“La Collina dei Papaveri”: il film Ghibli che inneggia all’incesto?
La Ghibli ha sempre fatto viaggiare lo spettatore sulle ali della fantasia verso luoghi magici e con personaggi decisamente inusuali: ma se stavolta la stranezza avesse superato il limite?
Kokuriko-zaka kara
La Collina dei Papaveri è un lungometraggio animato della durata di 87 minuti che nasce dalla mente di Goro Miyazaki, figlio del celeberrimo Hayao Miyazaki, e che è a cura, ovviamente, dello studio Ghibli. Arriva nelle sale cinematografiche italiane nel 2012, dopo aver fatto un paio di comparse esclusive in lingua originale con sottotitoli in occasione del Festival Internazionale del Film di Roma e del Future Film Festival di Bologna. È l’adattamento di un manga omonimo pubblicato nel 1980 a cura di Tetsurō Sayama e disegnato da Chizuru Takahashi.
Due storie: il Quartier Latin e la storia d’amore
La storia inizialmente si sviluppa come una relativamente banale storia d’amore adolescenziale: scatta la scintilla tra Umi e Shun, due ragazzi del liceo, e i due non riescono più a starsi lontani. A metà dell’opera, però, si scopre che i due potrebbero essere fratello e sorella. Dopo un primo tentativo di allontanamento, i due si confessano il loro amore romantico reciproco al di là del legame di sangue e solo sul finale, attraverso un arzigogolato (e in certi momenti davvero molto artificiale, forzato e poco credibile) giro di avvenimenti e parentele, si capisce che i due non sono davvero fratelli.
A questa linea principale di eventi se ne affianca un’altra che è definita sottotrama, ma che per la sua originalità avrebbe avuto tutte le carte in regola per essere la linea narrativa con maggior rilievo. Si tratta delle vicissitudini del Quartier Latin. Questa struttura può essere approssimativamente ridotta ad un luogo di incontro per giovani studenti che organizzano giochi e studiano. È di tale rilevanza che là dentro pubblicano persino un proprio giornale! Il Quartier Latin è, detta in soldoni, il luogo in cui si riuniscono ed operano tutti quelli che sono ad oggi conosciuti come club per attività extracurriculari. Ad un passo dalla demolizione, tutti i ragazzi s’impegnano per restituire vita all’edificio e fortunatamente riescono a salvarlo in extremis.
Perché questa scelta?
Vista anche la rilevanza che questo intreccio secondario assume viene da chiedersi se non fosse questa la linea principale in origine, surclassata dalla storia d’amore in seguito. Perché mai scegliere una banalissima trama stereotipata e controversa (nella peggiore delle accezioni possibili della parola) quando si era pensato a qualcosa di così tanto promettente?
Se ci si fosse concentrati sul Quartier Latin ci sarebbe stato un film “più Ghibli”, meno controverso e con un target più ampio di pubblico. Attualmente non c’è una spiegazione ufficiale a riguardo, ma una fetta di netizens è convinta che sia dovuto esclusivamente al tocco tanto distintivo quanto disastroso del figlio di Miyazaki. Potrebbero aver ragione, ma non va dimenticato che anche Hayao Miyazaki ha collaborato alla stesura della sceneggiatura e quindi, se ne avesse sentito la necessità, sarebbe potuto intervenire in qualsiasi momento.
Un Giano bifronte
La dualità della trama si riflette nell’opinione che si ha di questo lungometraggio animato. Se da un lato, infatti, c’è quel grosso neo dell’incesto che innervosisce molti spettatori, dall’altro c’è da guardare in modo obbiettivo il resto della produzione.
I disegni sono di buona fattura ed è chiaro che, per la loro straordinaria bellezza e per la mancanza di elementi animati, alcune tavole sceniche di sfondo siano state realizzate alla vecchia maniera e non in digitale. La pecca di questa tecnica è che si riesce a distinguere molto bene quali sono i soggetti animati e “destinati” a muoversi e quali no, ma è parte di quella magia nostalgica risalente all’epoca a cui le tavole disegnate a mano appartengono.
Quanto al soundtrack, sia che si consideri la colonna sonora in quanto tale sia che si faccia riferimento alle canzoni cantate dai personaggi, è semplicemente eccezionale. Già in passato la Ghibli aveva sperimentato nell’implementazione di danze e canti nei suoi lungometraggi e anche questa volta è stato un azzardo ben riuscito! Le canzoni sono state sia ben interpretate che ben doppiate, la colonna sonora è calzante e coinvolgente. Sebbene i momenti di canto improvviso possano risultare un po’ estranianti, restano storicamente verosimili.
Un periodo storico speciale
La Collina dei Papaveri è ambientato in un Giappone ancora in guarigione dopo la guerra di Corea e la regia ha investito molto nell’accuratezza storica. Vestiti, abitudini e paesaggi sembrano essere un ricamo antico su una tela moderna: l’opera è del 2011 ma lo spettatore, per quegli 87 minuti, ritorna senza accorgersene agli anni ‘60-’70. Le navi rappresentate sono delle copie esatte di quelle che solcavano i mari all’epoca, i vestiti e le divise sono le stesse di tanti anni fa e a molti nel pubblico sembra di rivivere un ricordo. Tuttavia, insieme alla malinconia, lo sceneggiato ci restituisce anche la forza dei movimenti studenteschi del Sessantotto, la prepotenza delle idee libere e lo scoppiettio della gioventù. Per questi motivi, questa ambientazione tanto ben realizzata è sia un rispettoso omaggio al passato, sia un’irriverente provocazione al futuro.
L’incesto è giustificabile?
Una parte della critica continua ad esprimersi in modo incredibilmente positivo sull’insieme, anche sul suo forte inno all’incesto. Parte delle loro argomentazioni confluisce nella finzione scenica. Insomma, mica tutto quello che si vede sul grande schermo è vero o va preso come modello da seguire! Circolano produzioni con draghi, demoni e fate, che non esistono ma vengono accettati lo stesso. Ci sono anche protagonisti moralmente grigi, storie d’amore malate e amicizie unicamente utilitaristiche e nessuno se ne lamenta con tanta veemenza. Il tema particolarmente controverso non giustifica l’accanimento dei perbenisti, figli di una tanto antiquata quanto fuori luogo cancel culture.
Inoltre, nessuno sceglie attivamente di chi innamorarsi e incidenti del genere succedono anche nella vita reale. Certo, è una tragedia, ma non è così turpe come lo si vuol far credere, specialmente dal momento che questa infatuazione è rimasta del tutto platonica e non si è mai consumata!
Non va bene per il grande schermo
La porzione di critica che ne è rimasta scontenta, oltre ad essere molto più numerosa, è anche molto agguerrita. Tra essi, chi riesce ad accettare le argomentazioni degli altri (alcuni non ci provano neanche, tanto è il ribrezzo che provano verso questa linea di trama), replica ferocemente. Che motivo c’era di mostrarlo sul grande schermo? Avevano una storyline migliore pronta, perché mai hanno sentito il bisogno di mostrare in modo così esplicito un’interazione così malata? Bisogna ricordare che, seppure non sia quello il target specifico, le opere d’animazione attraggono essenzialmente i bambini, proprio quel genere di spettatore che si cerca di tutelare da certe tematiche.
Inoltre sì, sono incidenti che capitano anche nella vita reale, ma appena si scopre la verità si tagliano tutti i ponti, mentre in questo caso c’è anche l’aggravante d’insistenza da parte dei due protagonisti. Come se non fosse vergognoso abbastanza mostrare una cosa del genere al cinema, i due ragazzi sembrano essere persistenti nel volersi amare nonostante abbiano appreso la notizia di essere fratelli. Che motivo c’era di essere così insistenti? Perché non lasciare una morale impeccabile e farli allontanare fino alla smentita dell’informazione?
A discrezione di ciascuno
A questo punto, ancora una volta, la scelta ricade nelle mani dello spettatore e dei lettori di chi scrive. Personalmente sono dell’opinione che, per quanto non mi disturbi particolarmente la scelta di mostrare una relazione così malata, sia stata una pessima scelta muovere il Quartier Latin in seconda posizione. Si sarebbe potuto produrre uno straordinario sceneggiato basato sulle rivoluzioni studentesche sessantottine e la ripresa economica giapponese. Ci si sarebbe potuto risparmiare tanta controversia e tante critiche negative per un lungometraggio il cui reparto artistico è a dir poco straordinario. Tuttavia si è scelto di rischiare e il risultato dipende tuttora dall’opinione di chi ha visto il lo sceneggiato: la stranezza, stavolta, ha davvero superato il limite?
a cura di
Adelaide Gotti
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