente e fondamentale nella serie è la seguente: per la sua incolumità e quella dei cittadini la polizia deve seguire una linea di ordine che ha tutto eccetto un rilievo nell’operatività o seguire il proprio giudizio in situazioni di emergenza?
“Non siamo noi quelli che vuole il ministero: le guardie a cavallo”.
Questo è il dilemma che nasce nelle coscienze dei celerini, troppo spesso abbandonati a se stessi, implicati in situazioni critiche e chiamati a prendere decisioni operative probabilmente lontane dalle norme che il Governo redige. Regole che troppo spesso non vengono seguite, in primis da coloro che sulle piazze si trovano a protestare o a celebrare con i migliori degli intenti, ma con azioni che si discostano dall’ordine e dall’umanità.
Salvatore (Pierluigi Gigante): “Esiste una polizia di Stato e una del governo “
Mazinga (Marco Giallini): “E noi chi siamo? La polizia di Stato”“ACAB: La Serie”, 2025, Netflix
Salvatore e Mazinga si ritengono la polizia, per cui il fine giustifica i mezzi.
In una conversazione atta quasi ad esaltare l’importante linea sottile tra la celere e gli Ultras/manifestanti: se i personaggi non indossassero la divisa non riusciremmo a distinguere chi è chi.
Qual è il limite?
“A me interessa che manteniamo il controllo.”
Comandante Michele, “ACAB: La Serie”, 2025, Netflix
Come riportato da Carlo Bonini, la serie affronta la problematica del limite oltre il quale la polizia non si può spingere. Quell’interrogativo che qualunque carabiniere o poliziotto, chiunque appartenga alle forze dell’ordine quotidianamente si pone, la problematica inerente al rispetto di quel confine che separa l’uso legittimo ed illegittimo della forza.
“Il problema è che a volte sono decisioni che vengono prese in pochi secondi in una condizione psicologica di stress altissimo. La manutenzione emotiva e psicologica (e la preparazione che ne consegue) di chi fa questo lavoro dovrebbe essere di altissima qualità.
Alcune volte ci riescono a volte no perché le forze dell’ordine sono persone come noi che vivono dentro il Paese, sono immersi nello stesso nostro contesto.”Carlo Bonini
Non c’è buono o cattivo: l’interpretazione allo spettatore
ACAB, La Serie offre un esercizio di racconto importante: c’è un grandissimo bisogno di superare questa tifoseria generale esistente per qualsiasi “scontro”, che dimentica il vero motivo trainante.
Con uno sguardo silenzioso e implacabile, la regia di Michele Alhaique cattura tutte le tensioni e il logoramento emotivo che consumano gli agenti in troppe situazioni. Questi uomini, stretti in un sistema di leggi volutamente ambigue, incarnano ancora un’idea antica e brutale di “braccio armato del potere”, privati della possibilità di evolvere verso un modello che garantisca pienamente i diritti democratici.
La serie non risparmia critiche alla mentalità autoritaria, radicata in una struttura operativa che affonda le sue origini nell’eredità mai del tutto superata della polizia fascista. Tuttavia, qui si racconta anche di uomini lasciati soli: disprezzati, sottopagati, impreparati e mal equipaggiati. Senza il controllo diretto da parte della gerarchia, questi ultimi agiscono mossi dalla paura di un nemico invisibile e interno, liberi di fare del male, subirlo e, infine, distruggersi.
a cura di
Michela Besacchi
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